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Friday, March 29, 2024 ..:: Seminario di Dorino Maghini a Pavia ::..   Login
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 Percezione del suono e della distorsione nella riproduzione musicale. L'amplificazione di potenza: triodi, pentodi o semiconduttori? Minimize

 

 

INTRO

 



Dovrebbero esserci in giro molti più eventi come questo seminario, intitolato "Percezione del suono e della distorsione nella riproduzione musicale. L'amplificazione di potenza: triodi, pentodi o semiconduttori?", quantomeno per snebbiare la mente di qualche audiofilo troppo aduso alle chiacchiere da bar. Nell'ambito dell'alta fedeltà esistono degli argomenti scientificamente comprovati che possono essere lucidamente messi a fuoco solo da esperti del settore. Bella passione quella per i mezzi di riproduzione audio, aventi oramai una lunga storia, dove coesistono diversi fattori raggruppabili sotto le categorie tecnica e psicoacustica. È bene tuttavia bilanciarli con oculatezza per non andare fuori strada, come spesso avviene nei forum dedicati. Per Dorino Maghini la valenza di quest'avvenimento va comunque oltre il mero "ordine del giorno", l'idea di organizzarlo è sorta anche dal desiderio di ricordare l'amico e collega Giulio Musitelli, prematuramente scomparso. Teatro l'aula 101 del dipartimento di fisica dell'Università degli Studi di Pavia, un luogo significativo della serietà accademica con cui si è voluto affrontare l'argomento delle amplificazioni e, parallelamente, tanti altri, compresa un'interessante dimostrazione d'ascolto. L'attività di Dorino Maghini è fortemente connessa al Dipartimento di Fisica dell'Università di Pavia poiché è lì che ha speso quarant'anni della sua esistenza, dal 1970 al 2010. Tutto ciò che ha realizzato nel campo dell'elettronica audio è collateralmente legato a questo vissuto, sin dalla partenza con il suo primo finale di potenza, progettato nel 1983. Un Push-Pull realizzato con le sue mani secondo la famosa circuitazione Williamson (1949).

 



Molto curioso il telaio, una pentola capovolta, nato dall'idea non di Maghini ma di Luigi Cattaneo, anche lui allora in forza al citato dipartimento di fisica. Pure la componentistica utilizzata ha una storia non banale, come i trasformatori di uscita, dei vecchi Acrosound TO-310, e due di alimentazione "estirpati" da un vecchio spettrometro giapponese NMR Geo, funzionanti a una tensione di rete di 100 Volt, valore in uso appunto in Giappone. Gli Acrosound hanno alle spalle una storia illustre, uno era di proprietà del professor Cosignani e l'altro del professor Ruffini. Nel 1984-85 Dorino Maghini fu dedito all'ingegnerizzazione di un altro oggetto, sempre un amplificatore finale di potenza a valvole, chiamato in gergo "lucido" perché con il top di acciaio Inox. Una decina di anni più tardi, nel 1994, gli capitò di essere membro nella commissione d'esame che doveva scegliere il nuovo tecnico per la fisica nucleare e uno dei partecipanti era Giulio Musitelli. Fu in quell'occasione che si conobbero, scoprendo di avere la stessa grande passione per l'audio. Giulio fu poi assunto e i due cominciarono a lavorare insieme, anche se Maghini era un fisico generale e il suo collega un fisico nucleare. Un bel giorno s'incontrarono a casa di Dorino (che ai tempi abitava a Pavia) e Giulio ascoltò per la prima volta un amplificatore a valvole, proprio la "pentola", rimanendo esterrefatto perché non aveva mai sentito un suono così dolce. Da quel momento (1996-97) si fece avanti la voglia d'inventare qualcosa per superare il suono della "pentola", così nacque il finale a MOSFET che abbiamo davanti, emblema di una specie di sfida fra Musitelli, progettista assolutamente raffinato di semiconduttori e Maghini, che invece da tempo si cimentava con le elettroniche valvolari.

 



La frequentazione tra loro è proseguita nel tempo, portando alla realizzazione di diverse cose. Giulio progettò delle parti che poi sono servite a Dorino per dei suoi oggetti, per esempio un "timer" per ritardare l'anodica. Uno splendido moltiplicatore di frequenze gli era stato donato quando andò in pensione, su progetto di Roberto Nardò e Giulio Musitelli, ma realizzato da quest'ultimo. Erano in procinto di sviluppare un altro lavoro in comune quando, purtroppo, nel maggio del 2012 l'amico Giulio morì tragicamente in un incidente stradale, mentre era a cavallo della sua Ducati 848 rossa. Nella sua produzione ha voluto ricordare il loro splendido rapporto umano e professionale inserendo la lettera "G" (iniziale di Giulio) nel numero di serie di ogni elettronica. Nel progetto erano coinvolti anche due carissimi amici di Dorino (presenti all'evento), Sergio Marullo di Roma ed Egidio Mapelli, titolare della Nor-Se trasformatori. Quest'ultimo è il progettista e realizzatore di tutto il materiale reattivo dei suoi amplificatori, in particolare i trasformatori di alimentazione e soprattutto quelli d'uscita, come sappiamo cruciali per la qualità del suono di un valvolare. Si trattava di un piccolo amplificatore QVS (Quality Valve Sound), marchio mai registrato, come non lo è quello attuale, che io ho potuto ascoltare nel corso di un Top/Audio-Video del 2012.


L'ORECCHIO

 



Nella trattazione ci si è mossi a largo raggio, per ampie volute vista la complessità di un argomento che tocca diverse discipline, innanzitutto la fisiologia dell'orecchio umano, l'elettronica e, non certamente ultima, la psicoacustica. In una lunga divagazione è stato toccato il tema di teoria musicale del temperamento equabile, cioè il sistema su cui si fonda la suddivisione dell'ottava in intervalli tra di loro uguali. Un musicista presente, fratello di Giulio Musitelli, ha fornito un'integrazione di tecnica musicale sugli argomenti presentati da Dorino Maghini. Si è partiti nella veloce rassegna dall'ABC, elementi di base che il relatore ha dato per scontato si sappiano, ma citati ugualmente a volo d'uccello. In primo luogo, cos'è il suono? È il prodotto di variazioni periodiche alternate (positive e negative) della pressione, che viaggiano a 343 metri al secondo nell'aria, mentre in materiali diversi questa velocità cambia. La lunghezza d'onda del suono è funzione della frequenza e si esprime in metri (λ=343/f). Un lucido mostra l'anatomia dell'orecchio, è da questo "sensore" che, in buona sostanza, parte tutto. Si tratta di un organo spaventosamente complesso, afferma Dorino Maghini, studiato da almeno duecento anni. L'organo del Corti fa parte dell'orecchio interno, posizionato dentro la coclea e formato da tante cellule ciliate sensibili agli spostamenti e fibre nervose, ogni vibrazione viene poi percepita come suono tramite l'azione del cervello. Tale apparato deve il suo nome all'anatomista italiano Alfonso Giacomo Gaspare Corti (1822-1876), che per primo condusse delle ricerche microscopiche sul sistema uditivo dei mammiferi.

 

Le curve isofoniche di Fletcher & Munson

Nell'orecchio esterno il padiglione auricolare e il condotto uditivo raccolgono il suono, l'orecchio medio è deputato alla sua trasmissione, mediante la membrana timpanica e la catena degli ossicini (martello, incudine e staffa), all'orecchio interno con il suo labirinto osseo e membranoso, sino all'arrivo a quel mirabile organo che abbiamo già citato, responsabile della trasformazione del movimento meccanico in impulsi nervosi. Le modalità della relazione tra il nervo acustico e la materia grigia è un campo ancora oggi non completamente esplorato, nonostante i numerosi studi e ricerche condotti nel tempo. Il mistero s'infittisce se pensiamo alle emozioni che provoca la musica. Nella percezione del suono non c'è nulla di lineare, lo dimostrano le note curve isofoniche di Fletcher & Munson del 1933, le quali rappresentano la sensazione uditiva dell'orecchio al variare della frequenza e della pressione acustica. Per avere una medesima percezione di livello, occorre una pressione via via maggiore avvicinandoci alle estremità della banda audio. Nel grafico, sull'asse delle ascisse c'è la frequenza, su quello delle ordinate il livello di pressione sonora. La banda privilegiata, corrispondente alle frequenze della voce umana, è quella pressappoco tra 1000 e 5000 Hz; a 3000-4000 Hz si manifesta la massima sensibilità. È un dato di fatto scientifico che ha portato nell'elettronica audio tradizionale alla creazione della funzione "loudness", oggi non più presente. Quando veniva adoperata, si metteva in atto un'equalizzazione che compensava la diversa sensibilità dell'orecchio agli estremi banda, soprattutto per bassi livelli di SPL.

 

Dorino Maghini

Nell'odierna Hi Fi sarebbe un sacrilegio usare il loudness, dice sorridendo Dorino Maghini. Rimanendo nell'ambito della percezione del suono e della sua intensità, si evidenzia come la sensibilità dell'orecchio sia assimilabile a una funzione logaritmica, per cui un salto di livello di 10 dB, equivalente a una pressione di dieci volte maggiore, è avvertita dall'orecchio come un raddoppio dell'intensità. Questo spiega il perché della rincorsa a potenze sempre più alte che gli appassionati fanno. Se, per esempio, si dispone di un amplificatore da 10 Watt, per avere un raddoppio del livello di pressione percepito ne avremo bisogno di uno da 100 Watt. In questo modo le potenze possono salire esponenzialmente, alla ricerca di SPL più elevate. La minima variazione di ampiezza che l'orecchio può avvertire è del 10%, al di sotto di tale soglia nessun cambiamento viene percepito. Dal punto di vista della sensibilità in frequenza, l'orecchio si comporta come una sorta di analizzatore di spettro, ma in maniera del tutto abnorme a causa delle non linearità già viste nelle curve isofoniche. A centro banda, vale a dire tra 500 e 8000 Hz, la variazione minima distinguibile si abbassa addirittura allo 0,3%. Puntando l'attenzione sui 1000 Hz, noi avremo una risoluzione a passi di 3 Hz. Volendo fare un parallelo tra un orecchio e un amplificatore di potenza, possiamo affermare che entrambi distorcono in maniera molto simile per quanto riguarda le non linearità d'intermodulazione, con dei tassi che sono funzione della pressione acustica. Più questa è alta e più nell'orecchio si genera distorsione d'intermodulazione, che va ad aggiungersi a quella prodotta dall'amplificatore nel suo funzionamento.

 



Nella fenomenologia dell'organo acustico si debbono constatare alcune stranezze, come il cosiddetto "Terzo suono di Giuseppe Tartini": quando due suoni, distanti un certo intervallo, vengono emessi contemporaneamente, si percepirà un terzo suono la cui frequenza sarà uguale alla differenza tra i due. Si tratta, in realtà, di un avvenimento diverso dalla produzione di armonici naturali, che hanno un volume molto più basso del suono fondamentale. Nel nostro caso invece il suono che sentiamo in aggiunta agli altri due ha un livello tale da farlo apparire come distinto da loro.


LA SECONDA ARMONICA

 



Da tempo è risaputo che l'orecchio umano trova più gradevole la distorsione di armoniche pari, la seconda, la quarta, la sesta e così via. Lo dimostra la sperimentazione in ambito tecnico-scientifico. Si può sopportare, senza avvertirla come fastidiosa, una non linearità di ordine pari anche del 10% mentre se questa è dispari, bastano due o tre decimi percentuali per provare una sensazione sgradevole. Perché l'orecchio gradisce gli ordini pari? La presenza di un musicista in sala ha chiarito molte cose a riguardo. Nella teoria pitagorica, la corda vibrando produce tutta una serie di armonici, il primo è all'ottava superiore, il secondo alla distanza di una quinta, poi di ottava, terza, quinta, di settima minore e dopo ancora di ottava. Questo nella teoria musicale ha fatto appurare, dando per assodato che una corda vibrando produce una fondamentale più altri toni, che il suono armonico più gradevole (e naturale) è quello più frequente, cioè l'ottava. La prima che incontriamo, la più elevata come livello, corrisponde a un raddoppio del suono di partenza ed è proprio quella seconda armonica di cui parlavamo, dopo viene la quinta e, a seguire, la terza. In ultimo troviamo la settima minore. Si stabilisce quindi una gerarchia di suoni per cui quando si crea un'armonia dovremo stare attenti a quello che raddoppiamo per creare una struttura musicale che risulti gradevole all'orecchio. Teoricamente, non si possono raddoppiare le terze, le settime devono essere preparate, si deve rispettare tutta una serie di regole in quanto la dissonanza non è una cosa benaccetta. Come esemplificazione tecnica del discorso musicale, Dorino mostra la rappresentazione all'oscilloscopio di un "la" emesso da un violino contemporaneo e da uno Stradivari, con tutto il corteo di armonici che segue.

 




L'AMPLIFICATORE DI POTENZA

 


Quando si pone il problema di amplificare un regime musicale, esistono tanti approcci diversi per affrontarlo. Un lucido ci presenta una sinusoide nel dominio del tempo e nel dominio delle frequenze, se aggiungiamo la seconda armonica il disegno (l'andamento nel tempo) cambia. Le non linearità in un'elettronica possono essere di due tipi, armonica e d'intermodulazione. Quest'ultima si verifica quando vengono riprodotti contemporaneamente due toni variamente intervallati, i quali nelle misure hanno un appropriato rapporto d'ampiezza. Quando questa condizione si verifica, insorgono alle spettrali delle spurie che sono somma e differenza delle due frequenze. Spurie, quindi non esistenti nel segnale che somministriamo all'amplificatore. Nelle rilevazioni sulle elettroniche si usano due frequenze della stessa ampiezza intervallate di 1 kHz (per esempio 13-14 kHz o 19-20 kHz) o anche di diversa spaziatura, come nella IMD SMPTE, dove un tono è a 250 Hz e l'altro a 8000 Hz. Nel caso dei citati doppi toni superiori si evidenziano perciò delle frequenze a intervalli di un kHz. Esiste anche una distorsione da intermodulazione impulsiva. Nell'amplificazione di potenza la scelta dei dispositivi finali deve gioco forza ricadere o sulle valvole o sui transistor, questi ultimi inventati dal fisico e ingegnere Julius Edgar Lilienfeld, che progettò il primo in Canada nel 1925. In realtà bisognò attendere oltre vent'anni perché i transistor venissero regolarmente usati nei dispositivi elettronici, il primo prototipo funzionante, infatti, fu realizzato nel 1947 da due ricercatori dei laboratori Bell Labs: Walter Brattain e John Bardeen, del gruppo di ricerca guidato da William Shockley. Prima di quell'anno il mondo andava a valvole, con il diodo apparso nel 1904 e il triodo nel 1906.

 




LA VALVOLA TERMOIONICA

 



Una valvola è un oggetto sotto vuoto, dotato di alcuni elettrodi, dove si generano dei fenomeni sotto il dominio della fisica. Vari studiosi si sono applicati ai suoi dettagli di funzionamento, dopo essersi interessati ai materiali impiegati, per esempio dei filamenti, i quali devono emettere con determinate caratteristiche e avere una certa vita media. Nel tempo sono stati progettati centinaia di tipi di tubi. Quelli di potenza sono storicamente di due varietà, il primo è un triodo, la cui caratteristica d'uscita viene spiegata da Dorino Maghini con l'aiuto di un grande foglio. Gli elementi in gioco sono la corrente anodica, che è funzione della tensione presente nell'anodo. Un tetrodo o un pentodo ha delle curve caratteristiche differenti, molto simili a quelle di un transistor o un MOSFET. Una grande differenza esistente tra tubi e transistor è che nei primi il parametro di controllo è rappresentato da una tensione direttiva su un elettrodo (la griglia) mentre nei secondi è una corrente iniettata nella base che dà, amplificata, una corrente di collettore. Si tratta quindi di due principi completamente diversi. In prima approssimazione, in una valvola si tiene ben separato l'input dall'output (di mezzo c'è il vuoto), in un transistor invece tra i due c'è un mezzo con determinate caratteristiche fisiche (il semiconduttore). È opportuno a questo punto dirigere l'attenzione alle figure di distorsione che generano questi dispositivi intrinseci. È la volta di mostrare le curve caratteristiche di una valvola 2A3, triodo molto noto tra gli appassionati, dove l'erogazione in potenza e la distorsione sono funzione del carico, cioè della resistenza che si mette sull'anodo. Cosa possiamo notare?

 



In un triodo la seconda armonica è molto più alta della terza, detto in generale le non linearità pari prevalgono nettamente sulle dispari. Questo spiega, dopo decenni, il ritorno nell'alta fedeltà dell'uso di dispositivi che si erano dati per obsoleti. Si cambia grafico passando a quello di una valvola 6L6, tetrodo a fascio disegnato nel 1936 che coincide con la nascita della riproduzione audio di qualità, altrimenti detta Hi Fi. È considerato il primo tubo moderno, vale a dire il primo che non sia un triodo; di questa famiglia ce ne sono un gran numero, tra cui la 807, che è una versione a radiofrequenza della 6L6GC. "G" sta per "glass", vetro, materiale che si è preferito all'iniziale metallo per questioni microfonicità. Leggendo il Datasheet del costruttore, vediamo che veniva fornita la distorsione in funzione del carico, dalla seconda armonica sino alla quinta e oltre. A differenza del triodo, nella 6L6 a un certo punto (circa 3,5 kOhm) la terza armonica risaliva superando la seconda, che invece si mostrava in netta discesa sino a un minimo a 4 kOhm. Già a quei tempi si applicava un idoneo valore carico non per ottenere la massima potenza d'uscita ma per conseguire un rapporto tra la seconda e terza armonica che fosse favorevole. Tutte le radio di un certo pregio che utilizzavano questo tipo di valvola (o similare), caricavano l'anodo a 2500 Ohm per ottenere un rapporto seconda-terza in cui prevalesse la prima, anche se a discapito della potenza erogata. Da subito i progettisti hanno iniziato a ragionare in questi termini, successivamente sono arrivati i transistor e tutto è cambiato.


GLI AMPLIFICATORI A VALVOLE

 



Ne esistono fondamentalmente di tre tipologie, due impiegano i trasformatori d'uscita e una no, la OTL (Output Transformer Less). Le prime sono certamente più affidabili poiché in esse è impossibile il passaggio di corrente continua, si dividono in SE (Single Ended) e PP (Push Pull). Nella SE il carico è applicato all'anodo di un tubo, questa è la configurazione che per prima è stata implementata e solo dopo è venuto il PP, in cui una valvola "spinge" e l'altra "tira". Per realizzare un Push-Pull bisogna cambiare di segno il segnale d'ingresso, il quale andrà a pilotare la seconda valvola in controfase. Questo, così sfasato di 180°, verrà poi rifasato dal trasformatore d'uscita, che ha a sua volta gli avvolgimenti in controfase. Si tratta di una configurazione sicuramente vantaggiosa dal punto di vista del rendimento perché consente il raddoppio della potenza fornita da un tubo. Cosa avviene pero? Malauguratamente il PP ideale, quello che si dà perfettamente bilanciato, cancella le armoniche pari, proprio quelle che piacciono di più all'orecchio. Nel Single Ended, al contrario, tutte le armoniche sono presenti ma prevalgono nettamente quelle pari, cosa evidente all'analisi spettrale. Una scuola di pensiero e progettazione tiene in debito conto questa evidenza tecnica, andando nella sua direzione, se ovviamente si è persuasi della maggior dolcezza che arreca al suono. Nella realtà, il carico dell'amplificatore è rappresentato dal diffusore che, riportato al primario, è quello che si presenta ai tubi di potenza.

 



La caratteristica di trasferimento di un valvolare è completamente diversa da quella di un amplificatore che utilizza i transistor, il quale tende a comportarsi come un generatore di tensione ideale a causa della resistenza interna molto bassa. Dimostrazione è il fatto che le moderne amplificazioni a stato solido raddoppiano la potenza erogata al dimezzarsi del carico. Un diffusore reale presenta all'elettronica un carico piuttosto complesso, formato da resistenza, capacità e induttanza, con dei parametri che per sovrappiù variano in regime dinamico, influenzati da ciò che in un dato momento il sistema sta emettendo. Va da sé che non è minimamente assimilabile a quella resistenza pura che viene adoperata nel corso delle prove. L'industria audio non ha mai standardizzato un carico fittizio che si avvicinasse alle caratteristiche di un diffusore reale, anche perché (nota mia) ogni diffusore è diverso in questo senso da un altro.


LA CONTROREAZIONE TOTALE

Detta anche retroazione negativa, è una rete che riporta all'ingresso una parte del segnale d'uscita, in opposizione di fase, il quale viene sommato algebricamente a ciò che si trova all'ingresso. Anche qui, un conto è un carico puramente resistivo e un'altro quello offerto da un diffusore. Basta guardare il modulo e argomento d'impedenza per rendersene immediatamente conto. Le moderne tendenze nel campo delle amplificazioni sono indirizzate a escludere, o quantomeno limitare, la controreazione, foriera di numerosi benefici come l'abbassamento del tasso di distorsione, la diminuzione della resistenza d'uscita e l'aumento d'ampiezza della banda passante. C'è tuttavia una controindicazione: se si fa l'analisi della stabilità, ci si accorge che il sistema stabile per definizione è quello non controreazionato. È abbastanza intuitivo capirlo in quanto se nulla si toglie (o si aggiunge nella retroazione positiva), il segnale all'ingresso non cambia di una virgola mantenendosi inalterato. La sfida che Dorino Maghini lancia è quindi quella di produrre oggetti che distorcano prevalentemente di seconda armonica, senza controreazione, sfruttando la tipologia Single Ended. Si tratta di una visione diversa da quella di Giulio Musitelli, che prima di tutto si rifiutava di utilizzare le valvole nei suoi progetti e poi mirava al massimo contenimento della distorsione, tramite anche la retroazione negativa.


LE RILEVAZIONI STRUMENTALI

 



Arringata nell'aula 101 c'era la strumentazione che sarebbe servita a mostrare gli spettri di distorsione. Era costituita da un generatore di frequenze, in pratica un oscillatore sinusoidale a distorsione ultra bassa, un Krohn-Hite Model 4400A piuttosto vecchiotto ma ancora valido, considerato che è in grado di fornire un segnale affetto soltanto dallo 0,0001% di distorsione. Completavano il setup un attenuatore della Hewlett Packard, un dispositivo per fare una regolazione fine del segnale in ingresso e il cuore della misura: una scheda della National Instruments, montata all'interno di un PC, che ha consentito l'analisi spettrale tramite la FFT (Fast Fourier Transform). L'ingegner Marco Grandi si era gentilmente prestato, al di là dei suoi impegni di lavoro (il giorno prima dell'evento era in Islanda), a collaborare con Dorino Maghini per effettuare le misure. Dei quattro amplificatori presenti, uno era un finale di potenza stereo a MOSFET da 55 Watt per canale su 8 Ohm (e circa 80 Watt su 4 Ohm), ultimo progetto di Giulio Musitelli, che Dorino si è fatto prestare dall'ingegner Negri di Abbiategrasso, che l'aveva acquistato direttamente dal progettista. Dovrebbe essercene in circolazione un altro esemplare, dotato di VMeter gialli sul pannello frontale. Gli altri tre amplificatori erano dotati di chassis in alluminio, moderni e tutti valvolari Single Ended di potenza relativamente bassa, progettati e costruiti dallo stesso Maghini. Le potenze erogate da questi finali vanno da dodici a diciotto Watt. Presente anche un oggetto sperimentale.

 

Marco Grandi



Chi volesse saperne di più non deve fare altro che leggere il mio articolo "HDC - Una storia di tecnica e passione", apparso nel febbraio 2017, dove si parla diffusamente della storia di questo esperto progettista e del suo marchio. Nel setup suonante figurava l'ultima sua creazione, un amplificatore finale di potenza monofonico implementante soluzioni tecniche "limite" dal punto di vista termico, tanto da assumere un carattere quasi sperimentale. In questo modello, l'HDC300B3, la dissipazione del calore prodotto dai tre tubi di potenza dovrebbe essere un po' superiore a quella permessa dal "case", il medesimo dove vengono impiantate tutte le sue sperimentazioni, con il tentativo di promuovere questi oggetti al pubblico. Un'altra sua particolarità consiste nel fatto di essere un SE parallelo con tre 300B, numero che di solito non viene usato se non estremamente di rado, tra l'altro montate in senso orizzontale.


LA PROVA D'ASCOLTO

 



Porta d'ingresso conclusiva di ogni disquisizione sull'alta fedeltà, dopo aver parlato di tecnica si è passati alla parte probabilmente più piacevole dell'evento, l'ascolto, conferma o smentita sulla validità delle teorie circa il disegno spettrale più apprezzato all'orecchio. Il primo a essere testato e il "PWR High Performance Stereo Power Amplifier" di Giulio Musitelli, collegato a due vecchie glorie dell'elettroacustica, una coppia di Tannoy Berkely (1981) equipaggiate dal mitico "Dual Concentric", brevetto dell'azienda inglese fondata da Guy Fountain e diventato l'emblema stesso del marchio. In questo grosso due vie da pavimento gli altoparlanti sono coassiali, incrociati a 1200 Hz, con il woofer è posizionato davanti al tweeter. Del miglior vintage in circolazione, questi sistemi sanno farsi valere ancora oggi con una rappresentazione tridimensionale molto ampia, dotate di un incredibile feeling "live" e in grado di sonorizzare senza problemi un'aula universitaria. Abbastanza anziana ma forse non proprio vintage la sorgente digitale, un lettore CD Tascam CD-RW5000 che ha fatto benissimo il suo dovere. Il PWR è un finale di potenza poco controreazionato, dall'impedenza d'uscita di 0,5 Ohm, che nonostante sia uno stato solido ha mostrato alle misure una prevalenza della seconda armonica, in un rapporto però inferiore a quello dell'HDC300B3 di Dorino Maghini. Per inciso, un altro suo finale è stato sottoposto all'analisi spettrale, per la precisione un Push-Pull di 300B portato per l'occasione e dotato di un dispositivo che consentiva di variare il rapporto di modulazione delle due valvole.

 



Riducendo progressivamente il livello d'intervento di una valvola si è così transitati dal funzionamento in PP (condizione di pareggio), al Single Ended, dove una sola valvola partecipava all'emissione. Come volevasi dimostrare, abbiamo assistito a un graduale innalzamento della seconda armonica nel passaggio dalla prima alla seconda configurazione. È stato evitato di collegare un preamplificatore attivo tra sorgente e amplificatori finali, ma si è adoperato semplicemente un dispositivo passivo (un semplice potenziometro Alps montato in uno scatolotto con ingressi e uscite), al fine di non condizionare il comportamento timbrico dei finali. Per l'ascolto purtroppo non era rimasto molto tempo a disposizione e ci si è limitati ad ascoltare due soli brani: "I Shall Be Released" di Bob Dylan e "Voi ch'amate lo Criatore" cantata da Mina. Personalmente, mi ha convinto di più l'HDC300B3, con la voce di Mina più trasparente. Ho ritrovato tutta la melodiosità e incantevole bellezza in gamma media delle 300B. Luminoso il pianoforte, a fronte di una prestazione tonalmente più scura e anche leggermente confusa del PWR, apparso a mio parere meno brillante e più lento del valvolare. Valutazione opposta quella del musicista presente in sala, subito dichiaratosi di parte in qualità di fratello del compianto Giulio Musitelli. Secondo lui l'HDC ha "accumulato" le frequenze, schiacciandole e privandole delle armoniche, fenomeno evidente nell'ascolto dell'armonica a bocca di Dylan.

 



Questo strumento non ha per sue natura un timbro puro ma emette più suoni contemporaneamente. Secondo Musitelli, nel primo ascolto (PWR) la distorsione era più controllata e reale, si sentiva il suono autentico di un'armonica amplificata mentre il secondo (HDC300B3) comprimeva una sull'altra le frequenze, producendo un unico suono centrale che in realtà risultava fastidioso. Ha parlava inoltre di suono "distorto e artefatto", riferendosi al valvolare, che dava fastidio all'udito. In evidente dissenso con queste a mio parere avventate affermazioni, non solo Dorino Maghini ma anche diversi dei presenti, che hanno voluto esprimere un loro punto di vista. Per di più il musicista ha lamentato una diminuzione dell'effetto stereo. Uno degli astanti ha deposto per un piacere d'ascolto nettamente a favore del valvolare.

 




Alfredo Di Pietro

Marzo 2018


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