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 Non capisco! Son profano! - La Fantasia - Pianoforte solo. Duo pianoforte a 4 mani Minimize


 

 

Venerdì 15 marzo 2019

La Fantasia - Pianoforte solo. Duo pianoforte a 4 mani

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
Fantasia in re min K 397
- Andante
- Adagio
- Presto
- Tempo primo
- Presto
- Tempo primo
- Allegretto
Pianoforte: Luca Ciammarughi

Ferruccio Busoni (1866 - 1924)
Fantasia nach J.S. Bach BWV 253
- Molto tranquillo e gravemente
- Allegretto
- Andante, quasi adagio
- Adagio
- Tempo e carattere dell'introduzione
- Riconciliato (tranquillissimo)
Pianoforte. Stefano Ligoratti

Franz Schubert (1797 - 1828)
Fantasia in fa minore per pianoforte a 4 mani Op. 103 D 940
- Allegro molto moderato
- Largo
- Allegro vivace
- Con delicatezza
Pianoforte: Luca Ciammarughi e Stefano Ligoratti



INTRO



Quinto appuntamento con "Non capisco! Son profano!", rassegna di ampio respiro che ha deciso di riservarsi tempo e spazio sufficienti per un'espansione dialettica di carattere evolutivo tra forme e generi, poi tradotta in note da ensemble che vanno dalla formazione cameristica all'orchestra. E' più vivo che mai in me il ricordo dei precedenti incontri, nei quali è difficile individuare una lesione di continuo tra uno e l'altro, quanto piuttosto la dipintura di un grande affresco che va sempre più arricchendosi di nuove pennellate. Esiste un'idea di base da soddisfare: cercare di mettere man mano a fuoco un'immagine nella sua unitarietà. E ancora Ines Angelino a prendere inizialmente la parola, riaffermando i principi propulsori di quest'itinerario, mai tracciato con toni distaccati o freddamente professorali. Le nozioni sono approfondite, esposte sempre con grande chiarezza, ma la vera differenza da una lezione "di servizio" è fatta dalla palpitante umanità con cui epoche storiche, forme e personaggi vengono consegnati al pubblico da questo formidabile terzetto di professionisti. Ines Angelino, Luca Ciammarughi e Stefano Ligoratti sono persone che appaiono umanamente coinvolte in ciò che dicono, non comunicando dall'altra parte dell'oceano, individui cui piace sedere nelle stesse poltrone occupate dal pubblico, parlare con questo a tu per tu e senza schermi. Esprimono anche delle preferenze, perché no, che oggi forse possono suonare poco "politically correct", il che non significa assolutamente mancanza di rispetto e attenzione verso tutti i compositori, ma l'esternazione di un soggettivo gradimento verso una o più figure che hanno particolarmente suscitato la loro ammirazione.



E' quanto fa anche la presidente di ClassicaViva, organizzatrice di questa rassegna, da lei concepita e sviluppata con l'aiuto dei suoi fidi collaboratori Luca e Stefano. Non fa mistero del suo scopo principale, dicendo con appagamento: "L'obiettivo è quello di portare divulgazione musicale, mi dicono ad alto livello, avvicinando alla grande musica chiunque ne voglia sapere di più. E credo che questo target lo stiamo raggiungendo". La presente lezione-concerto è dedicata alla Fantasia, un genere che l'onnipresente Wikipedia definisce come: una forma di composizione che affonda le sue radici nell'improvvisazione. È libera, strutturata secondo la fantasia dell'autore, e non rientra nei canoni di nessuna forma musicale codificata." Ma abbandoniamo i copia-incolla, per quanto istruttivi possano essere, e dedichiamoci invece alle emozioni della diretta. Tanti sono i capolavori nati con essa, Non capisco! Son profano! Presenta una cernita che ne include tre di fondamentale importanza. Il concerto inizia con Mozart, prosegue con Busoni e termina con Schubert. "Ferruccio Busoni è una delle mie grandi passioni", dichiara Ines Angelino, "senza alcun dubbio il più grande pianista italiano mai esistito, ma anche un importante compositore. Ora tutti parlano di Bach-Busoni, persino la moglie è stata presentata come la signora Bach-Busoni. È un musicista specialmente famoso per le sue trascrizioni delle opere per organo di Johann Sebastian Bach." Ne parla con speciale affetto, dimostrazione del fatto che questa rassegna tutto vuol essere tranne che "asettica", ritagliandosi ampio spazio anche per le simpatie personali.



Di questo grande personaggio vuole sottolineare la caratteristica di essere uomo fra due mondi, italiano, figlio di musicisti, presto affermatosi come grandissimo talento. Diventò un formidabile pianista, uno dei maggiori di tutti i tempi, da taluni accostato nell'Olimpo nostrano ad Arturo Benedetti Michelangeli, tanto che quando inviava il suo curriculum, alle note sul repertorio scriveva "tutto". Il successo in Italia non tardò ad arridergli, diventò direttore del Conservatorio Giovanni Battista Martini di Bologna, poi scelse di trasferirsi in Germania, dove forse fu ancora più apprezzato. Visse con grande gloria a Berlino, ma allo scoppio della guerra dovette rifugiarsi a Zurigo, dove conobbe e il fior fiore della cultura europea. Ritornato in seguito a Berlino, la trovò profondamente trasformata; c'era stata la Repubblica di Weimar, coincidente con il Reich tedesco, periodo tra il 1919 e il 1933 di grande tensione, conflitto interno e attraversato dalla grave crisi economica che si concluse con l'ascesa al potere di Adolf Hitler. Ebbe l'amaro destino di perdere tutto ciò che aveva. Con la Fantasia nach J.S. Bach BWV 253 siamo già nell'ambito della musica novecentesca più avanzata. Non sorprende che un critico l'abbia disapprovata dicendo che "nel lavoro c'è un carattere moderno e non bachiano" forse sfuggendogli la volontà del grande empolese a non essere un pallido e anacronistico epigono, quanto un geniale rielaboratore di temi bachiani, a testimonianza della loro modernità "ante litteram".



Nella sua terza e ultima versione (1912), questo brano doloroso, dedicato alla memoria del padre clarinettista, precede di dodici anni la sua scomparsa. "È un pezzo poco eseguito", afferma Ines, "anche perché è molto difficile." Conclude la sua introduzione con una breve presentazione della Fantasia D 940, che verrà poi sviscerata nei suoi particolari, con qualche piccolo addentellato che lei simpaticamente definisce "spetteguless". Fu scritta nel 1828, l'anno della morte di Schubert, tra gennaio e aprile, dedicata al suo grande amore mai realizzato: la contessina Caroline Esterhàzy de Galantha. "Pensate che quando anni fa, con Luca Ciammarughi abbiamo scritto una pieces teatrale dedicata a Schubert, meravigliosamente interpretata da Luca nelle vesti del grande compositore, io neanche sapevo che il brano avesse lei come dedicataria. Mettemmo in scena il fantasma di Caroline che suonava con lui." La fantasia, vista come genere musicale di estrema libertà, è forse uno di quelli di cui è più difficile parlare perché, a differenza della sonata, della sinfonia o della fuga è un mondo molto libero, che viene interpretato da ogni compositore in modo diverso. Partiamo proprio dalla definizione che la Treccani dà di questo termine: "Facoltà della mente umana di creare immagini, di rappresentarsi cose e fatti corrispondenti o no a una realtà". Nell'antichità la fantasia era vista come una facoltà riproduttiva, in cui la mente rappresentava quelle che erano le percezioni della realtà, anche in assenza dell'oggetto.



Quindi io vedo un cane, per esempio, e con la mia fantasia sono in grado di riprodurlo mentalmente. Diversa era invece l'idea del filosofo Immanuel Kant, che la considerava una capacità produttiva, non soltanto in grado di raffigurare oggetti esterni ma di crearne autonomamente di nuovi. Veniva da lui associata all'attività onirica, del sogno. Fare una distinzione filosofica tra fantasia e immaginazione richiederebbe una lezione a se, che forse Luca Ciammarughi, per sua stessa ammissione, non sarebbe in grado di fare. Tuttavia, per il nostro discorso è importante sapere che il termine fantasia diventa cruciale proprio con questo filosofo e soprattutto con il romanticismo. Come ben sappiamo, sono i romantici che la mettono come prima delle facoltà umane. Mentre nell'età dei lumi la logica, la razionalità erano al centro dell'attenzione, nel romanticismo l'immaginazione diventa la più importante delle prerogative dell'uomo, capace di far volare la mente e l'animo. Di conseguenza, venne associata all'arte, che per loro era l'espressione più vigorosa della fantasia, e fra tutte le arti la musica era considerata la più importante. Nel '700 questa, al contrario, era ritenuta una delle ultime; considerata alla stregua di un "divertissement". Lo stesso Kant la metteva tra le arti meccaniche, anche se poi in quel secolo fu scritta musica meravigliosa, come anche nel rinascimento e nel barocco. A livello però di teoria la musica era relegata in un cantuccio, all'opposto di come venne in seguito considerata dai romantici.



È proprio in quel periodo che sbocciò in tutta la sua irrazionalità, illustrata dal termine tedesco di "phantasieren" (fantasticare). Dal punto di vista strettamente musicale invece, il genere della fantasia ha origini ben più antiche del romanticismo ed è specialmente intorno al '500 che questa prende piede. Alla fine di questo secolo ci fu un'emancipazione della musica strumentale, in precedenza prevalentemente vocale. Nel medioevo c'era il canto gregoriano, come ancora nel primo rinascimento la vocale era molto più importante della strumentale. All'inizio questa novità si manifestò come imitazione della voce, con il ricercare, la canzona e la fantasia che, come le toccate, rivelavano uno stile estremamente libero che all'epoca fu definito "stylus phantasticus". Con queste due parole s'identificava un modo di suonare non soggetto a regole, talvolta eminentemente virtuosistico, che metteva anche in luce le qualità d'improvvisatore dell'esecutore/compositore. Uno dei primi a elaborarlo fu un italiano, il veneziano Claudio Merulo, organista nella basilica di San Marco a Venezia, che con le sue improvvisazioni all'organo, toccate e fantasie, soleva stupire gli ascoltatori. Pure Girolamo Frescobaldi, artista di primo piano, contravvenne ai rigidi dettami della Controriforma elaborando uno stile estremamente fantasioso. A proposito dello "stylus phantasticus", ci sono due o tre definizioni molto interessanti che ci aiutano a entrare nel mondo di questo genere musicale.



In particolare quella di un grande teorico, nonché musicista e scienziato del periodo barocco, Athanasius Kircher, il quale scrisse che questo stile, proprio della musica strumentale, è il più libero e meno vincolato metodo di composizione. Non è soggetto a niente, né alle parole né agli elementi armonici, creato per mostrare l'abilità dell'esecutore e per rivelare le regole segrete dell'armonia, la loro ingegnosità nelle conclusioni e la capacità d'improvvisare fughe. In questo ragionamento rientra anche lo stile imitativo, che era invece tipico del ricercare. Un'altra definizione molto interessante venne data dall'importante teorico e musicista, nonché flautista e compositore, Johann Mattheson: "Tutti i tipi di progressioni, anche insolite, gli ornamenti, le colorazioni ingegnose, tutto è ammesso senza riguardo, senza considerazioni per il ritmo, senza ostinato né tema da seguire." Libertà quindi nel ritmo, per nulla squadrato, come noi possiamo immaginarcelo ai nostri tempi con il jazz, in cui riconosciamo quel procedere del tutto svincolato da rigidità di sorta. Nulla di nuovo sotto il sole? Lo "stylus phantasticus" si opponeva a quello "ecclesiasticus", che era invece più austero. La fantasia riguardava anche compositori e violinisti come Biber, Schmelzer o Telemann, mentre con l'avvento del pianoforte in questo genere irruppero anche i colori. Per sostanziare in musica questi concetti, Luca Ciammarughi si avvicina allo Yamaha mezza coda presente in sala e suona alcuni esempi.



Il musicista voleva stupire il pubblico anche attraverso improvvisi cambi di dinamica, dal pianissimo al fortissimo, oltre che con mutamenti di armonia. Un autore che si dedicò moltissimo a questo genere fu sicuramente Carl Philipp Emanuel Bach, uno dei venti figli di Johann Sebastian, elaboratore dell''Empfindsamer Stil (stile sentimentale o sensibile), caratterizzato da una grande capricciosità e per questo molto adatto a quello della fantasia. Proprio da questo compositore viene citato un esempio, contraddistinto da grandi contrasti dinamici ma soprattutto da grande libertà armonica, con dei salti molto arditi, estrapolato dalla Fantasia in fa diesis minore Wq 67 H 300.


È un discorso che, come dicevamo, investe non solo la dinamica ma anche l'armonia, in questo caso ricreatrice di grandi inquietudini. Talune modulazioni

Portano lontano dalle regole codificate e desiderano sorprendere l'ascoltatore con degli effetti improvvisi, tipici della fantasia. Questo "modus operandi" fu in parte formalizzato da autori che aiutavano a divenire liberi anche gli interpreti, pure quando non avevano delle nozioni musicali approfondite. Il pianista e compositore Carl Czerny scrisse la "Systematische Anleitung zum Fantasieren auf dem Pianoforte Op. 200" (Guida sistematica alla fantasia sul Pianoforte Op. 200), ma anche "The Art of Preluding Op. 130", dove portava l'interprete a eseguire dei piccoli preludi, com'era uso all'epoca, prima del pezzo. Sempre il nostro Luca ne suona uno a titolo di esempio: è il preludio in terzine N. 10.


Si tratta di un brano non citato a caso in quanto ritroviamo un moto di terzine in molte delle fantasie composte tra '700 e '800.



Quell'iniziale libertà barocca finisce quindi per essere codificata in alcune formule. Una è appunto rappresentata da questo scorrere di terzine, che rintracciamo anche nella celeberrima Sonata "Al chiaro di luna" di Beethoven, per questo intitolata dall'autore "Quasi una fantasia".

È Stefano Ligoratti stavolta a porgerci l'Adagio sostenuto, lo fa con estrema delicatezza, chiarendo la dinamica di certi passaggi. Nell'ultimo tempo della quinta misura esordisce una figurazione ritmica puntata in "pp" che vuol essere, ma in realtà non è un tema

ma una nota che continua a ripetersi in cui è l'accompagnamento a diventare praticamente il tema.

Sentiamo subito di trovarci di fronte a qualcosa di diverso da una canonica sonata, non riuscendo a percepire un primo e un secondo motivo.




LA K 397 DI MOZART



Dopo questa lauta introduzione viene il momento di parlare del primo pezzo dell'impaginato di sala, la Fantasia in re min K 397 di W.A. Mozart, opera che rielabora genialmente l'idea della fantasia mettendola per iscritto. "In realtà, quasi tutti i grandi compositori della storia della musica", afferma Ciammarughi, "furono anche eccellenti improvvisatori. Bach lo faceva all'organo. Mozart, quando arrivò a Vienna nel 1781, era già famoso come improvvisatore, oltre che come pianista e compositore. Anche Beethoven, Liszt, fino a Bernstein nel '900 e tanti altri ancora lo furono. Lo stesso Schubert creava estemporaneamente danze ogni sera, o quasi, per gli amici nelle Schubertiadi". Alcune di queste esecuzioni vennero però fissate su carta, diventando opere vere e proprie. È questo il caso della Fantasia K 397, scritta da Mozart al suo arrivo a Vienna, nel 1782, e della quale non abbiamo però il manoscritto. Nella copia che fu in seguito stampata mancano le ultime dieci battute, completate poi dal compositore August Eberhard Müller. A proposito di terzine, è giustappunto con queste che inizia l'Andante; il loro flusso instaura una sensazione di libertà, sono figurazioni che vanno verosimilmente suonate non in maniera rigida ma fluttuante, conformandole anche all'umore del momento e al gusto dei rubati. Queste terzine

conducono a un accordo di ottava costruito sulla dominante (la), il quale stabilisce un senso di tensione

e risolve sull'episodio successivo dell'Adagio (il cuore della fantasia lo definisce Ciammarughi), episodio di grande tragicità.



Sappiamo che per Mozart il re minore è una tonalità molto legata alla tragedia o anche al dramma; questo il suo tema

L'improvviso "f" della quinta misura crea una delle tante spaccature che caratterizzano questa fantasia.

Ogni episodio, e questa è la grandezza del brano, sembra rivelarci un carattere diverso: all'inizio c'è un libero fantasticare, come se s'iniziasse da un qualcosa di precedente, poi incede il desolato tema dell'Adagio. Tuttavia, durante la grande parte centrale, che potremmo definire una sorta di sezione "B", emergono tanti altri caratteri. Succede nel ribattuto, che ricorda a posteriori un tema vicino a quello del commendatore del Don Giovanni, di carattere minaccioso e anche molto severo.

Subito dopo appare un passaggio d'indole più mesta, in riferimento a quello stile "patetico" fatto di dolenti appoggiature.


Mozart chiede un forte poi un repentino piano.

È una tecnica che sarà molto praticata anche da Beethoven, il piano subito dà un'idea di stupore, d'improvvisa frattura di una frase. Prodigiosamente, il compositore in pochissimi minuti riesce a tenere insieme tutti questi sentimenti in un pezzo che ha tanti umori ma che comunque risulta unitario. Si avvicendano il tragico, il patetico, ma anche il virtuosistico con dei brillanti episodi in Presto

una sorta di subitanei guizzi seguiti dal ritorno dell'austero ribattuto (Tempo I).

Le prime due sezioni delineano, nella tonalità di base di re minore e poi in un altro episodio in la minore, un clima piuttosto cupo, ma Mozart ci spiazza ancora una volta mettendo una sezione finale in tempo Allegretto.



Si tratta di un tempo non troppo rapido ma abbastanza vivace, nella tonalità di re maggiore, preceduto da una cadenza

ed è come se tutto all'improvviso si rischiarasse.


In completo contrasto con le atmosfere precedenti, emerge un clima serenamente giocoso (forse un po' illusorio). W.A. Mozart qui si rivela, come tutti i grandi compositori, un fine psicologo perché non presenta alla fine una musica brillante o festosa, ma un dolce rasserenarsi simile allo stupore di chi è uscito da un incubo e si ritrova ad ammirare un soave paesaggio, sgombro da nubi cinerine. È davvero sorprendente questa parte finale! La Fantasia K 397 si chiude con le dieci battute aggiunte da Müller che, pur non essendo geniali quanto quelle di Mozart, ad ogni modo ricalcano il suo stile. Luca Ciammarughi ha nelle mani quelle qualità che favoriscono lo sprigionarsi della magia in un brano come questo. Il fluire delle note è sganciato da ogni rigidità ritmica. Ma, attenzione, questo non significa anarchia perché il discorso deve sempre rientrare nei canoni di ciò che in musica risulta credibile. Tiene tutti sospesi secondo una tecnica che potremmo chiamare dell'assenza", non essendo lui più dove stava. Se vogliamo citare Carmelo Bene, è netta la sensazione che la sua interpretazione sia del tutto aderente alla poesia insita nella K 397, cioè: "Distacco, lontananza, assenza, separatezza, malattia, delirio, suono, e soprattutto, urgenza, vita, sofferenza. È l'abisso che scinde orale e scritto."



Il pianista milanese si produce in una bellissima prova, quasi investito da uno stato di "tranche" che coinvolge anche il pubblico, nella commovente raffinatezza e amabilità del fraseggio ispirata dalle parti di maggior libertà. Altrettanto efficace risulta nella precisione con cui articola le veloci scale di semicrome all'inizio degli episodi in Presto, una specie d'intercalare al Tempo I. Le sciorina con mano leggera e veloce, quasi elficamente e senza il minimo accenno di pesantezza. Questo Mozart si colloca così tra due mondi: da un lato c'è la libera improvvisazione, dall'altro un nitido ordine strutturale che accorpa in un tutto i continui cambiamenti d'umore. Alla fine della lezione-concerto, nella Fantasia D 940 di Schubert, vedremo che quest'ordine si avvicina a quello della sonata poiché in questa troviamo una struttura in quattro movimenti, tutti però collegati senza soluzione di continuità. Tuttavia, anche nella mozartiana abbiamo sentito delle sezioni ben distinte. Nel romanticismo il genere della fantasia acquista particolare rilievo, vengono composti una serie di lavori, anche celeberrimi, come la Fantasia Op. 17 di Schumann, dove più che nella libertà ritmica e armonica, l'idea di fantasia si sostanzia in un immaginario legato al medioevo gotico, al leggendario, al mondo cavalleresco. Si uniscono altri elementi che fanno riferimento alla sfera letteraria o storica.



Nella citata Fantasia schumanniana l'autore scrive "Nel modo di una leggenda", mostrando un senso di recupero del passato medioevale. Altro significativo esempio è quello della Fantasia Op. 49 di Chopin, un'altra composizione in cui abbiamo un misto di capacità improvvisativa e la facoltà di tenere insieme la forma in modo estremamente organico. "Paradossalmente", osserva con acutezza Ciammarughi, i romantici sono molto più ordinati nello strutturare le loro fantasie di quanto invece lo fossero i barocchi; nell'opera di Frescobaldi, ma anche in alcune fantasie e fughe di J.S. Bach, appare un andamento in realtà molto più rapsodico.




LA NACH J.S. BACH DI BUSONI



Arriviamo così al '900. "Abbiamo voluto mettere la fantasia di Schubert per ultima", dice Ciammarughi, "per la sua importanza e per l'essere costruita secondo una complessa articolazione. Prima di questa però presentiamo quella di Ferruccio Busoni, autore già prima introdotto da Ines Angelino. Il suo lavoro si colloca in un periodo cruciale per il compositore, molto famoso per le trascrizioni da J.S. Bach. Lui ha portato dall'organo al pianoforte parecchia musica del "Kantor", come la notissima Toccata e fuga in Re minore BWV 565, da lui rielaborata. Tuttavia, il Busoni giovanile è ancora radicato all'800, al romanticismo, specialmente per quanto riguarda le sonorità e il tipo di amplificazioni. Con questo lavoro invece (ma anche con la Fantasia contrappuntistica) si avvia a una modernità che prima non aveva manifestato poiché, per quanto le opere della giovinezza siano bellissime, queste erano ancora legate a un mondo precedente. Stefano Ligoratti spiega come Ferruccio Busoni prenda ispirazione da Bach ma, al contempo, ne faccia un qualcosa di totalmente diverso tramite una sorta di metamorfosi. I temi bachiani diventano così solo la cellula germinale di un pensiero originale, proprio della creatività busoniana. All'epoca il musicista empolese aveva perso il padre Ferdinando, dedicando alla sua memoria questo brano, scritto di getto in breve tempo. "È molto ispirato", afferma Ligoratti, "e porta sicuramente l'ascoltatore in una dimensione particolare.



Non è virtuosistico o scritto per fare scena, ma mostra un carattere intimo, desideroso di cercare le radici del suo padre spirituale, che era Bach". Quello naturale, il clarinettista Ferdinando, lo aveva avviato alla musica e voleva che diventasse un pianista, mentre Ferruccio desiderava fare il compositore. I due non andavano molto d'accordo ma con quest'opera è come se fosse avvenuta una riconciliazione tra loro, una concordia che investe idealmente anche la figura del pianista/compositore. La Fantasia nach J.S. Bach BWV 253 è ricca di citazioni bachiane e rielaborazioni originali, inizia in maniera piuttosto tetra nella regione bassa del pianoforte, utilizzando una specie di movimento che per Bach rappresentava quello dell'acqua: un ostinato in sedicesimi evocativo della fonte battesimale presente in diversi corali.

Sull'ondeggiare di semicrome s'innesta, a partire dall'ultimo tempo della terza misura, un tema costituito da note appoggiate, come se a esse si volesse dare maggior spicco e respiro.


Poco dopo troveremo, riconoscendo questo tema, la citazione integrale del corale "Christ, der du bist der helle Tag" BWV 766 (Cristo, tu sei il giorno luminoso).

Ma Busoni ci mette del suo aggiungendo una specie di commento, una piccola luce armonica costituita da nient'altro che le note dell'accordo presentate però in una tessitura più acuta.

"È la sua firma sul grande maestro", dice Stefano Ligoratti, "come se fosse vicino al grande Bach ma volesse comunque far notare la sua presenza".




La cosa interessante della tecnica di composizione busoniana è la ricerca del suono dell'organo sul pianoforte. Grazie al suo genio, emergono delle potenzialità timbriche prima sconosciute. Una nota suonata sull'organo, attraverso i registri si può amplificare rendendone la sonorità più possente, lo stesso Busoni scrive "Con sonorità" nell'enunciazione di questo grandioso corale. Esistono degli stratagemmi, come scrivere una nota e un'altra all'ottava superiore, per rinvigorire il suono; come il "ripieno", vale a dire un registro che aggiunge dei tagli di canna diversi addizionando non la stessa nota all'ottava ma, per esempio, alla quinta o alla terza, così da comporre un accordo. In buona sostanza, il compositore mette in campo la sua sapienza timbrico/armonica per trasportare l'organo sul pianoforte. Originariamente, il corale di Bach era scritto così

ma Busoni lo irrobustisce scrivendolo in questo modo

Le immagini e la partitura scritta non possono certo evocare le percezioni sonore, ma gli esempi suonati sulla tastiera del pianoforte da Ligoratti (che è, non dimentichiamolo, anche organista) sono sin troppo eloquenti. Dopo la citazione di questo corale, iniziano delle variazioni, esattamente come fece Bach con le sue partite per organo con variazioni. Queste iniziano come se ci fosse una tastiera organistica che fa un canto

mentre sull'altra viene imbastito un contrappunto.

Bisogna cercare di suonare queste linee come se fossero due piani sonori completamente diversi. In realtà i manuali sono tre, con il terzo che suona ancora un canto ma in "piano".





Questa sezione finisce e ne inizia un'altra, una fughetta a tre voci sul corale "Gottes Sohn ist kommen" BWV 600 (Il figlio di Dio sta arrivando).

La tetra tonalità iniziale di fa minore, quella che domina gran parte del brano, si dissolve lasciando posto a una dolce schiarita in fa maggiore. Inizia sommessamente, ma si trasforma ben presto in una vera e propria apoteosi, un'esplosione incontenibile di gioia


che culmina con il "sempre più fuoco". Si giunge a un accordo dove risuona una singola nota (do), su questa si costruisce un'altra armonia e poi ancora un'altra che riporta alla mesta tonalità iniziale di fa minore.

Da questo punto in poi esordisce una nuova sezione, edificata su una variazione del primo corale (BWV 766) dove possiamo riconoscere il sovrapporsi dei manuali d'organo a formare diversi piani sonori. Busoni scrive "il tutto sottovoce" per consentire poi al canto di sbalzare plasticamente.


Dopo un grande crescendo che sfocia nel "ff"


arriva la citazione di un ulteriore corale bachiano: "Lob sei dem allmächtigen Gott" BWV 602 (Lode a Dio onnipotente)


fatta con quella conoscenza organistica che conduce al maggior ampliamento possibile dei registri, rendendo in questo modo tecnicamente molto complessa la parte pianistica, poiché bisogna suonare più voci con diversi registri (includendo anche i pedali). Ritorna in una sua citazione, quasi con andamento ciclico, ancora il corale iniziale, questa volta però esposto in modo più scarno.




"Siamo in presenza di una forma in qualche modo palindroma", afferma Stefano Ligoratti, "torna all'indietro all'origine, alla sezione "C"

poi alla parte "B"


e infine alla "A", che rappresenta la chiusura: un Riconciliato (tranquillissimo) in cui Busoni scrive "Pax Ei!" (Pace a lui!)". L'autore è prodigo in questo punto d'indicazioni espressive; possiamo leggere in partitura anche la didascalia "quasi campana".


Il pezzo sembra terminare serenamente, la riconciliazione con il padre è avvenuta, ma gli ultimi accordi ristabiliscono il tetro clima iniziale. Ma davvero un rappacificamento può avvenire? Sembrano suggerire all'ascoltatore, immerso con quest'enigmatico e grandioso brano in una sospensione atemporale. Prima di offrirci la sua maestosa interpretazione, Ligoratti conclude: "È un'opera molto spirituale, ha la capacità di trasportarmi davvero in un'altra dimensione. Dà la stessa emozione di trovarsi in una chiesa e ascoltare un organo." Sono considerazioni che, da partecipante alla lezione-concerto, mi sento di condividere pienamente, come la postilla di Luca Ciammarughi, che afferma: "Si tratta certamente di un brano molto particolare. Durante l'800 il genere della fantasia si era evoluto nel senso del pezzo brillante, troviamo migliaia, forse milioni di spartiti di fantasie su temi d'opera. Lo stesso Busoni aveva scritto una brillante Sonatina super Carmen KV 284, come "Fantasia da camera".





In questo senso la "nach J.S. Bach" appare rivoluzionaria perché torna all'antico e lo fa ignorando quel risvolto brillante che la fantasia aveva preso e che troviamo anche il Liszt con le sue Réminiscences, de Norma S.394 e des Puritains S.390, insieme a tanto altro ancora." Da pianista e insieme organista, Stefano Ligoratti dà una lettura particolarmente completa di quest'opera, efficace nella possente tensione verso il drammatico, il magniloquente, ma anche nelle zone di maggior rarefazione. Riesce a cogliere e consegnare la vera essenza di un genere nato per non sottostare a stringenti legami formali, ma in grado di far vagare liberamente il nostro animo sino al raggiungimento di un "altrove". In questo senso, l'approccio di Ligoratti è simile a quello manifestato da Luca Ciammarughi con Mozart, seppur con l'inevitabile diversità di indole e suono tra i due artisti, che poi vedremo riuniti nel "quattro mani schubertiano". Come detto da Ines Angelino nell'introduzione, Ferruccio Busoni non è un autore che passa con facilità al grande pubblico, data la sua grande complessità. È musica preveggente, foriera non solo dei drammi personali del compositore, del rapporto conflittuale con il padre, ma probabilmente anche della tragedia che si sarebbe in seguito palesata con le guerre mondiali. Nella sua musica è ravvisabile questo clima d'imminente tragedia, molto cupo, da cui Busoni non vuole assolutamente sottrarsi, anzi vuol farsi portavoce di esso.




LA D 940 DI SCHUBERT



Con la terza e conclusiva fantasia di questa quinta lezione-concerto, facciamo un passo indietro nel tempo andando al 1828, anno della morte di Franz Schubert. A soli trentuno anni il grande compositore dovette lasciare amici e ammiratori, consegnando però ai posteri un vastissimo repertorio di musica d'ogni genere: seicento lieder, le meravigliose nove sinfonie più una decima in stato di frammento, ventidue sonate per pianoforte solo, di cui una incompleta (in fa diesis minore D 571). Anche il genere della fantasia ebbe un ruolo molto importante nella sua produzione, basti pensare che il compositore debuttò, appena tredicenne, proprio con la Fantasia in sol maggiore D. 1 e alcuni suoi brani cruciali sono da annoverare a questo genere. In particolare la "Wanderer-Fantasie" in do maggiore Op. 15 D. 760, la meno nota ma bellissima Op. 159 D. 934 in do maggiore per violino e pianoforte e la Fantasia in fa minore per pianoforte a 4 mani Op. 103 D 940, presente nel programma della serata. Quest'ultima è importante per diversi motivi, non solo perché riassume nell'ultimo anno di vita tutta la grandezza dell'artista viennese, sia come melodista, con la capacità di creare un motivo tra i più memorabili di tutta la storia della musica, sia come armonista. Questo genere come abbiamo visto incarna, sin dal barocco, un tipo di composizione dall'armonia estremamente ardita, sorprendente, e nella D. 940 si verifica spesso la modulazione improvvisa dal fa minore al fa diesis minore, due tonalità molto distanti tra loro.



"L'effetto è quasi da film Horror", dice Ciammarughi, "con delle soluzioni usate anche da compositori di colonne sonore. Sono formule che Schubert ha spesso sperimentato per primo e poi utilizzate, per esempio, anche dal rock progressive dei Pink Floyd o dei Genesis. Nei loro album, come in quelli di altri gruppi, ritroviamo sovente delle modulazioni schubertiane, questo per dire quanto era avanti quest'uomo." La loro "stranezza" appare perfettamente logica se rapportata al campo della fantasia, visto che nelle sue intenzioni c'è quella di meravigliare chi ascolta sino addirittura a sconvolgerlo. La D. 940 è strutturata in una maniera architettonicamente geniale in quanto non è come la mozartiana una specie di "pot-pourri", per quanto ben organizzato, ma costruisce la forma in quattro precisi movimenti come se si trattasse di una sonata. Abbiamo all'inizio un Allegro molto moderato che si collega a un Largo molto più maestoso, segue uno Scherzo Allegro vivace e un finale in forma di fuga, stile polifonico che abbiamo già apprezzato in Ferruccio Busoni. È una delle poche volte in cui Schubert si cimenta con la fuga, ricollegandosi allo stile imitativo contemplato nel genere della fantasia. Alcuni dettagli vengono mirabilmente esposti da Luca Ciammarughi, pianista, scrittore, critico musicale, conduttore radiofonico e operatore culturale, come il memorabile tema iniziale in fa minore, accompagnato in modo molto semplice.


È un tema tra i più ispirati di tutta la storia della musica, eppure costruito su pochissime note, un ribattuto di do e un salto di quarta, ma la sua genialità risiede anche nell'armonizzazione.



Il tema viene sviluppato e si passa a un episodio più solenne, sempre nella tonalità di fa minore.


Schubert nell'ultimo anno di vita stava studiando Händel, i suoi grandi oratori e la musica sacra barocca, la quale all'epoca era quasi una novità perché nel frattempo era stata un po' dimenticata. La riscoprirà Mendelssohn rieseguendo per primo le Passioni di J.S. Bach. Nel suo stile sentiamo allora irrompere una sonorità quasi händeliana. Il primo tempo ci conduce a un momento di svolta, già prima anticipato, da fa minore a fa diesis minore.


Nel drammatico Largo si ravvisano le strette figurazioni ritmiche puntate dell'ouverture alla francese, tipiche del barocco di Lully, Rameau e anche di Bach, che aveva preso tanto dalla musica di quel Paese. Franz Schubert declina l'idea di fantasia anche in base a una nuova caratteristica, tipica dell'800 (età dello storicismo per eccellenza), quella cioè di unire generi di epoche diverse. La D. 940 inizia in modo molto romantico per poi approdare a uno stile che potremmo definire neobarocco. Lo Scherzo Allegro vivace ci trasporta invece nell'attualità della Vienna dell'epoca con un ritmo in 3/4, potrebbe essere una delle tante danze che il compositore scriveva per gli amici nelle famose Schubertiadi.


È un ritmo ternario, non proprio suggestivo del valzer ma con dei rimandi alle danze popolari austriache. Schubert era rimasto incantato da molta musica ascoltata in Stiria, nelle zone montuose dell'Austria.



Il Trio dello Scherzo (Con delicatezza) ha un carattere più amabile.


Inaspettatamente, si verifica un ritorno al dolente e strascicato tema iniziale che prelude al finale. "Chi era presente alla lezione sulla forma ciclica", dice Ciammarughi, "quando abbiamo parlato di Schumann e della Sonata di Franck, sentirà che questa è presente anche qui, anzi si profila nella D. 940 come uno dei suoi primi casi, con un tema iniziale che di colpo ricompare nel Tempo I, quasi come un fantasma, e dà avvio al movimento conclusivo caratterizzato dalla fuga."


L'elemento sul quale viene costruita l'abbiamo già trovato nell'Allegro moderato.

Dal clima danzante viennese dello Scherzo si ritorna quindi a una nostalgia malinconica romantica piena di "Sehnsucht" (struggimento).


Prevale nella lettura del duo pianistico Ciammarughi-Ligoratti una visione coesamente drammatica, impetuosa sino allo spasimo, fatta di lampi accecanti di luce e zone d'ombra di profonda mestizia. È il "qui e ora" di un'interpretazione davvero molto coinvolgente, per nulla disposta a mediazioni o ammorbidimenti, che sembra trarre alimento da un'emotività potente e genuina.




Alfredo Di Pietro

Aprile 2019


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