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giovedì 28 marzo 2024 ..:: Palazzo Marino in Musica - Libetta incontra Venere ::..   Login
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 Palazzo Marino in Musica - Libetta incontra Venere Riduci

 

 

 

 

PROGRAMMA



Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)

Die Geschöpfe des Prometheus, Op. 43
Balletto di Salvatore Viganò
(versione per pianoforte del compositore)
- Overtura. Adagio, Allegro molto con brio
- Solo di Viganò. Andantino, Adagio, Allegro
- Finale. Allegretto, Allegro molto, Presto

Gioacchino Rossini (1792 - 1868)

Un petit train de plaisir
(scéne dans le style comico-imitatif)
- Cloche d'Appel (Allegro)
- Montée en Wagon
- En avant la machine
- Siflet satanique
- Douce mélodie du Frein
- Arrivée à la Gare
- Les Lions Parisiens offrant la main aux Biches pour descendre du Wagon (Andante)
- Suite du Voyage (I Tempo)
- Terrible Déraillement du convoi
- Premiere Blessé
- Second Blessé
- Recitativo
- Premier mort en Paradis (Veloce)
- Second mort en Enfer (Veloce)
- Chant funebre (Largo)
- Amen (On ne m'y attrapera pas)
- Douleur aigue des heritiers (Allegro Vivace)
- Tout ceci est plus que mais c'est vrai


Giampaolo Testoni (1957)

Danze Immaginarie
- Danza quinta
(con Simone Mao, pianoforte)


Leo Delibes (1836 - 1891)

Sylvia
(ou La Nymphe de Diane)
- Pizzicato Polka


Francesco Libetta (1968)

Venus de Miami
(ou The creatures of Prosthesis)
Balletto
- Introduzione Atto I
- Le ragazze dell'Ohio
- I turisti sovrappeso
- I surfisti
- Coppia di anziani (finale Atto II)
- Tramonto in spiaggia
- Passo a due (finale Atto III)

Francesco Libetta, pianoforte




02/02/2020, in questa data palindroma il primo di un dittico di concerti ha inaugurato la parte iniziale, dal titolo "Nel mondo ideale. Da Canova a Beethoven", della nona edizione di Palazzo Marino in Musica, rassegna di musica classica realizzata in collaborazione con la Presidenza del Consiglio Comunale e organizzata dall'Associazione EquiVoci Musicali. Questa manifestazione ha un posto di spicco nel panorama delle iniziative aventi luogo nella capitale lombarda, proponendo dal 2012 concerti gratuiti. Le due esibizioni vivono nell'ambito della Stagione 2020 e sono destinate ad accompagnare la mostra milanese "Canova/Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna", un importante evento racchiuso tra le date del 25 ottobre 2019 e 15 marzo 2020. Quattro in tutto sono gli appuntamenti musicali che fanno da cornice all'evento, un "modus operandi" messo in atto già da un paio d'anni e che intende essere quasi colonna sonora alle esposizioni. Si tratta di concerti che, beninteso, hanno piena autonomia artistica e possono essere tranquillamente visti come comprimari all'evento figurativo. Per questo motivo, "Ascoltando Canova" non si palesa come mero corteggio alla mostra, ma in qualità di estensione attraverso la musica delle emozioni che le marmoree sculture suscitano nel visitatore. Per la cronaca, l'esposizione è stata allestita nelle Gallerie d'Italia, in Piazza della Scala, nelle immediate vicinanze di Palazzo Marino, dove nella grande Sala Alessi ha avuto luogo il matinée musicale "Libetta incontra Venere".



Una collaborazione quella tra la rassegna Palazzo Marino in Musica e le Gallerie d'Italia giunta al terzo anno consecutivo, inquadrata nella proposta di concerti che accompagnano le prestigiose mostre allestite nella sede museale di Intesa Sanpaolo. Rachel O'Brien, direttrice artistica dell'Associazione Culturale EquiVoci Musicali, ha amabilmente accolto il pubblico, per il quale era riservato un interessante "gadget": il DVD della Imago Vox "Beethoven - Fidelio - Daniel Baremboim, Deborah Warner - Teatro alla Scala". Un regalo che la Banca Intesa San Paolo, in qualità di sponsorizzatrice, ha avuto piacere di fare a tutti coloro che hanno partecipato al concerto. Ma non basta: oltre al DVD, sulla sedia si poteva trovare anche un voucher che consentiva a due persone di entrare gratuitamente alla mostra. Riguardo Francesco Libetta, mi preme subito dire che non tocca certo a me stabilirne il valore, da umile "chroniqueur", poiché ben altri critici musicali, autentiche autorità nel loro campo, si sono espressi su questo pianista, compositore e direttore d'orchestra pugliese. La sua caratura è tale che il quotidiano statunitense The New York Times lo ha definito: "aristocratico poeta della tastiera con il profilo e il portamento di un principe rinascimentale (M. Gurewitsch), secondo Le Monde de la Musique "È l'erede di Moriz Rosenthal, Busoni e Godowsky" mentre il nostro Francesco Maria Colombo ha detto di lui sul Corriere della Sera: "uno spolvero di signorilità [...] che credevamo perduto negli archivi dell'interpretazione pianistica."

Rachel O'Brien

L'immensa figura di Ludwig van Beethoven (tra l'altro contemporaneo di Antonio Canova e di Bertel Thorvaldsen) aleggia su questi concerti, nel duecentocinquantesimo della sua nascita, a cominciare proprio dalla prima opera presente nell'impaginato di sala, il Balletto in tre atti "Le creature di Prometeo (Die Geschöpfe des Prometheus) Op. 43. Musicato da Beethoven tra il 1800 e il 1801, per la coreografia di Salvatore Viganò. La sua prima edizione reca nel frontespizio il titolo "Gli uomini di Prometeo" e fu pubblicata per clavicembalo o pianoforte, dedicataria la Principessa Lichnowsky. Il balletto vide il suo debutto al Burgtheater di Vienna il 28 marzo 1801, in realtà senza un grande successo di pubblico, tanto da essere in seguito obliato a eccezione dell'Ouverture, la quale visse un'esistenza indipendente come pezzo a se stante. Di questo, l'unico pubblicato da Beethoven, Libetta ha suonato dalla versione per pianoforte dello stesso compositore tre brani: la celeberrima Ouverture, il Solo di Viganò e il Finale in forma di rondò, molto interessante in quanto contiene quel sublime tema con variazioni, molto caro a Beethoven, utilizzato nel Finale: Allegro molto della Sinfonia N. 3 in mi bemolle maggiore Op. 55, detta "Eroica" e nelle 15 Variazioni e fuga per pianoforte in mi bemolle maggiore Op. 35. Ma la sua scaturigine sembra essere ancora anteriore, poiché lo rinveniamo nella settima Contraddanza WoO 14. Ma Die Geschöpfe des Prometheus assume una valenza particolare anche per le propaggini storiche che lo collegano a Milano. Stendhal amò così tanto la capitale lombarda da aver voluto che sulla sua iscrizione sepolcrale, a Montmartre, si scrivesse: "Arrigo Beyle - milanese - scrisse, amò, visse".



Fu il milanese più fiero della letteratura dell'epoca di fine '800 e negli anni dieci affermò: "Canova, Rossini e Viganò, ecco la gloria dell'Italia attuale". Addentellati tutti uniti dal filo rosso che questo recital ha voluto seguire nello stabilire svariate connessioni "sinaptiche" tra storia, scultura, danza e musica. Rispettato pure l'uso che c'era tra i grandi solisti dell'epoca d'inserire una pagina in prima assoluta, "Venus de Miami" nel nostro caso, ispirata a Venere e composta dallo stesso Francesco Libetta. Una prima parte beethoveniana di programma che ha avuto il merito di dare veemente impulso al recital, affrontato quasi come un "divertissment", brillante, virtuosistico ma al contempo non scevro da molteplici rimandi storico/stilistici, spesso topici nei suoi concerti. È lui stesso che, a proposito della composizione beethoveniana, dice: "Ha a che fare non con un'idea astratta di danza, ma con il ritmo concreto, checché se ne dica dei rapporti di Beethoven con esso, di balletto. Quando Le Creature di Prometeo arrivò a Milano fece scalpore e negli anni assunse la connotazione di leggenda; nel 1813 lo stesso Stendhal ne scrisse. Libetta sostiene l'Ouverture con grande impeto, sciorinando le veloci quartine di semicrome in un "Allegro" che è piuttosto un "Presto", noncurante, grazie alla sua straordinaria tecnica di dito, dei repentagli che ciò comporta. Non soltanto una forza propulsiva è riposta in questo smagliante "incipit", ma nel Solo di Viganò possiamo pregustare le delizie dei momenti più "chic" dell'intero concerto, come il Pizzicato Polka dal Balletto Silvia di Leo Delibes o la rossiniana "Les Lions Parisiens offrant la main aux Biches pour descendre du Wagon" ne "Un petit train de plaisir", suonate da un autentico "magister elegantiae".



Dopo Beethoven, arriva appunto il momento di Gioacchino Rossini e il suo Trenino di Piacere, vera gemma di vaporosa comicità e invito al sorriso, dove viene narrato un viaggio in treno fatto dal compositore, si vociferava su sollecitazione di un amico. Fu composto in Francia, come tutta la sua produzione strumentale degli ultimi anni, una volta ritiratosi come compositore. In realtà, pur dicendo di non scrivere più lo faceva ancora moltissimo, ma non pubblicava più né faceva copiare ad alcuno i suoi pezzi. Un grande pianista francese, da ragazzino andava a studiare a casa di Rossini questo pezzo, ma aveva la proibizione di copiarlo e di portar via lo spartito. Nasce come pezzo da salotto, di "Salon Music", ma va oltre la tipicità di questo genere proponendo tutta la tecnica di narrazione e l'abilità di caratterizzare le situazioni di cui Rossini era capace. C'è molta volontà di canzonatura in questo stile "comico imitatif", libero racconto in musica (con effetti anche onomatopeici) di quanto accaduto durante il viaggio. Inizia con la campana della partenza (Cloche d'Appel), poi la frettolosa salita dei passeggeri (Montée en Wagon), il progressivo avviarsi del convoglio (En avant la machine) e il suo fischio acuto (Siflet satanique), onomatopeicamente evocato da un trillo al pianoforte, molto difficile perché lungo, forte e in una posizione scomoda (sol-fa♯). Una scala cromatica discendente imita la frenata del treno all'arrivo nella stazione (Douce mélodie du Frein). I viaggiatori vengono accolti con riguardo dal personale in servizio, che con grande cortesia li aiuta a scendere (Les Lions Parisiens offrant la main aux Biches pour descendre du Wagon), quindi riparte ma a un certo punto avviene un evento drammatico, il suo deragliamento (Terrible Déraillement du convoi) il cui schianto la musica descrive con veloci e squassanti accordi.



Le cronache dell'epoca non riportano il tragico evento nel vero viaggio di Rossini, che era stato quindi una sua invenzione, magari legata alla paura che veramente c'era all'epoca. Vengono coinvolti due feriti (Premiere Blessé e Second Blessé), descritti con una nota alta e un'altra bassa, che dopo alcuni lamenti defungono. Quello associato alla nota alta va in paradiso (Premier mort en Paradis), la sua salita è sottolineata da un motivo ascendente, mentre il secondo procede verso l'inferno (Second mort en Enfer) accompagnato da una linea melodica discendente. Un canto funebre (Chant funebre), con delle bellissime modulazioni tipicamente rossiniane, e un Amen seguono il decesso. Nel finale la partitura riporta a margine un colorito commento del compositore: "On ne m'y attrapera pas" (non mi prenderanno più lì)". Il finale è un valzer allegro che descrive con grande ironia il "dolore" acuto degli eredi (Douleur aigue des heritiers) i quali, in verità, stanno già facendo i conti dell'eredità. Una verità dichiarata nel commento dell'autore (Tout ceci est plus que mais c'est vrai) (Tutto questo è più che banale, è vero). Più che un raffinato virtuosismo, comunque esistente nel pezzo, qui si apprezza dell'arte pianistica di Francesco Libetta la capacità di esprimere una fine ironia e il gusto "filmico" di una colonna sonora capostipite di altre di là da venire. Più volte nel corso di questo pezzo mi è parso di assistere a una di quelle comiche del cinema muto in cui ogni "gag" era sottolineata dal pianista. I vari frangenti sono messi ben in risalto da repentini cambi d'umore e da soprassalti tecnici alla tastiera.



Un pezzo divertente ma che non dev'essere affatto facile per l'esecutore. Nel recital vieppiù si configura un percorso variegato quanto complesso, che non esclude dal novero dei brani attuali. L'ingresso nel panorama compositivo odierno avviene con la quinta" delle "Danze Immaginarie" di Giampaolo Testoni, autore prolifico e di grande interesse. Si tratta di sette suggestivi pezzi in cui si manifesta una grande finezza di scrittura, evocativi di mondi alternativi ma non per questo meno credibili, come l'autore stesso afferma: "Le Danze Immaginarie sono state scritte nel 2019 su richiesta del pianista Francesco Libetta e sono a lui dedicate insieme al danzatore Giulio Galimberti e la danzatrice/coreografa Stefania Ballone. Sono coreografate e danzate alternando le esecuzioni musicali al pianoforte tra due e quattro mani. In qualcuna è previsto l'uso di piccole percussioni (un tamburo basco, le claves e i finger cymbals) suonate dagli stessi danzatori. Danze immaginarie, sognate, ricordate o inventate, evocazioni di ritmi e melodie popolari, archetipi di un eterno, ancestrale legame tra suono e movimento, tra corpo e anima". La N. 5 in particolare, è scritta su una melodia popolare rumena. Dal grande potere evocativo, sembra non esaurirsi in un'epidermica suggestione, ma percola nel profondo di archetipi riconosciuti. La "premiere" di questo lavoro, per chi ne fosse interessato, avverrà il prossimo primo marzo alla Palazzina Liberty di Milano. "Bianco e Nero" è il nome di questo recital tradizionale e sperimentale in cui il corpo del danzatore, Giulio Galimberti, dialoga con quello del pianista Francesco Libetta su musiche di J. Brahms, R. Wagner, G. Testoni, S. Bussotti.



Il quattro mani pianistico viene realizzato grazie alla collaborazione del giovane Simone Mao, attualmente impegnato nello studio del pianoforte al Conservatorio B. Marcello di Venezia sotto la guida di Igor Cognolato. Questo valente strumentista è stato premiato in numerosi concorsi e attualmente collabora con Giselle Brodsky, direttrice del Miami Piano Festival Academy, alla stesura di un volume sui 25 anni di attività del Miami Piano Festival of Discovery. Gustoso intermezzo tra le due composizioni dei nostri giorni, di Testoni e Libetta, si affaccia il delizioso "Pizzicato Polka" dal Balletto Sylvia (ou La Nymphe de Diane) del francese Leo Delibes. Un piccolo miracolo di grazia. Chi era abbastanza vicino al pianista non avrà potuto non notare come l'indice della sua mano destra fosse diventato un perfetto danzatore, che con somma grazia compiva i suoi passi sulla tastiera. Quello stesso dito che è utilizzato per produrre il pizzicato negli strumenti ad arco. Il recital è quindi proseguito con diversi brani dal Balletto "Venus de Miami" (ou The creatures of Prosthesis) composto dallo stesso Francesco Libetta. È ambientato a Miami, Florida, lungo la notissima Ocean Drive, luogo di rassegna di varia umanità, popolato da individui che non si fanno scrupolo (anzi si vantano) di sfoggiare tenute sgargianti quanto pacchiane. Una varia ed eventuale umanità la popola, a pennellare un teatro urbano occupato da tante persone che si muovono: ragazze, surfisti, una coppia di anziani, un bagnino, una poliziotta, un gruppo di cubani, alcuni turisti in sovrappeso.



Automobili e oggetti di lusso sono protesi del potere di condizionamento sociale, i telefonini sono protesi affettive. In esso vige l'idea di un corpo umano che tende a diventare ibrido di materiale organico e inorganico, per posticcio innesto di protesi meccaniche. Un trionfo, in buona sostanza, del cattivo gusto in versione americana che l'autore ha olografato attraverso una grande varietà di stili (con richiami al minimalismo, jazz, ambient music, new age) e una gestione armonica che personalmente ho trovato molto interessante, tutt'altro che kitsch. Per contestualizzare il linguaggio adoperato in questo balletto, è opportuno includerlo nella categoria del volgare, in opposizione all'aulico, poiché l'argomento cui fa riferimento deve necessariamente dettare anche lo stile del discorso musicale. Ci troviamo di fronte alla pura immagine esteriore, all'edonismo, la superficialità di un luogo comune associata a un lungomare come Ocean Drive o Miami Beach. "E la musica è esattamente così", dichiara Francesco Libetta, "superficiale, generica, piena di luoghi comuni. È messa in relazione al fatto che l'uomo tende sempre a voler superare la sua situazione e lo fa utilizzando degli oggetti. Soprattutto nell'ultimo secolo, l'idea di tutte le varie declinazioni della protesi, che possono andare dal dente sino alla valvola cardiaca o la vite per fissare un osso, è foriera di trasformazione della persona in una specie di ibrido tra materiale organico e inorganico. Per cui noi andiamo un po' oltre quello che dovremmo essere."



Dopo l'"Introduzione Atto I", un po' generica e d'atmosfera, segue in "Le ragazze dell'Ohio" la scena in forma di valzer di giovani turiste sulla spiaggia, apparentemente ingenue, come da tradizione dei telefilm americani delle 18,30. Immancabile in una terra dell'immagine, del costruito, della palestra, del trucco e della protesi estetica, la scena de "I turisti sovrappeso", brano dall'andamento pesante e piuttosto sguaiato nei continui sforzando, una specie di blasfemia nel mondo del balletto. Sovrappeso alla maniera del Midwest e delle cattive abitudini alimentari. Appare come altrettanto dissacratoria nel mondo della letteratura ballettistica la "Coppia di anziani (Finale Atto II)", scena sul finire screziata da frequenti interrogativi, culminanti in "cluster" di note. Due persone in avanti con gli anni che passeggiano con il bastone, tipica nell'immagine della Florida, dove tanti approfittano del clima meraviglioso per passare gli anni di libertà dal lavoro. "I surfisti" è un quadro dal notevole slancio vitalistico. Ultime scene sono la dolce e implorante "Tramonto in spiaggia" e il "Passo a due (Finale Atto III)", in cui si manifesta un corteggiamento all'opposto, quello della ragazza che non ha fatto alcuna operazione estetica per conquistare l'abbraccio di chi poi gli farà capire che la vera estensione della nostra psicologia, del nostro carattere, non è un oggetto ma il nostro prossimo. Ma la mia supposizione, rimasta irrisolta, riguarda una grossolanità forse evocata da linee melodiche tendenti al rudimentale, monolitiche nel suo sviluppo in diversi dei brani suonati, che in qualche modo stride con la sapiente cura dell'armonia.



Una composizione enigmatica, frutto di un genio interpretativo e compositivo che mostra e non mostra, appare e non appare, dice e non dice obbligando qualche volta l'ascoltatore a una sorta di corsa a ostacoli tra significati lapalissiani e altri sotterranei molto più sottili, difficili da decrittare. A conclusione di "Libetta incontra Venere", il maestro di Galatone concede un bis, il perigliosissimo Revolutionary Etude per la sola mano sinistra, tratto dai Complete Studies on Chopin's Etudes di Leopol'd Godovskij. Ultima scheggia d'insuperabile virtuosismo che corona le gesta di questo memorabile recital. Da otto anni la Sala Alessi si offre come ribalta di Palazzo Marino in Musica, una rassegna diventata ormai patrimonio culturale della città di Milano. Oggi, nel percorrere un ampio repertorio che spazia dalla musica antica a quella del Settecento e Ottocento, sino ad arrivare alla classica contemporanea, un altro importante tassello è stato aggiunto ai precedenti. Se è vero, com'è vero, che questo concerto traccia un itinerario basato sul movimento, dinamismo ed eleganza sostanziati nella danza, è altrettanto vero che rappresenta una lampante dimostrazione di come si possano embricare le varie forme dell'arte in un obiettivo comune: emozionare l'ascoltatore. Si delinea allora un collegamento ideale tra due mondi, quello dello scultura e quello della musica, che qui si è voluto stabilire.



Francesco Hayez raccontava sulla tecnica scultorea di Antonio Canova: "[...] faceva in creta il suo modello; poi gettatolo in gesso, affidava il blocco a' suoi giovani studenti perché lo sbozzassero e allora cominciava l'opera del gran maestro. [...] Essi portavano le opere del maestro a tal grado di finitezza che sì sarebbero dette terminate: ma dovevano lasciarvi ancora una piccola grossezza di marmo, la quale era poi lavorata da Canova più o meno secondo quello che questo illustre artista credeva dover fare. Lo studio si componeva di molti locali, tutti pieni di modelli e di statue, e qui era permessa a tutti l'entrata. Il Canova aveva una camera appartata, chiusa ai visitatori, nella quale non entravano che coloro che avessero ottenuto uno speciale permesso. Egli indossava una specie di veste da camera, portava sulla testa un berretto di carta: teneva sempre in mano il martello e lo scalpello anche quando riceveva le visite; parlava lavorando, e di tratto interrompeva il lavoro, rivolgendosi alle persone con cui discorreva". Non è peregrino azzardare un parallelo tra lo straordinario lavoro che c'era dietro una scultura del grande veneto e il pianismo di Francesco Libetta. Quell'elegantissimo e luminescente smalto che riluce agli occhi di chi l'ascolta non è lontano dall'immenso lavoro di preparazione, limatura e progressivo perfezionamento che è a monte della Venere o di Amore e Psiche. Una concomitanza che travalica la stessa arte scultorea o musicale, fatta d'instancabile lavorio e sudore quotidiano, finalizzata a dare forma e corpo alla bellezza.

La nostra Italia è disseminata di manifestazioni aventi alto valore culturale, come questo recital. Bisogna semplicemente saperle cercare e apprezzarle sino in fondo.

Da sinistra: Simone Mao, Francesco Libetta, Giampaolo Testoni.




Alfredo Di Pietro

Febbraio 2020


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