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INTRO

Nella frenesia della vita quotidiana, che spesso impone un afinalistico correre e agitarsi, un concerto come questo può rivelarsi un modo per recuperare un clima esistenziale più a misura d'uomo. Lo stesso quartiere di Baggio, vicino ma allo stesso tempo idealmente lontano dalla caotica Milano, con il suo centro storico dalle sembianze di borgo antico sembra aver resistito agli assalti di un'invadente modernità metropolitana. È la sua "inattualità" a sorprendere, a invitare a una raccolta contemplazione. Si riceve una sensazione quasi straniante nel percorrere quelle piccole vie, soprattutto per chi, come me, ha viaggiato in treno per una mezz'oretta, poi è sceso a Piazzale Luigi Cadorna, salito sul tram linea 67 (Baracca - Scanini) e arrivato a destinazione dopo tredici fermate. Dopo aver percorso circa quattrocento metri a piedi mi ritrovo in via Ceriani 3, al cospetto della Chiesa Vecchia di Baggio. Il campanile romanico è in piedi dall'anno 1000, mentre la parrocchia fu edificata nel 1628 dal Cardinale Federico Borromeo. La chiesa è stata più volte ricostruita; l'ultima, con conseguente riconsacrazione, risale all'anno 1875, dopo che fu devastata da un incendio talmente violento da rendere necessario nel 1870 il suo abbattimento. Non amo infilare di straforo polemiche nei miei report, ma credo proprio che oggi avrebbe bisogno di qualche importante intervento di restauro giacché, durante il concerto e al verificarsi di un intenso rovescio, si sentiva la pioggia cadere in prossimità della navata laterale sinistra.

 



Per quanto "poetica" possa apparire la situazione, generatasi nel bel mezzo dell'esecuzione del Quintetto "La Trota", la realtà dei fatti è piuttosto inclemente, sintomatica della "cura" che le alte autorità statali hanno per il patrimonio storico del nostro paese. Apro e chiudo la parentesi, nella speranza che chi di dovere sia un po' meno sordo, non dico alla musica ma al patrimonio artistico nella sua generalità. Per la seconda volta partecipo a un appuntamento della Primavera di Baggio, Festival giunto ormai alla 17° edizione, cui i direttori artistici Davide Cabassi e Tatiana Larionova tengono molto. Nell'aprile 2017 il maestro Cabassi ebbe la bontà di concedermi un'intervista. Ne riprendo una parte, relativa proprio a questo evento, dove lui stesso ce ne presenta origini e ragioni. Non è per pigrizia che affido a lui la presentazione, ma perché credo possa farlo meglio di quanto io sia in grado: "È una manifestazione cui teniamo tantissimo perché si tratta di una stagione concertistica fatta su base assolutamente volontaria. Chi viene lo fa soltanto per la gioia di suonare e di portare una luce in un quartiere della periferia di Milano che non ha attività culturali di grande rilievo. Abbiamo la fortuna, nel Municipio 7, di poter contare sulla straordinaria stagione organizzata da Luca Schieppati a Spazio Teatro 89, che però è un po' fuori mano rispetto al centro storico di Baggio. Ci siamo resi conto che i ragazzini del quartiere, che pur studiavano musica nelle scuole vicine, non avevano praticamente nessuna possibilità di andare al centro per sentire concerti, al Conservatorio o alla Scala, allora abbiamo deciso di portare noi il centro in periferia.

 



Questo progetto ha coinvolto a poco a poco tutte le associazioni di quartiere, la popolazione stessa. È fiorito così un evento che è una grande festa intorno alla stagione di musica da camera e sinfonica. Prima dei concerti si mangia e si beve, grazie all'offerta delle associazioni. Prepariamo dei programmi molto seri ma presentati in maniera informale, amiamo il dialogo con il pubblico, cimentandoci anche con delle serate di jazz e folk. Ci siamo divertiti a fare una specie di X-Factor tra due squadre che si sfidavano con brani musicali diversi, coinvolgendo il pubblico con le votazioni. Il nostro sforzo consiste nel mantenere una proposta professionalmente al massimo livello ma che sia la più amichevole possibile. Devo dire che si tratta di una formula che sta funzionando alla grande e della quale siamo molto orgogliosi. Per avvicinare di più i giovani alla musica bisogna fare delle cose molto semplici, la prima è scendere dall'altare, smettere di considerarsi dei sacerdoti che dispensano il verbo dall'alto della loro immensa sapienza. Noi siamo persone normali che lavorano, seriamente dedite alla nostra attività. Da persone comuni, dobbiamo portare la musica ad altre esattamente come noi. Scendendo dal piedistallo, vogliamo dimostrare alla gente quanto noi amiamo quello che facciamo. Tante volte si è creata una barriera sentimentale tra l'interprete e il pubblico, questo ti segue su sentieri anche molto impervi se capisce che tu ami davvero quello in cui ti stai impegnando.

 



Credo che questa sia la cosa fondamentale: un modo diverso di porre la musica. Dovremmo anche smettere di lamentarci del sistema, in Italia siamo bravissimi a dire che non funziona niente, che il nostro è un paese difficile. Siamo noi invece che dobbiamo cambiare le cose, arrotolarci le maniche e sporcarci le mani andando incontro al pubblico, non aspettare più che questo venga ad adorare le tavole dell'alleanza al monte". Milano 04/05/2018, terzo appuntamento della Stagione Concertistica Internazionale Primavera di Baggio, i principi fondativi di questo bellissimo Festival permangono inalterati, sostanziandosi in una manifestazione che anche negli aspetti logistici vuole rimanere sempre uguale a se stessa. Innanzitutto la splendida accoglienza, parlo dell'ottima degustazione che era stata preparata dai membri del Gruppo Acquisto Solidale Dimensioni Diverse. Un plauso va certamente anche a loro, "in primis" per la gentilezza e poi per la bontà delle loro preparazioni gastronomiche (buonissimi i crostini con la salsa verde e i fagottini vegani!). Poi le dimensioni "quartieristiche" dell'evento, dove per queste intendo il mero dato dello spazio, della capienza della location. Queste stridono fortemente con la qualità - superlativa - delle esecuzioni, davvero di respiro internazionale, nonché la cura con cui sono composti i programmi di sala. Non si tratta tuttavia di un "minus". A proposito, sarebbe il caso di rispolverare un'affermazione del grande Seneca, per il quale in qualunque punto della terra ci si può innalzare all'universale. Terzo punto, anche questo irremovibile nelle desiderata dei direttori, la completa gratuità degli eventi, con la possibilità di fare un'eventuale donazione. Davide Cabassi è così: un idealista puro e duro.


UNA SCHUBERTIADE A MILANO


Primavera di Baggio - Chiesa Vecchia di Sant'Apollinare in Baggio - 04/05/2018

Franz Schubert

Fantasia in fa minore per pianoforte a quattro mani Op. 103, D. 940

1)    Allegro molto moderato
2)    Largo
3)    Allegro vivace
4)    Con delicatezza

Davide Cabassi e Tatiana Larionova, pianoforte

Quintetto per pianoforte in la maggiore "Forellen-Quintett" (La trota) Op. 114, D. 667

1)    Allegro vivace
2)    Andante
3)    Scherzo. Presto
4)    Tema con variazioni. Andantino
5)    Allegro giusto

Clarissa Bevilacqua, violino
Elena Faccani, viola
Marco Decimo, violoncello
Enrico Fagone, contrabbasso
Davide Cabassi, pianoforte

 




Difficile se non impossibile l'impresa per un "gazzettiere" come me, chiamato a restituire con foto e parole una seppur minima parte del clima di festa che il pubblico ha potuto vivere nella Chiesa Vecchia di Baggio. Annoto con grande piacere anche in quest'occasione (ma si tratta oramai di una costante...) il riscontro di una sempre larga ed entusiastica partecipazione del pubblico, radunatosi folto per l'appuntamento musicale: tutti i posti a sedere erano occupati e c'erano anche parecchie persone in piedi. Davide Cabassi riprende l'ottima abitudine di corredare la musica con una spiegazione preventiva, senza voler ovviamente trasformare la serata in una lezione-concerto. Prende la parola dopo la presentazione del sacerdote, racconta la storia dei due capolavori schubertiani che di lì a poco avremmo ascoltato, non fa mancare qualche addentellato tecnico, come la distanza tra le tonalità dei vari momenti che compongono la Fantasia D. 940, per esempio il passaggio da fa minore a fa diesis minore (due tonalità fra loro lontanissime) tra prima e seconda parte, e ancora fa diesis minore e re maggiore. Ma è il tono con cui le parole sono dette, ancor più che il loro significato, a denotare il profondo rispetto che il pianista milanese nutre per queste composizioni e per il loro autore. Messa da parte ogni retorica, per'altro giustificabile dall'occasione, spicca il volo una visione rigorosa, equilibrata tra il valore interiore che hanno queste pagine "miracolose" (e l'ultimo anno di vita di Franz Schubert lo fu realmente in quanto a grandezza e prolificità della produzione) e i riferimenti storici.

 



Davide e Tatiana si siedono al pianoforte, il silenzio si fa fitto, un piccolo cenno d'intesa e la musica inizia. Nella percezione generale, le sei Fantasie che Schubert scrisse sono con sicurezza ascrivibili al genere grazie a degli elementi ben riconoscibili, quelli di una marcata connotazione poetica, un'intensa liricità dove l'immaginazione può vagare senza stringenti dettami formali, espressione della libertà creatrice dell'autore. Nella loro interpretazione i due pianisti, che mostrano sin dalle prime note un affiatamento fuori dal comune, si mostrano particolarmente sensibili alla differenziazione delle atmosfere evocate, fugando il sopraggiungere di eventuali sensazioni di piattezza. Quell'erratico vagare viene reso con dei calibratissimi rubati e con una magnifica gestione dell'agogica, in un clima che possiamo definire eminentemente romantico. C'è un feeling che rapisce immediatamente l'ascoltatore, una notevole congruenza interpretativa che porta questa Fantasia a sgorgare come se fosse plasmata dalle mani di un solo esecutore. Una finalità d'intenti realizzata però da due personalità che appaiono diverse nel loro approccio alla tastiera: concentratissima, pronta a scolpire ogni suono nella sua drammatica incisività Tatiana Larionova. Spigliato e sicuro di se Davide Cabassi che, sotto l'aspetto un po' "guascone", nasconde invece un'aderenza rigorosa al testo, poco incline alle licenze, sempre tesa a una visione lucida e omogenea della materia musicale. Divisa in quattro momenti, la Fantasia D. 940 esordisce con un ritmo puntato che ha in sé un qualcosa di dolente, di estenuato nell'incedere.

 



Segue il Largo, spostato su una tonalità molto distante (fa diesis minore) rispetto all'iniziale fa minore dell'"Allegro molto moderato", reso dal nostro duo con una tragica teatralità. Il dialogo è teso, giocato sull'alternanza di poderosi accordi che suscitano nella controparte una risposta fatta di trilli, quasi dei lancinanti urli di dolore. Un botta e risposta che evoca l'andamento di un concitato duetto d'opera, il quale da drammatico diventa sensuale a partire dalla misura 134, per poi ritornare rapidamente al clima iniziale. Lo Scherzo si affaccia mosso da un notevole impulso ritmico, il tema è cineticamente vivace, quasi travolgente, in un andamento che tende non dimenticare mai il dolente assunto iniziale. A questo si ritorna nonostante i numerosi momenti modulanti e il continuo pencolamento tra tonalita minore e maggiore. Nell'Allegro vivace (Tempo I) si rientra in quel moto interiore che ha generato la composizione, il discorso si tronca bruscamente per lasciare posto a un nuovo inizio, dove ricompare l'originaria pulsazione ritmica. Ma la delicata e introspettiva inquietudine viene presto travolta, lasciando posto a un tumulto che sembra prendere il sopravvento su tutto. Un fugato di notevoli proporzioni compare a partire dalla misura 474. Senza più "ritegno" si scatena una tempesta che avanza vorticosa, sino al suo esaurimento una volta raggiunto l'acme. I marosi si placano e riappare ancora una volta il lirico e sofferto tema in fa minore, repentinamente troncato nelle ultime battute, che appaiono come degli estremi colpi di coda. Il duo pianistico Cabassi-Larionova sorprende per l'estrema capacità di concentrazione, per la tenuta drammatica non monoliticamente estrinsecata ma ricca d'inflessioni nei punti di congiunzione dei diversi frangenti espressivi.

 



Decisa, priva d'incertezze anche nei momenti di maggior intrico polifonico (come nel fugato dell'ultimo movimento) la loro tecnica, a tutto vantaggio della chiarezza percettiva da parte dell'ascoltatore. Una grande prova, davvero... Secondo un coinvolgente e ben oliato ingranaggio che ha portato a comporre il programma di sala, alla tragicità della Fantasia in fa minore D. 940 segue il liberatorio Quintetto per pianoforte in la maggiore "La trota" Op. 114, D. 667, l'altra metà della luna di questa memorabile serata. Lontane da perturbanti soprassalti esistenziali, le varie scene che si susseguono sono la quintessenza della serenità e in qualche modo ristorano gli animi dalla prima composizione ascoltata. Le delizie del Quintetto D. 667 ci vengono proposte da una formazione cameristica di elevata caratura. Clarissa Bevilaqua al violino, Elena Faccani alla viola, Marco Decimo al violoncello, Enrico Fagone al contrabbasso e Davide Cabassi al pianoforte ci trasportano in un'atmosfera che vira verso una somma eleganza e piacevolezza, forse ingannevoli perché possono portare a sottovalutare la sostanza musicale, a sottostimare le formidabili innovazioni armoniche del giovane Schubert, un compositore mai supponente, che mai digrigna i denti nel donarci le sue gemme preziose, in questo caso splendenti di una sopraffina viennesità. Negli occhi e nelle movenze dei cinque musicisti si legge la gioia del fare musica, la costruzione di un mondo ideale dove si può amabilmente colloquiare senza impacci, senza che fattori esterni alla musica si mettano di traverso a turbare il clima olimpico instauratosi.

 



Il "Forellen-Quintett" è un'opera giovanile, composta nel 1819, quando Franz Schubert aveva ventidue anni. Era in un momento particolarmente sereno della sua vita. Quell'estate trascorse un lungo periodo di vacanza a Steyr, paese di nascita dell'amico Johann Michael Vogl, baritono e compositore. Nella città li raggiunse poi Albert Stadler, anche lui amico di vecchia data di Schubert. Soggiornarono presso il dottor Schellmann, facendo lunghe passeggiate e concerti casalinghi. Un clima disteso e amichevole che traspare completamente da questo popolare quintetto, il cui organico è in qualche modo anomalo, essendo formato dal pianoforte e da un quartetto d'archi in cui suona un solo violino con l'aggiunta del contrabbasso. Quindi violino, viola, violoncello e contrabbasso, come richiesto da Sylvester Paumgartner, il personaggio che aveva commissionato il lavoro a Schubert. Nonostante sia un capolavoro, per un crudele gioco del destino venne pubblicato solo nel 1829, un anno dopo la morte del compositore. L'ensemble cameristico coglie con rara sensibilità quel clima fresco e amabile che si presenta sin dall'Allegro vivace di apertura, dove veniamo trasportati come d'incanto nella meravigliosa natura dell'Alta Austria. È Davide Cabassi che fa da Cicerone disegnando un arpeggio ascendente in terzine, preceduto da un accordo di minime, che ha quasi il significato di un soffermarsi brevemente prima dell'ascesa verso incantevoli panorami. La miracolosa inventiva melodica schubertiana trova nell'elemento acqua quello più congeniale al suo svilupparsi, una liquidità sorretta da una raro dinamismo ritmico.

 



E pregno di una serena cantabilità è anche il successivo Andante in fa maggiore; la pace è appena screziata da qualche malinconica nube nel secondo episodio, più mosso anche nell'incedere ritmico. Ma la tranquillità torna al ripresentarsi del primo tema. Il breve scherzo si risolve in un'iniezione di grande energia. Scattante e deciso, al suo interno appare il Trio in re maggiore, che rompe l'irruenza iniziale dando avvio a un clima di sognante malinconia. Episodio "clou" il quarto movimento, quel "Tema con variazioni" che riprende il motivo del Lied "Die Forelle", composto da Schubert nel 1817 su testo di Schubart, una richiesta di Paumgartner motivata probabilmente dalla fascinazione che ne ricevette sentendolo. Dopo l'esposizione dei soli archi, insapidita dal ritmo puntato, seguono cinque variazioni una più bella dell'altra, un trionfo di buon umore mai interrotto da marezzature malinconiche, a differenza di quanto accade negli altri movimenti. Un delizioso finale "Allegro giusto" chiude questo capolavoro, indicato dall'autore "all'ongarese", in ossequio al folklore magiaro che aveva incontrato nell'estate dell'anno prima a Zseliz, durante il suo  servizio presso il principe Esterhàzy.Tutti bravissimi i musicisti, con Tatiana Larionova questa volta impegnata come voltapagine. E che tenerezza vedere la giovanissima Clarissa Bevilaqua, violinista appena sedicenne, che sa ammaliare con la sua superiore grazia e impressionare con la sicurezza tecnica del suo stile. Questa piccola stella del panorama concertistico è già famosa ma credo proprio che ne sentiremo parlare sempre più negli anni a venire.

 



A un certo punto del concerto, fuori dalla Chiesa si scatena un acquazzone, breve e violento. L'acqua penetra all'interno della chiesa con il suo scrosciare, non ne vengo disturbato. La violista Elena Faccani accenna un sorriso... Un brusio leggero, come un argenteo rivo che all'improvviso si materializza, ha l'effetto di sottolineare la sensazione di freschezza, di liquidità del sublime capolavoro schubertiano. E se in quel momento una trota fosse balzata di scatto tra i cinque musicisti, nessuno si sarebbe sorpreso...

 




Alfredo Di Pietro

Maggio 2018


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