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 Pais - Rocco Mentissi minimieren


 

 

1) In corsa
2) Povera anima felice
3) Ludus
4) Notturno
5) Terra
6) Il Santo
7) Tarantella scritta ieri
8) U' fizz
9) Porte chiuse

Pianoforte: Rocco Mentissi
Clarinetto: Ivan Mentissi
Tuba: Rocco Pio Raimondi
Basso fretless, contrabbasso: Massimo De Carlo
Programmazioni elettroniche: Leonardo Corbo
Batteria: Fabio Sabato (tracce 1 e 3), Gio' Didonna (tracce 7 e 9)

Da un'idea di Rocco Mentissi.
Composizioni: Rocco Mentissi. Produzione artistica, registrazioni, missaggio, arrangiamenti, illustrazioni, grafica: Leonardo Corbo e Massimo De Carlo.


"Pais" di Rocco Mentissi ha avuto sin dalle prime note il potere di spalancarmi le porte della memoria. Io, subito assalito da quell'odore di miele e cannella delle cartellate natalizie che mi ha riportato istantaneamente all'infanzia. Nel "rewind" mnemonico dei lunghi pomeriggi trascorsi a suonare le percussioni nella banda di Ruvo di Puglia, durante la Settimana Santa. Quelle interminabili processioni con la pesante grancassa in spalla e la banda che suonava lacrimosi brani rievocanti la Passione di Gesù Cristo. Mi sembra quasi di riudire i potenti rulli che eseguivo con il doppio battente nei momenti di acme o il trascinato pulsare ritmico che scandiva il "Il Pianto dell'Orfano" di Antonio Amenduni. Grazie al sortilegio della musica, dai miei anni '80 ai giorni di oggi il passo è breve, brevissimo, quasi da non farmi avvertire una soluzione di continuità. Ecco allora che dalla Puglia, dove l'odore dell'origano riempiva le mie narici e incontravo gli asfodeli nelle lunghe passeggiate sulla Murgia, vengo veementemente proiettato nelle atmosfere altrettanto suggestive di Tolve, l'antica Tulbium, paese a nord-est di Potenza che si sviluppa alla confluenza del torrente Castagno con la fiumara del Bosco. Non so se il riferimento geografico sia esclusivamente questo, se il maestro Mentissi abbia costantemente pensato a quel luogo mentre componeva questi suggestivi nove brani, ma se anche così non fosse mi piace egualmente pensarlo. La forza generatrice di questo lavoro scaturisce da un potente attaccamento alla terra natia, da un sentire che trova alimento nelle sue radici più profonde e che si manifesta sin dalla copertina, una foto dell'installazione lignea creata da Massimo De Carlo, come anche "legnosa" è la carta scelta per l'impaginato.

Ambivalente è il termine usato per dare il titolo a quest'album, Pais, significando "fanciullo" nella lingua greca e "paese" nel dialetto tolvese. Un lavoro la cui linea ideale si evidenzia entro le coordinate di una proporzione che implica il fattore umano, temporale e urbano: il fanciullo sta all'uomo come il paese alla città. Un CD che si affaccia come un primaverile germoglio nell'attuale panorama musicale, ricco di una freschezza che viene veicolata, messa in moto da una complessa "phoné" che a partire dal silenzio origina tante luci, profumi e colori. Nella forma del "Concept Album" vediamo scorrere la giornata tipo di un bambino, colto nel suo infantile manifestarsi, trascorsa nel borgo tolvese del casale. Una narrazione che percola come linfa vitale nella nostra sensibilità, in buona sostanza una cronaca scritta da un artista che ha molte frecce al suo arco e una formidabile tavolozza di colori a disposizione. Leggendo le belle note che accompagnano questo CD, stilate dallo stesso autore, mi accorgo che siamo sulla stessa lunghezza d'onda, che quelle due dimensioni, la temporale/antropologica e l'altra spaziale/architettonica s'intrecciano nei fanciulli che fummo. E mi sento subito vicino a lui, coinvolto in un racconto a ritroso nel tempo che ci tocca entrambi; non si tratta tuttavia di un rapporto esclusivo poiché la musica, come le sensazioni olfattive, ha il dono di farsi macchina del tempo in una visione corale di sentimenti condivisi e dall'universale accezione. Siamo di fronte a un progetto musicale la cui scaturigine è quel diario segreto e intimamente vissuto che diventa materia viva, fatto dai sentimenti del gioco, preghiera, natura, amore, estesi anche ai concetti della distanza, vicinanza, solitudine, compagnia. Financo dell'odio.

Pais si presenta come cimento complesso, all'interno del quale non abitano soltanto luminescenti emozioni ma anche delle ragioni civili ben espresse dal compositore: "Prima che lo spopolamento esponenziale della Basilicata cancelli le tracce di un vissuto pregno di valori, provo con l'ausilio della musica a conservare e riaccendere con i mezzi del presente questo patrimonio umano, sonoro, storico e, nel contempo, a rilanciarlo quale possibile paradigma futuro, in cui l'uomo possa tornare a essere centro di ogni sua azione, nel rispetto di sé, dell'altro e dell’ambiente che li accomuna." Ecco che l'intento etico e civile si fondono indissolubilmente con lo squisitamente personale: Rocco Mentissi dice chiaramente e senza giri di parole che nei nove brani di Pais ha voluto ripercorrere i ricordi della sua infanzia, generando come in un film nove differenti situazioni atte a raccontarla. Nelle brevi note a commento di ciascuno dei brani, è lui stesso a fornirci la giusta chiave di lettura per ognuno, consentendoci di capirne le ragioni. Come in una musica a programma, tracciano al loro interno una storia dove i protagonisti, i luoghi e le persone che gli hanno ispirati sono legati da un "fil rouge". Pais batte una strada sensibilmente diversa dal precedente lavoro "Trame"; pur in una riconoscibile poetica personale che sta alla base di entrambi, Pais presenta una maggior complessità di linguaggio e un allargato contributo strumentale. Se nelle miniature di stampo minimalistico di Trame è il solo pianoforte a essere protagonista, nel CD "under test" il discorso musicale si fa più articolato, teso alla fusione di più tecniche compositive.

Al pianoforte qui si aggiungono il clarinetto, la tuba, il basso fretless, il contrabbasso, le programmazioni elettroniche e la batteria. Con quest'album il compositore e pianista tolvese pare voler liberarsi da vincoli troppo stringenti di marca new age e minimalista, i quali forse già nel precedente album iniziavano a stargli stretti, per approdare a uno stile più libero ed eterogeneo. Nelle mani di Rocco Mentissi, la musica non si limita quindi a essere minimalistica, semplice e continua reiterazione di una cellula ritmico/melodica, ma tende a liberare la fantasia dal bozzolo per conquistare i più ampi orizzonti del racconto. Nel primo brano "In corsa" (lo stato naturale dei bambini, un correre senza meta, energia espressa allo stato puro) il canto del pianoforte viene preceduto dal garrulo verso delle rondini, seguito a breve distanza dal suono di un galoppo. È la manifestazione di una coralità della natura che si agita nella mente e nelle movenze del fanciullo che fu, descritta con l'intrecciarsi di tante voci e lo spuntare a un certo punto di un elemento "sorpresa", un episodio centrale affidato a suoni di sintesi elettronica che accompagneranno gli strumenti acustici sino al termine del brano in una fusione tra antico e nuovo. Negli ultimi secondi si materializza il respiro affannato del fanciullo dopo la corsa. Ancora una "phoné" mutuata dai rumori della vita di ogni giorno precede il pianoforte in "Povera anima felice" (dopo la corsa, si torna a casa dei nonni, al focolare, semplice, povero, ma intriso di serenità), un ultimo scampolo di respiro affannoso, l'apertura e chiusura di una porta che sembra annunciare l'ingresso in una dimensione diversa, fatta di confortante calore, di ristoro dopo la fatica.

Ogni passaggio di atmosfera è preparato da un sapiente trascolorare, dove la ricerca della coerenza narrativa fa da legante tra un brano e l'altro. Avviene anche in "Ludus Magnus" (dopo una breve pausa, si torna in strada a giocare insieme agli altri fanciulli), il quale segna la ripresa di una scatenata attività infantile sostanziata questa volta nel gioco, un "ludus" appunto, annunciato dalla tuba e dal clarinetto, un "climax" prolungato nel suo corso dall'intervento del pianoforte (strumento che rimane comunque centrale). Ammirevole è la gestione nell'economia di ogni pezzo degli interventi elettronici, questi s'inseriscono in maniera del tutto naturale nel discorso musicale, senza diventare mai troppo invasivi e, soprattutto, armonizzandosi in modo "indolore" con la stoffa timbrica degli strumenti acustici. Il pensoso "Notturno" (nel letto per dormire, guardando dalla finestra l'immenso cielo del sud, sospeso tra il buio della terra e le luci delle stelle), dopo tanto agitarsi riporta verso la tenerezza della notte, invita l'ascoltatore a entrare in una dimensione "altera". Ci ritroviamo sospesi a mezz'aria tra terra e cielo, in un territorio costellato di luci e rapide rimembranze del giorno, rivissuto nelle frementi arcate del contrabbasso, e in qualche dissonanza che spunta qua e là, mentre il registro alto del pianoforte emula la scintillante luce stellare. Un brano di pura poesia... Il notturno si spegne dissolvendosi, prima che appaiano le luci del giorno, raccontate in "Terra" (all'alba si va insieme al nonno in campagna, verso la cosiddetta terra, sulla groppa di un asino).

La giornata riparte con una melodia (una personale visione della tarantella da parte dell'autore) che suggerisce il dondolio in groppa a un asino. Si tratta di un brano che Rocco Mentissi ha composto diversi anni or sono, sulla suggestione dei canti contadini e in ricordo delle sue sortite in campagna insieme al nonno. Un peana innalzato all'umiltà e umanità dei contadini lucani. Ne "Il Santo" (si torna in paese per la processione del Santo Patrono) il bambino va con il nonno a veder passare la processione di paese, il luminoso simulacro di San Rocco portato nel suo fercolo. Il compositore in questo brano s'impegna in una rivisitazione del canto devozionale di San Rocco, diventato quasi l'aria di un melodramma, come lui stesso ha affermato nel corso di un'intervista. Dalla versione per pianoforte ne è stata poi tratta un'altra per banda, in seguito suonata durante una processione in piazza. Affiora ne "Il santo" l'attitudine a un canto che da popolare si trasforma in universale. "Tarantella scritta ieri" (la sera si festeggia, insieme, ballando con i vicini) ha la valenza di una ventata d'aria fresca che spazza quel clima di nostalgia e contrizione instauratosi con il mesto procedere della processione paesana. Non esente da tratti enigmatici, con degli sprazzi "jazz" negli accenti del pianoforte, si rivela come una composizione caleidoscopica, mutevole negli stati d'animo e sorretta da una notevole effervescenza ritmico/compositiva. La sua pregnanza sta ancora una volta nell'avere una storia da raccontare, lo fa con un'autenticità di vissuto che sorprende.

"U fizz" (inno al mondo dei bambini, vero e naturale, anche problematico, ma certamente entusiasmante e autentico) è quasi un'ideale eco jazzato delle Kinderszenen schumanniane, muoventesi nel periplo di un'infantile mondo incantato ma consapevole del presente. Un elemento bandistico si fa ancora una volta vivo, nel ritmo cadenzato della tuba. È quasi un fantasmagorico e vorticoso girotondo al quale tutti partecipiamo, che tutti noi coinvolge. Porte chiuse (tornare nei luoghi dell'infanzia e trovarli desolati e abbandonati; non c'è più il paese di mio padre e mio nonno, è finita un'epoca, forse ci siamo smarriti anche noi) si leva dai colpi isolati di uno strumento a percussione. È su questi che s'innesta una monodia ricamata dal registro basso del clarinetto, avita evocazione di un desolante spopolamento, vero problema della Basilicata. Il bambino del nostro racconto torna nel casale, nel suo borgo lucano, ma trova le porte chiuse poiché la presenza umana è andata persa. "Un'infanzia abitata dal ricordo e non dalla realtà" secondo le parole di Rocco Mentissi. Una sorta di pianto antico, sconsolato e disperso nel vento che alita sullo sperone arenario su cui sorge Tolve, emblema di uno stato d'animo che da un piccolo mondo antico si espande in quello cosmico. La chiusura delle porte è una sorta di "reverse" di quell'apertura che rappresenta invece la vita. Il pianoforte come nei precedenti brani rimane protagonista, ma qui lascia all'inizio il passo agli strumenti a fiato rivelandosi puntillistica presenza, ai limiti dell'immateriale; nel seguito del brano riacquisterà la centralità, momentaneamente accantonata, nel cadenzare un ritmato addio, non rassegnato ma traboccante dell'antica fierezza della popolazione lucana.

Un riscatto, una rinascita ci sarà, sembra auspicare. In Pais Rocco Mentissi si rivela artista dalle mille anime, "artifex" di cangianti racconti. La crisalide in cui è avvolto questo lavoro, un "inno alle piccole comunità lucane in via di estinzione", nutre l'ambizione di trasformarsi in un essere fatto e finito, consapevole di se, desidera fortemente svilupparsi non solo nei profondi sentimenti di attaccamento alla terra, sublimati e atemporalizzati dalla musica, ma anche di assurgere a dignità di una denuncia che con tutta se stessa è decisa a farsi paladina di una rifioritura della terra lucana. Un album profondo, che mi ha commosso, nostalgico e futurista allo stesso tempo poiché proteso a riproporre dei valori che stanno scomparendo e che dovrebbero essere recuperati. Ancestrale nelle sue fondamenta, nel metamorfizzare una tradizione sentita come recondita ma che trova albergo nel nostro quotidiano di sentimenti, Pais è un invito a superare il limite dei confini, non solo geografici, ma anche di cultura e temporali. Un ponte che dal passato si protende verso il futuro, idealmente desideroso di superare quelle barriere architettoniche che impediscono la fluidità di movimento della memoria. Pais è un luogo non luogo, viatico del passaggio dal particolare all'universale.

 




Alfredo Di Pietro

Gennaio 2020


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