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viernes, 19 de abril de 2024 ..:: Schubert - Impronte Musica ::..   Entrar
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 Schubert - Impronte Musica Minimizar


 

 

Una bella sorpresa. Il libro "Schubert" esce in edicola in allegato al giornale La Repubblica (ma non era necessario acquistare il quotidiano), in collaborazione con l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Comincio con una nota forse prosaica, ma importante: per stamparlo si è usata una carta particolare, con cellulose senza cloro gas provenienti da foreste controllate e certificate, nel rispetto delle normative ecologiche vigenti. Un dettaglio che ben predispone alla lettura e a sfogliare quella carta non perfettamente sbiancata che dà la sensazione di avere tra le mani un libro antico. Si avverte un'impagabile sensazione tattile che oggi probabilmente va svanendo, sempre più avvezzi come siamo alle schermate di uno Smartphone o di un PC. Questo non è il primo libro della collana "Impronte Musica" ma il tredicesimo di venti, tutti dedicati a grandi musicisti del passato. Per la verità, il nostro telefonino serve comunque se vogliamo ascoltare la playlist Spotify: nella terza di copertina trovate le semplici istruzioni per farlo e il codice da inquadrare per sentire l'infilata di brani approntata per noi. Lo confesso, con la sua copertina in cartoncino sottile, sulle prime ho avuto la sensazione di approcciarmi a una sorta di "bignamino", cioè un manualetto che raccoglie in forma semplificata nozioni scolastiche, votato al didascalico più che alla trattazione argomentata. Ma si farebbe un torto agli autori nel considerarlo tale, anche se l'intento divulgativo è palese, nell'impaginazione, nelle numerose immagini monocromatiche che riportano personaggi e luoghi dell'epoca, nei vari inserti che spiegano il contesto storico in cui si muoveva il compositore e i rapporti con le altre arti (Il mondo intorno).

Una bella nota a pagina 98-99 parla di quel particolare strumento che è l'arpeggione, un ibrido tra il violoncello e la chitarra ideato nel 1823 dal liutaio viennese Johann George Stauffer, cui Schubert dedicò la Sonata in la minore D 821. Si potrebbe rimanere ingannati sulla reale paternità di questo libro poiché nell'aletta anteriore leggiamo una breve nota su Luca Ciammarughi e ritroviamo il suo nome anche nel frontespizio. In realtà nel colophon, insieme con altre informazioni veniamo a sapere che "Schubert" è frutto di un lavoro a sei mani: l'introduzione e la playlist Spotify sono di Angelo Foletto, Gabriele Dadati ci racconta la vita mentre Luca Ciammarughi si occupa dell'opera e della discografia. Ma si sentiva la mancanza di un testo dedicato al grande compositore viennese? A giudicare dal capitolo "Esplorazioni", presente nello stesso libro, si direbbe di no, visto che sotto la voce "Da leggere" ci sono dieci libri (di cui uno scritto da Ciammarughi) che sono certamente di grande aiuto per chi vuole approfondire la conoscenza di quest'autore. Dieci è naturalmente un conteggio parziale, probabilmente una "summa" bibliografica passibile d'infinite ulteriori diramazioni. La risposta al dubbio di essere questo testo una superfetazione, sta tutta nella lettura del cappello introduttivo "Il compositore che visse due volte", e nelle sue tre parti principali de La vita, L'opera e la Discografia. Anche se nel 1839 Robert Schumann, dimostrando grande generosità, lo fece rivivere grazie alle sue attenzioni di critico, non lo si può tuttavia dichiarare, ancora oggi, completamente risorto.

Affiora così una prima ragione d'interesse verso questo libro fresco di stampa, un valore aggiunto consistente nella ferma opera di destrutturazione dei pregiudizi che hanno accompagnato Schubert nel tempo e non ancora del tutto abbattuti. Troppo spesso il buon Franz si è visto appioppare definizioni immeritate, ritenuto un perdente, un sentimentale da salotto; alcuni hanno ironizzato sulla sua omosessualità conclamata tracciando un parallelo con una musica che, secondo loro, sapeva di effeminato. Soltanto a Novecento avanzato, dicono Foletto e Ciammarughi, si è iniziato a comprendere veramente la sua unicità, la sostanziale originalità della sua poetica da "sonnambulo", quella "Himmlische Länge" (Lunghezza celeste) che strideva con delle composizioni più o meno rigidamente messe in piedi entro canoni prestabiliti. Ascoltare Schubert dona un grande senso di libertà, di naturale contatto con la terra, madre o matrigna che sia. Lo stesso Glenn Gould si dimostrò a lui avverso: "Credo di non avere alcuna inclinazione verso la gran parte della musica di Schubert, non riesco a scendere a patti con quest'uso assiduo della ripetizione e mi scopro assai irrequieto e mi agito quando si tratta di arrivare fino alla fine di queste lunghe narrazioni". In altra occasione però, forse perché riuscito infine a entrare nella circolarità psicologico/creativa del compositore, riconobbe: "... io mi trovai in uno stato di trance, come sotto ipnosi. Di colpo dimenticai tutti i miei pregiudizi sulle strutture ripetitive nella musica di Schubert: dettagli musicali che prima consideravo puramente strumentali si rivelarono come elementi costitutivi della musica tanto che io posso ricordarne molti ancora oggi.

Mi sembrava di esser testimone dell'unione di due qualità da me fino ad allora ritenute inconciliabili ovvero la profondità analitica e la spontaneità che lambisce l'improvvisazione". Ecco che questo testo, scritto con sapienza ed esemplare chiarezza, ci aiuta a sentire questa lunghezza come un qualcosa di strettamente connaturato alla personalità e agli intenti artistici di Franz Schubert. Nel fluire della narrazione letteraria, dopo la parte dedicata alla vita si entra a piè pari nel profondo dell'autore, grazie alla testimonianza di Luca Ciammarughi, pianista, critico musicale, saggista, conduttore radiofonico e indefesso divulgatore musicale. Lui ci dice subito che non c'è un solo Schubert poiché in un unico uomo convivevano due anime. Come ebbe a dichiarare l'amico di gioventù Kenner, una lo spingeva verso il cielo e l'altra sguazzava nel fango. Un'arte, la musica, che può essere carnale e insieme celestiale, come intuì anche Pier Paolo Pasolini in una sua riflessione, dopo l'ascolto della violinista Pina Kalc alle prese con J.S. Bach: "Ogni volta che lo riudivo mi metteva, con la sua tenerezza e il suo strazio, davanti a quel contenuto: una lotta, cantata infinitamente, tra la Carne e il Cielo, tra alcune note basse, velate, calde e alcune note stridule, terse, astratte... come parteggiavo per la Carne!...". Nel libro si afferma ben chiaro che già dalla prima metà del '900 gli studi musicologici e qualche interprete illuminato sbugiardarono i cliché, i luoghi comuni, ponendo l'attenzione sul vero valore di questo musicista meraviglioso. Anche la sua presunta semplicità, al limite dell'ingenuità, a un'attenta analisi delle sue partiture si rivela del tutto infondata.

Il pianista Alfred Brendel, tra i maggiori interpreti del genio viennese, affermò che "L'ingenuità di Schubert lascia spazio a molta sofisticatezza". Fu innovatore nella forma, nel linguaggio e nel trattamento tonale/armonico, con rilevanti echi nei compositori a venire, nel Novecento, e non solo di musica classica. Se ne parla ne "L'eredità", dove lo si considera a tutti gli effetti non soltanto come un anticipatore, nelle visionarie arditezze armoniche, dell'arte di Schönberg, Berg e Webern, ma anche come "suggeritore" in ambito Rock Progressivo di audaci modulazioni armoniche; suoi debitori sono i Pink Floyd o i Genesis, per citarne solo due. Questo libretto, nel corso della sua lettura mi ha vieppiù sorpreso per la sua ambizione a fornire una panoramica che fosse la più completa possibile del compositore, senza trascurare od omettere praticamente nulla. In questa tensione all'esaustività, pur condensata in non molte pagine, Luca Ciammarughi fa davvero la parte del leone. Da profondo conoscitore di Schubert, ci parla delle ragioni della sua importanza e apprezzamento, elargisce intelligenti notazioni sullo stile, sempre corredate da quegli addentellati storico-politici che vanno poi a fondersi con gli elementi più intimi della sua poetica. Disquisisce sulle composizioni: lieder, musica per pianoforte, musica da camera, sinfonie, musica sacra e teatro, argomento quest'ultimo rivelatore di una peculiare grandezza in questo genere che solo pochi interpreti hanno saputo individuare e valorizzare.

Completa il libro una ricca carrellata d'incisioni discografiche, divise secondo il genere, molto proficue per la comprensione di quanto il progresso interpretativo abbia messo in grado l'ascoltatore di riconoscere uno Schubert autentico, svincolato da indebiti parallelismi con altri autori e due paginette di "Glossario", con diverse voci esplicative delle cose di musica. Ma cosa rimane dopo la lettura di questo libro su Franz Schubert, quale il retrogusto? Innanzitutto la conservazione di una rara coesione nel ramificarsi degli argomenti trattati, la determinazione nel non lasciare nulla d'irrisolto o in ombra di questo straordinario compositore a cavallo tra classicismo e romanticismo. In 165 pagine non dev'essere stata affatto agevole l'opera di sintesi, se pensiamo all'enorme mole di composizioni che ci ha lasciato, nonostante la dipartita in giovane età, e la rimarchevole complessità della sua personalità. Possiamo prendere questo testo, se vi garba, come un fascio di luce che filtra da una finestra illuminandoci il volto e rendendo le cose più chiare. Lo stimolo a una conoscenza più approfondita, un avvincente viaggio guidato dal timone della wehmut (malinconia), il sentimento che forse meglio rappresenta il suo passaggio terreno, senza la zavorra di stantii cliché, regalatoci da tre eminenti esperti che qui hanno riversato la loro passione e perfezione di prosa. Concedetemi, in ultimo, una mia riflessione personale su Schubert, che credo di aver compreso (forse ancora parzialmente) solo in età non più giovane.

Ci vuole una vita per capire Schubert, intesa come viaggio itinerante tra le stagioni della vita, finché l'ultimo passo non è fatto. Per me lui è e rimane il simbolo di un dilemma irrisolto, probabilmente irrisolvibile, di questi nostri tempi, dove impera il culto della visibilità, concesso primariamente a persone brillanti, appariscenti, che sanno come sgomitare per infoltire la loro collezione di "like" sui Social. Un personaggio come Schubert rappresenta l'antitesi di questo fenotipo umano oggi imperante, un uomo dai comportamenti dimessi, mai protagonistici o sgargianti, ma intrinsecamente ricco di una profondissima interiorità e, soprattutto, della capacità di saperla trasmettere agli altri. "Schubert" è un libro che consente di coglierne la voce sottile, amplificandola e portandola a noi tutti con lampante evidenza.


Alfredo Di Pietro

Giugno 2020


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