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 Cremona Musica International Exhibitions 2017 - Parte Terza minimieren

UNA MASTERCLASS

 

 

Colpo grosso in Sala Zelioli Lanzini, la stessa che ha ospitato l'intervento dell'ingegner Paolo Fazioli. Un ammirevole contenitore che oggi fonde magnificamente musica, informazione e insegnamento senza soluzione di continuità. Sono tre ambiti in cui i rinnovamenti e il succedersi degli eventi procedono spesso di pari passo, confermandone la sostanziale unitarietà. Un grande marchio di pianoforti, una masterclass e il recital di tre conclamati pianisti, in fondo, tendono a un unico obiettivo: fare da tramite, nelle sue infinite sfaccettature, verso l'arte musicale. Sono circa le nove di mattina quando vedo entrare in sala una giovane pianista, è Gaia Sokoli, diciannove anni dedicati al pianoforte. Conosciamola meglio. Il suo primo approccio al pianoforte avviene grazie alla maestra di musica delle scuole elementari, la quale non tarda a notare la sua particolare predisposizione, consigliandole d'iniziare a suonare uno strumento. Così il pianoforte entra nella sua vita, in realtà quasi casualmente, però da subito diventato la sua più grande passione. Sin dall'inizio s'instaura un rapporto molto intenso con la musica. Comincia all'età di otto anni sotto la guida della professoressa Claudia Boz (tuttora sua insegnante) e dopo appena otto anni si diploma in pianoforte con il massimo dei voti, nel 2014. I suoi sforzi sfociano in una serie di tappe importanti, le quali concorrono alla formazione di un curriculum di tutto rispetto anche se ancora "in itinere". Dal 2013 inizia un perfezionamento con Leonid Margarius presso l’Accademia Pianistica "Incontri col Maestro" di Imola.

Inna Faliks

Gaia Sokoli

Il suo grande talento gli ha consentito di ottenere sino ad ora cinquanta primi premi e primi premi assoluti in vari concorsi. Sempre nello stesso anno le è stata conferita la borsa di studio "Annamaria Molteni Canepa" al Concorso per Pianoforte e Orchestra "Città di Cantù" e nel 2015 è stata selezionata tra i dieci semifinalisti al "I Krainev International Piano Competition", esibendosi presso l'International House of Music di Mosca. Recentemente è risultata finalista al Midwest International Piano Competition di Cedar Falls, negli Stati Uniti, e l'anno scorso è stata vincitrice del 1° Premio della sezione Pianoforte al TIM (Torneo Internazionale di Musica di Torino). Particolarmente ricco è anche il suo bottino concertistico. Ha suonato con diverse compagini, tra cui l'Orchestra Sinfonica di Cannes, Provenza e Costa Azzurra, la Filarmonica "M. Jora” di Bacau" e la Filarmonica "E. Pozzoli" di Seregno, invitata a esibirsi nell'ambito della 53^ edizione dello "Zecchino d’Oro" presso il Teatro Antoniano di Bologna, trasmessa in Eurovisione. Tiene concerti in Italia e all’estero, suonando per festival internazionali in Francia, in Svizzera, in Romania, in Albania e negli Stati Uniti, dove ha vinto il 1° premio al Bradshaw and Buono International Piano Competition, debuttando a soli tredici anni alla prestigiosissima Carnegie Hall di New York. Attualmente prosegue gli studi con il Roberto Prosseda. Gaia siede al pianoforte, traccia con notevole sicurezza tecnica le complesse geometrie sonore dello Scherzo N. 3 di F. Chopin Op. 39, emerge un'esecuzione disinvolta, di grande fluidità.

Si ha subito l'impressione che l'artista albanese abbia inteso dare al suo pianismo una direzione ben precisa, puntando molto sulla spigliatezza del fraseggio, sulla regolarità del racconto musicale, poco disposta alle concessioni agogiche, ai compiaciuti ripiegamenti espressivi. Credo non sia un'opportunità da tutti i giorni poter assistere a una masterclass da parte di un "esterno" come me. Ero giunto in Sala Zelioli Lanzini mosso da grande curiosità per questo tipo di format e non sono stato affatto deluso. Sapevo che una masterclass è una lezione, generalmente impartita da un professionista di alto livello e rivolta a studenti di una particolare disciplina. Ma il dato che più suscitava il mio interesse era il poter apprezzare in che modo la sensibilità e tecnica del docente venisse trasmessa al discepolo. Con queste aspettative ho visto entrare in campo Inna Faliks, il maestro, e relazionarsi con l'allievo. Inna è di origini ucraine, si è affermata come una delle migliori pianiste della sua generazione, attualmente è professore di pianoforte presso la UCLA (University of California, Los Angeles). Artista molto versatile, si trova perfettamente a suo agio sia nei grandi concerti, sia nel ruolo da solista nei recital che nel genere cameristico. Nota anche per le sue collaborazioni con compositori contemporanei, ha debuttato con la Chicago Symphony Orchestra, suonando successivamente sui palcoscenici più prestigiosi del mondo. Ha lavorato con direttori d'orchestra del calibro di Leonard Slatkin e Keith Lockhart.

Vincitrice di numerose competizioni, si è esibita in alcune tra le più prestigiose sale da concerto del mondo, come la Carnegie Hall's Weill Concert Hall, il Metropolitan Museum of Art e la Paris Salle Cortot. Più recentemente ha dato concerti anche in Cina. S'instaura tra lei e Gaia un fitto dialogo, vengono sviscerati diversi passaggi del difficile Scherzo chopiniano. Nel corso della lezione si è andato delineando un preciso percorso interpretativo, un vivace dialogo dove Gaia ha prestato grande attenzione alle parole del maestro, che l'ha stimolata a un maggior approfondimento espressivo nei vari frangenti della partitura. Un insegnamento in cui era assente la percezione della distanza tra i due ruoli. Quelle che ho visto e ascoltato erano due colleghe, due amiche, in piacevole dialogo tra loro, non una maestra seduta in cattedra e una discepola sul banco, fisicamente vicine ma umanamente distanti. Inna è un'artista spontanea, primigenia, del tutto priva, nonostante la sua rilevante posizione nel panorama pianistico odierno, di supponenza. "A Cremona ho avuto la possibilità di lavorare con Inna Faliks sullo Scherzo N. 3 di Chopin, e devo dire che fare lezione con lei è stata una preziosa opportunità. Inna è un'artista con una grande comunicativa che ha saputo trasmettermi la sua idea musicale con grande naturalezza, permettendomi di analizzare aspetti della forma e di sperimentare per ottenere una maggiore varietà sonora mantenendo sempre attiva una ricerca di significato del brano che ho eseguito". Credo che miglior soddisfazione per la pianista ucraina non possa esserci.

 

 

TRE CONCERTI PER UN TRIS D'ASSI

RITRATTI D'ARTISTA

 

 

RECITAL INNA FALIKS

 

Clarice Assad (1978)

Godai, the Five Elements for Speaking Pianist (2014 - composto per Inna Faliks)

   - Wind

   - Fire/Water

   - Earth

   - Ascension

   - Sky

Prima esecuzione in Europa

 

Ludwig van Beethoven (1770-1827)

Sei Bagatelle Op. 126

   - 1. Andante con moto. Cantabile e compiacevole

   - 2. Allegro

   - 3. Andante. Cantabile e grazioso

   - 4. Presto

   - 5. Quasi allegretto

   - 6. Presto - Andante amabile e con moto

 

Franz Liszt (1811-1886)

Mephisto Valzer N. 1

 

Da non molto terminata la masterclass con Gaia Sokoli, Inna Faliks si cimenta con un repertorio che evidenzia in pieno la sua arte sanguigna e insieme raffinata. Il brano d'apertura "Godai, the Five Elements for Speaking Pianist" le è stato dedicato dalla brasiliana Clarice, talento assai versatile, in grado di passare con "nonchalance" dal ruolo di concertista a quello di compositrice e cantante. Un segno importante del moderno embricarsi di arti e attitudini in una sola figura. Nei cinque elementi del pianista "parlante" ci sono i fattori primordiali della sua espressività, con questi Inna rivendica e mostra senza veli il suo pianismo, fortemente attaccato alla terra, alla memoria. Qualsiasi cosa dica, parla un linguaggio non mediato da sovrastrutture intellettuali, dalla grande immediatezza comunicativa e lei, nella sua bella masterclass, ha dimostrato di avere in abbondanza questa dote. Nel corso del recital mostra una sensibilità mai elusiva o ambigua, manifestantesi nella concretezza delle sei Bagatelle beethoveniane, dei piccoli ritratti sonori che penetrano nella sensibilità individuale con facilità, come se queste geniali gemme fossero la cosa più naturale del mondo. Ma non si pensi a un'arte "primitiva", monolitica, anche se non si può negare che quest'aspetto nella pianista ci sia. Lei sa modulare con sapienza ogni frase, dandole il risalto che in quel momento merita. Ecco come questi brevi componimenti musicali dalla struttura formale semplice, le danno il destro per esternare l'indole da incantatrice, il fabbro che sa plasmare le melodie sino conferirgli plastico risalto. Lo spirito di Beethoven spontaneamente reso dalle sue sicure mani, senza artifizi e senza fronzoli. Questo cattura dell'artista ucraina: il saper amalgamare così a meraviglia istinto e sottile introspezione.

Nel diabolico Mephisto Valzer di Liszt abbandona una lettura "calligrafica", recupera il senso del demoniaco avvalendosi della sua fresca espansività, che nulla dell'energia, del vigore insito in questo brano vuole ammorbidire. Lascia una traccia definita del proprio stile da imprimere con forza nelle partiture, uno stile che probabilmente combacia con la sua indole. Inna Faliks è una strumentista istintiva, che sembra voler dirigere tutta la sua notevole capacità d'analisi, di lucido sondaggio della singola cellula musicale proprio nella direzione della pulsione naturale. Alla fine tutto confluisce in un tessuto fatto di roccia e arabesco, di diamante e "humus". Termini solo in apparenza inconciliabili, sintomatici di uno sguardo anche pragmatico alla vita e, di conseguenza, all'arte che la rappresenta. Alla fine del suo elettrizzante recital ci regala un bis lisztiano: "La Campanella", dai grandi studi di Nicolò Paganini. Inna ha un tocco che sa farsi concreto, sostanzioso e carico quando serve, anche nei passaggi in velocità, ma anche etereo e rarefatto nei momenti di stasi estatica, quando decide che è il momento di sostenere con delicatezza raffinate soluzioni armoniche o quando ritiene giusto investire l'ascoltatore con un fascinoso ed elegante lirismo narrativo. La campanella sboccia nelle sue mani con piglio deciso, si confermano le rimarchevoli doti tecniche di cui è dotata. Ne sottolinea i tratti più ruvidi e diretti, tuttavia maternamente mediati dalla sua ubertosa femminilità, riesce a bilanciarli in maniera convincente con i più eleganti. L'impressione di trovarsi di fronte a un'artista dall'importante vissuto è netta, come un'anima che costantemente mescola la sua esistenza con ciò che suona, la miglior garanzia di attendibilità e pregnanza artistica. Questa attitudine a fondere arte e vissuto emerge nello splendido doppio album "Polonaise-fantaisie: The Story of a Pianist". Una serie di brani alternata al racconto della sua vita. Quale miglior suggello di un'identificazione totale tra le due entità?

 

 

RECITAL MAURIZIO BAGLINI

"ARTIGIANATO ITALIANO IN MUSICA"

 

Domenico Scarlatti (1685-1757)

   - Sonata K 466 in fa minore

   - Sonata K 162 in mi maggiore

 

Franz Liszt (1811-1886)

Dai "Grandi studi d'après Nicolò Paganini"

   - 4. "Pizzicato"

   - 5. "La Caccia"

   - 3. "La Campanella"

 

Franz Liszt

   - "à la Chapelle Sixtine" S 461

 

Azio Corghi (1937)

5 Chansons d'élite

   - La carmagnole

   - Vive Henry IV

   - Charmante Gabrielle

   - Romance Patriotique

   - Ah! Ça ira!

 

Cremona MondoMusica mi ha dato l'occasione di rivedere un artista che tanto ammiro: Maurizio Baglini, bello è stato riascoltarlo in un repertorio a lui così congeniale come lo scarlattiano, lisztiano e, perché no, anche moderno, con quel capolavoro di calligrafismo compositivo che sono le "D’après cinq chansons d’élite". Qui ci offre uno scorcio di squisita letteratura musicale, che lui, pianista eclettico, sa padroneggiare come pochi. La sua sopraffina tecnica "di dito" non ha alcun problema a rendere scintillanti le due sonate di Domenico Scarlatti, per le quali, come lui stesso ha affermato, occorre una tecnica da "microchirurgo". Ma non credo sia sufficiente essere in possesso di un infallibile meccanismo digitale per poter esprimere tutto quello che questi capolavori hanno da dire. Occorre anche brillantezza, intelligenza e arguzia, in buona sostanza delle doti naturali, che non si acquisiscono studiando per ore e ore al giorno sulla tastiera di un pianoforte. Mi ricollego al concetto di "vissuto esistenziale", maturato suonando uno strumento da sempre, viaggiando in ogni parte del mondo per esibirsi in concerto, collaborando con gli artisti più diversi, amministrando da direttore artistico un importantissimo teatro e un festival che è diventato nel tempo uno dei punti fermi del concertismo internazionale. È un benevolo e fruttuoso "macigno" che grava sulle spalle di questo straordinario artista, gli consente di affrontare in maniera convincente una difficile partitura come "à la Chapelle Sixtine" S 461 di Franz Liszt. "Pianista sinfonico" mi è piaciuto definirlo in un mio articolo di qualche tempo fa, per la potenza che sviluppa sulla tastiera, dimostra di esserlo anche nella magniloquenza di questo brano che nei massicci blocchi accordali ha un sapore e un'immanenza di stampo organistico.

Questo brano è seguito ai tre dei "Grandi studi d'après Nicolò Paganini" che il pianista pisano ha voluto regalarci. Liszt fu stimolato a comporre questi studi trascendentali dopo aver ascoltato il supremo violinista nel 1831 in un concerto a Parigi, rimase talmente colpito da volerlo emulare con i suoi studi. Non fu impresa facile, nemmeno per un impareggiabile virtuoso come lui. Fu costretto allora a ripensare dalle radici la sua mirabolante tecnica esecutiva e compositiva. Rimangono oggi un impegnativo banco di prova per i virtuosi della tastiera e il nostro pianista non poteva certo sottrarsi alla sfida. Nella Sala Zelioli Lanzini le sue sonorità intense, perfettamente calibrate per aderire ai più svariati frangenti espressivi, hanno davvero entusiasmato il pubblico, dando prova della sua eccezionale versatilità. Da Liszt passa ad Azio Corghi, mantenendo sempre riconoscibile la sua cifra pianistica, fatta si di vigoria ma anche di grande sottigliezza timbrica, capacità di modulare sapientemente la dinamica, differenziare il suono di ogni singola linea in un "voicing" di notevole intelligibilità. Quante volte, chiudendo gli occhi, ho avuto l'impressione che a suonare non fosse un solo pianista... Anche in questi difficili pezzi distende le sue mani con l'abilità di un "ragno", tesse una fitta tela dove emerge la sua attitudine a olografare complesse trame sonore. Qualità indispensabili se davvero si vuole godere di questi brani. Sarà forse la sua abilità a differenziare, analizzare discriminando ogni parametro sonoro senza creare confuse misture sonore. Non so, non vorrei spingermi troppo avanti con le mie più o meno fantasiose elucubrazioni. Molto meglio chiudere gli occhi e godersi queste meraviglie.

 

 

RECITAL ALESSANDRA AMMARA

 

Claude Debussy (1862-1918)

Dodici Preludi, libro primo

   - 1. Danseuses de Delphes: Lent et grave

   - 2. Voiles: Modéré

   - 3. Le vent dans la plaine: Animé

   - 4. "Les sons et le parfums tournent dans l'air du soir": Modéré

   - 5. Les collines d'Anacapri: très modéré

   - 6. Des pas sur la neige: triste et lent

   - 7. Ce qu'a vu le vent d'Ouest: Animé et tumultueux

   - 8. La fille aux cheveux de lin: Très calme et doucement expressif

   - 9. La sérénade interrompue: Modérément animé

   - 10. La Cathédrale engloutie: Profondemént calme

   - 11. La danse de Puck: Capricieux et léger

   - 12. Minstrels: Modéré

 

Recital monografico, tutto debussyano, per la pianista fiorentina Alessandra Maria Ammara. Di "scena" i Dodici Preludi del libro primo, che lei ha interpretato con la consueta autorevolezza, forte di un pianismo tutto particolare e riconoscibilissimo tra mille. Se dovessi sintetizzarlo con le parole userei due termini: estro e rigore, forse inconciliabili; ma l'arte permette questo e altro. Avviene il superamento di ogni logica esprimibile da noi critici "parolai", parla la musica, che tutto comprende sotto le sue larghe ali e nulla esclude, nemmeno l'apparentemente incongruo. Il suo è un Debussy profondo, meditato, ricco di colori e condotto con una straordinaria saldezza, impresa oltremodo difficile se si affronta l'autore francese, dove anche una minima indecisione, esitazione tempistica o timbrico dinamica, rovinerebbe irrimediabilmente l'atmosfera fatata che è giusto stabilire. Il suo essere vicino e lontano nello stesso tempo. Alessandra Ammara filtra con la sua "ipersensibilità" queste pagine, rivivendole in un clima quasi sperimentale, fatto di un audace gioco coloristico che ha pochi eguali. "Mi son divertita un sacco a inventare e "osare" su quel Fazioli. Con uno strumento così è tutto stimolante e gratificante" mi confessa l'artista. E solo reinventando Debussy sotto l'egida di una sensibilità così acuta, facendolo proprio sino a compenetrarlo completamente, si riesce a renderlo pervasivo. Alessandra è quanto mai lontana da un pianismo accademico, incolore, piatto, gli piace sempre mettere in gioco se stessa, coraggiosamente, pepare le partiture con una deliziosa punta di "capricciosità", pur tuttavia conservando un'assoluta correttezza e rispetto per il segno scritto.

È evidente che, proprio a partire da questi capolavori, l'etichettatura d'impressionista appiccicata al compositore francese sia improvvida. La critica ha invece ravvisato nella sua produzione un'inclinazione al simbolismo nell'associazione Titolo-Musica, sottentendente a significati anche onomatopeici ma virante verso un vero e proprio astrattismo. Un dato che emerge con chiarezza negli Studi, per esempio. La nostra pianista fa suo questo particolare linguaggio, espresso in dodici studi ognuno composto in una tonalità differente. "Voiles" diventa sotto le sue mani il diafano veleggiare verso tre motivi, anche inquietante perché scandito da rintocchi del basso. L'evento, non infrequente nell'autore francese, di un insondabile mix tra leggere trasparenze e angosce serpeggianti, viene risolto dalla mobilità espressiva quasi luciferina della pianista. "Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir", è un brano magico, ipnotico, che in ritmo di valzer rievoca suoni e profumi che volteggiano dell'aria della sera. Si tratta di un simbolismo descrittivo che non rimane mai in superficie, portandosi dietro significati più profondi e richiami simbolici in una gamma che va dal subliminale alla violenta sferzata. Alla fine del brano un lontano squillo di corni riconduce l'attenzione su quel sortilegio sonoro edificato sulla correlazione sotterranea dei gruppi sonori. E puro incanto è "La Cathédrale engloutie", dove la mera onomatopea sembrerebbe prevalere, con il salire della nebbia mattutina, il maestoso emergere della cattedrale dalle acque, le campane, il movimento delle onde. Alessandra Maria Ammara si è dimostrata in grado di sfruttare le grandi possibilità coloristico/dinamiche dello splendido Fazioli che, sotto le sue mani, è diventato vivo strumento di variegate emozioni.

 

Alfredo Di Pietro

 

Novembre 2017


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