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 13/10/2019 - Musica a Villa Durio - The Sound of Picasso - Duo Ciammarughi-Taddei Minimalizovat


 

 

 

 

Enrique Granados (1867 - 1916):
"Andaluza" dalle "Danze spagnole" Op. 37 N. 5 (Arrangiamento per sax e pianoforte di Luca Ciammarughi)

Isaac Albéniz (1860 - 1909):
Tango, da "España" Op. 165 N. 2

Astor Piazzolla (1921 - 1992):
Studio N. 3 da Etudes Tanguistiques

Erik Satie (1866 - 1925):
Trois Gnossiennes (I. Lent - II. Avecétonnement - III. Lent)
Gymnopédie N. 1, Lent et Douloureux (Arrangiamento Luca Ciammarughi)

Cécile Chaminade (1857 - 1944):
Le Retour Op. 134

Igor Stravinsky (1882 - 1971):
Piano Rag Music

Erik Satie:
Ragtime Parade (Arrangiamento Luca Ciammarughi)

Francis Poulenc (1899 - 1963):
"Romanza", dalla sonata per clarinetto e pianoforte FP 184 (Versione per sax)

Claude Debussy (1862 - 1918):
Children's Corner:
- Doctor Gradus ad Parnassum
- Jumbo's Lullaby
- Serenade for the doll
- The Snow is Dancing
- The Little Sheppherd
- Golliwog's Cake Walk

Philippe Geiss:
Sax Heroes

François Borne (1840 - 1920):
Fantasia brillante su arie della "Carmen" (Arrangiamento Iwan Roth e Raymond Meylat)

Jean-Michel Damase (1928 - 2013):
Vacances
(Fuori programma)

Luca Ciammarughi: pianoforte
Jacopo Taddei: sassofono tenore e contralto




Qualche dubbio potrebbe suscitare un programma musicale, espressamente confezionato per essere colonna sonora di una "promenade" in una mostra pittorica, se usato come materiale per un concerto. Non so chi mi legge come la pensi, ma questo è fatto piuttosto inconsueto poiché, di solito, avviene il contrario: è da un concerto che parte l'idea di fare un disco e non viceversa. Ma i valenti e giovani musicisti Luca Ciammarughi e Jacopo Taddei evidentemente non amano molto le cose scontate. Pensandoci bene, si potrebbe considerare la loro performance "live" di stasera anche come ideale continuazione del CD "Picasso - Metamorfosi - The Sound of Picasso", registrato in occasione dell'esposizione monografica dedicata a Pablo Picasso a Milano, Palazzo Reale. Il termine "Metamorfosi" non è casuale ma ha una sua pertinenza, essendo stata questa mostra tutta incentrata sulla metamorfosi del mito, vale a dire su come Picasso ha utilizzato le leggende dell'antichità, per esempio quella del Minotauro, poi rielaborata in chiave erotica, e le ha trasformate nella modernità. Una mostra che ha avuto luogo dal 18 ottobre 2018 al 17 febbraio di quest'anno, cui la musica suonata dai nostri due amici ha fatto da colonna sonora. Ogni esibizione di Luca Ciammarughi (sia da solo che in formazione cameristica) è, in realtà, qualcosa di più di un concerto. In lui si palesa sempre il didatta, il divulgator curioso, per cui anche in quest'occasione possiamo parlare in maniera più calzante di lezione-concerto.



Mi adeguo quindi, cercando di raccontare certosinamente l'evento, secondo quell'idea (forse eccentrica) che per me dev'essere faro di un resoconto, sempre fedele al motto latino "Primum vivere, deinde philosophari". Ecco che il terzo appuntamento con la 38^ edizione del Festival varallese ci riserva un avventuroso salto rispetto al precedente, un imprevisto e imprevedibile cambio di rotta che non potrebbe portarci a battere un percorso più distante da quello dei sublimi Responsoria di Leonardo Leo. La musica va saggiamente considerata come un enorme vivaio di bellezza, costituito da realtà di diversa specie, soprattutto privo di compartimenti stagni, dove l'eterogeneità è requisito essenziale per tener vivo l'interesse del pubblico. Ben lo ha compreso la rassegna "Musica a Villa Durio", comportandosi di conseguenza. Basta dare una rapida occhiata all'impaginato di sala per capire come si sia voluto impiattare un succulento "pot-pourri" di "portate", di brani dalla più diversa estrazione, dove sei su undici sono di autori francesi. Una scelta non accidentale, con tutta probabilità da addursi al grande amore che Luca Ciammarughi nutre per la musica d'oltralpe. Ma le originalità di questo godibilissimo concerto non finiscono qui. Sul consueto palcoscenico del Salone XXV Aprile è allora apparsa questa "strana" coppia, la quale fa idealmente il paio con quella d'apertura del festival, formata da Massimo Giuseppe Bianchi e Paolo Damiani. Se devo essere franco, e sarebbe sempre bene esserlo, ci ho messo un po' per farmi entrare dentro la sapidità di quest'insolita abbinata Sassofono/Pianoforte ma, una volta digerita e lasciati fuori i miei pregiudizi timbrici (ebbene si, esistono anche questi...), l'ho trovata alla fine molto sensuale, un bel "mix" tra il suono carnale e penetrante del sax e la personalità percussiva del pianoforte.



Dell'infaticabile Luca Ciammarughi, pianista, critico musicale, musicologo, conduttore radiofonico e strenuo operatore culturale, chi un po' bazzica l'ambiente della Classica dovrebbe sapere tutto o quasi. Forse meno nota è la figura di Jacopo Taddei, un aitante giovanottone toscano dalla tecnica strumentale vivacissima, disinvolta sino al limite della "nonchalance" anche nei passaggi più funambolici. Voglio dire subito che in questa serata del 13 ottobre Jacopo ha dimostrato grande sicurezza sul palco e una pari abilità nel cavarsela tanto con il sax tenore quanto con il soprano. Questo virgulto appena ventiduenne, ma già perfetto strumentista, dotato di una "voce" pastosa e intensa allo strumento, nasce nel gennaio 1996 a Portoferraio (Isola d’Elba). A otto anni viene avviato agli studi musicali nella Filarmonica G. Pietri di Portoferraio, un anno dopo è ammesso, con votazione 10/10, a frequentare la classe di Sassofono all’Istituto Superiore di Studi Musicali P. Mascagni di Livorno, dove studia fino al III anno per poi trasferirsi al Conservatorio G. Rossini di Pesaro, sotto la guida di Federico Mondelci. Nel settembre 2011 supera il Compimento Inferiore con il massimo dei voti e nel giugno 2013 si diploma con dieci e lode e Menzione d’Onore. Si perfeziona quindi al Conservatorio G. Verdi di Milano con Mario Marzi, frequentando anche diverse masterclass. Si è conquistato una Menzione d'Onore pure nell'ambito di una "laurea magna cum laude" in sassofono al Conservatorio alla Scala di Milano. Dal 2006 al 2015, è stato premiato come Primo Assoluto in diciotto competizioni internazionali e nazionali.



Nel maggio 2015 si aggiudica, per la categoria Sassofono, il primo Premio Claudio Abbado e il Premio del Conservatorio. Ha collaborato con l'Orchestra della "Filarmonica della Scala" al Teatro degli Arcimboldi sotto la direzione di Daniele Gatti. Dal 2013 fa parte della Gioventù Musicale d'Italia ed è invitato con assiduità da questa istituzione come ospite di rassegne concertistiche in sale di prestigio. È stato ospite nella trasmissione radiofonica Piazza Verdi sul canale nazionale di Rai Radio 3. Svolge anche un'intensa attività cameristica. Jacopo, tra le sue numerose collaborazioni, vanta anche quella con l'Italian Saxophone Orchestra (2012). Nel 2013 gli è stata commissionata dal Conservatorio di Perugia la prima esecuzione assoluta di un brano di Marco Ciccone, dedicato a Jean Marie Londeix (presente al concerto in Suo onore). È dedicatario di una composizione cameristica di Fulvio Falleri, docente al Conservatorio "F. Morlacchi" di Perugia. Notevole è il suo contributo al genere jazz: nel 2015 alle "Clinics" di Umbria Jazz a Perugia, ha ricevuto la Borsa di Studio per frequentare il Berklee College of Music di Boston. Un curriculum da far tremare le vene ai polsi, in considerazione dell'età molto giovane. Nel corso del concerto si possono via via mettere a fuoco contesto e destinazione di questa "Compilation", rivolta a fare da sottofondo sonoro a una mostra pittorica. Ma si farebbe un torto ai nostri interpreti nel definirla come semplice cornice sonora a un evento di arti figurative; non si tratta, infatti, di una musica di contorno sostanzialmente lontana dal vero punto d'attenzione, adoperata più che altro per riempire un qualcosa su cui dev'essere posta la vera attenzione.



Lungi quindi dall'aver assemblato dei brani di mera occasione, qui possiamo riscontrare un vero filo rosso che tutti li collega; innanzitutto l'alta qualità musicale, non disgiunta dalla rimarchevole raffinatezza d'insieme, seguita da un'interpretazione che lo è altrettanto. E, da questo punto di vista, i nostri due strumentisti giocano su un terreno a loro ideale, avendo escogitato un programma fantasioso ma anche espressivamente rispondente a certe suggestioni, in grado di vivere autonomamente, al di là del fatto di circostanza. Luca Ciammarughi stesso ne chiarisce le ragioni: " The Sound of Picasso. Sarebbe interessante chiedersi quale sia questo suono. Naturalmente, quando parliamo di un pittore non parliamo di vibrazioni acustiche, ma dobbiamo tener presente che Picasso fu comunque sempre attratto dalla musica, tanto da aver messo degli strumenti più di una volta nei suoi dipinti. Chiunque conosca la fase cubista della sua produzione, ha in mente le tante chitarre, i mandolini, i frammenti di violini e di tanti altri strumenti che si vedono nei suoi quadri. Tuttavia, pare che il grande pittore non fosse così tanto interessato alla musica in quanto ascoltatore. Non abbiamo dalle lettere e i documenti molte testimonianze del suo rapporto con la musica, però è anche vero che la sua opera parla da sola. La musica rappresenta un filo rosso attraverso i vari periodi della vita di Picasso, sin dai primi quadri di fine '800, soprattutto del periodo parigino, quando ritrae moltissime ballerine (una diventò poi la sua prima moglie), ma anche musicanti, arlecchini, Pierrot, che hanno in mano strumenti.



Fino agli ultimi quadri, in cui soventemente troviamo figure di animali come capretti, fauni o centauri nell'atto di suonare strumenti greci. Ce n'è uno bellissimo del 1946, che Picasso dipinge ad Antibes, intitolato "La Joie de Vivre", una gioia comunicata proprio attraverso una serie di personaggi che suonano degli strumenti. Si vedono un fauno e un centauro alle prese con un "Aulos" e un "Diaulos" (flauto semplice e doppio), al centro campeggia una grande figura materna, raffigurata in una donna prosperosa, e intorno una natura felice. Era appena finita la seconda guerra mondiale e per rappresentare la gioia di vivere, il pittore scelse proprio la musica, gli animali, la natura." Da queste parole introduttive si comprende agevolmente come il nesso tra i brani musicali e l'occasione pittorica sia tutt'altro che accidentale, tanto più che la scelta è ricaduta su autori che erano vicini all'artista spagnolo, come Erik Satie, che collaborò con lui nel balletto "Parade", o Stravinsky. Nella scaturigine del disco non è esclusa pure la voglia di giocare con la musica, "sic et simpliciter", così come Picasso aveva giocato con l'arte antica, insieme al piacere di arrangiare questi brani per sassofono e pianoforte. Non è fortuita nemmeno la scelta degli autori dei primi due pezzi che ascoltiamo, Granados e Albéniz, conterranei di Picasso e da lui sentiti a Barcellona, dopo il suo trasferimento da Malaga. Il pubblico viene investito dalla fascinazione del colore strumentale, squisitamente spagnolo, che i due musicisti riescono a ottenere sui rispettivi strumenti.



In Tango, da "España", Ciammarughi mette in campo tutta la sua sapienza nel ricreare un "climax" che si nutre della bellezza di suono e ricercatezza timbrica, due ingredienti abili a trasportarci direttamente nella Spagna tra fine '800 e inizio '900. Nel susseguirsi dei brani, s'inserisce non sommessamente la volta solistica di Jacopo Taddei, impegnato nel terzo dei "Sei Studi Tango per Flauto (1987) di Astor Piazzolla. È un esordio autorevole, che vuol mettere subito in chiaro di cosa sia capace questo sassofonista. La carnosità, direi stentoreità che può avere un sassofono è ben diversa da quella del flauto, lui non tradisce l'intento virtuosistico contenuto in questo studio ma nemmeno la delicatezza della sua trama; modula le sue potenzialità dinamiche con grande oculatezza. Dopo questi primi tre brani, in un percorso aereo a volo d'uccello dal mondo iberico e sudamericano si passa a quello francese. Veniamo introdotti nel mondo del Tango, un cosmo decisamente congeniale con Picasso, il quale ci consente ancora una volta di mettere in relazione la sua arte con la musica. I compositori europei mutuarono molte cose dalla musica d'oltreoceano per edificare qualcosa di nuovo, avvenne in Debussy con Children's Corner, suite in cui si prende in considerazione il genere jazz, dal compositore francese poi genialmente rielaborato. Un'operazione analoga fu compiuta anche da Picasso nei confronti dell'arte africana, sempre però tenendo come punto di riferimento il culto della classicità. Lui in verità non si definiva un pittore concettuale, ma come uno che percepiva cose della realtà, esprimendole poi sotto il filtro della sua sensibilità. Approdiamo quindi alla Francia, con la quale il pittore ebbe un rapporto importante, in particolare con la Parigi del quartiere di Montmartre. Fu lì che lui riscosse un notevole successo negli anni d'oro della pittura. A questo punto entra in scena Erik Satie, un autore da cui pubblicità e cinema hanno attinto parecchio con la prima Gymnopédie; Satie fu l'artista che collaborò con Picasso nel rivoluzionario balletto Parade.



Parade fu commissionato a Cocteau, Picasso e Satie, un balletto che in realtà si svolge prima dello spettacolo. Narra la storia di quattro personaggi, una bambina americana, un prestigiatore cinese e due acrobati, tutti si sforzano di attirare il pubblico nel circo in cui si svolgerà lo spettacolo vero e proprio ma, in effetti, questo non avrà mai luogo, diventando lo show la pubblicità che avrebbe dovuto precederlo. Parade dura soltanto mezz'ora, suscitò molto scandalo alla sua apparizione anche perché molto anticonvenzionale dal punto di vista musicale. Le Trois Gnossiennes e la Gymnopédie N. 1 che Jacopo Taddei e Luca Ciammarughi ci fanno sentire sono a metà strada tra lo spirituale e il provocatorio, con dei titoli un po' misteriosi. In questo risiede il loro fascino. Gnossiennes deriva probabilmente da Cnosso, in relazione al mito del Minotauro, secondo altri il titolo è legato al termine "gnostico", una corrente esoterica viatico di fuga dal mondo materiale per raggiungere quello spirituale. Le tre Gymnopédies fanno chiaro riferimento invece alle gare ginniche che si svolgevano nell'antica Grecia. Al riparo da architetture sonore di smodata complessità, si affacciano come brani estremamente semplici, fatti di poche note ma anche molto ispirati. Suggestiva di una moderna e calligrafica "Ambient Music", la prima Gnossiennes (Lent) è delineata con nitidezza nel suo carattere orientaleggiante, piuttosto discosta dalla Gymnopédie N. 1 (Lent et Douloureux), che ci accompagna dolcemente verso un clima magico, mestamente pensoso. Il lento dondolio prodotto dall'accompagnamento pianistico, degli ampi salti di minime, stempera il canto sognante del sax, lo fa diventare quasi una ninna-nanna. È ancora fascinazione timbrica nell'abbinamento sassofono-pianoforte, dove il suono pastoso, quasi corporeo, riveste il brano di un significato profondo.



L'idea di Satie, ma anche di Jean Cocteau, letterato e personaggio del gran mondo parigino, era quella di prendere le distanze da Wagner come dagli eccessi di note e complicazioni che si erano andati stratificando all'inizio del '900, indicava un nuovo percorso da battere, ripartendo praticamente quasi da zero. Doveva pensarci questa nuova corrente artistica a fare "tabula rasa" della tradizione, soprattutto di quella tedesca, per ritrovare una musica squisitamente francese, molto semplice, nitida e lineare. Lo stesso Cocteau disse: "Abbiamo scoperto che una canzone di strada può valere quanto Il crepuscolo degli dei". È una frase ovviamente provocatoria. Stessa idea espresse Picasso nei suoi quadri. "Ad adiuvandum" la mente non può che riandare al dipinto prima citato, La Joie de Vivre, con le sue linee essenziali, estremamente scarne. Dalle parole si passa ai fatti, anzi alla musica: Luca Ciammarughi siede al pianoforte, dipana il filo del concerto con altri due brani in veste di solista. Il primo è "Le Retour" di Cécile Chaminade, pianista e compositrice. In Francia, la donna che scriveva musica a inizio '900 era più accettata di quanto lo fosse in Italia, a causa dell'apertura mentale esistente soprattutto a Parigi, del suo clima umano e sociale diversi dall'italico. Le Retour ha un carattere completamente differente dai brani appena ascoltati, sottolinea gli aspetti di un'umanità più spigliata, divertente e vaporosa. Molto disinvolta appare la lettura del pianista di questo brano, spumeggiante e ricca di una "éclat" tutta francese. Si tratta di un territorio in cui Ciammarughi mostra di essere perfettamente a suo agio; forse si sente più francese che italiano, ce lo dice il suo essere "charmant", lo suggerisce il gusto sopraffino con cui aggredisce ogni partitura, sempre con leggerezza, che è diverso, attenzione, da superficialità. Il secondo brano è una sorta di "reverse", con dei caratteri opposti, quasi di violenza, rispetto all'innocuo Le Retour. Si pone aspro e accidentato ed è Piano Rag Music di Igor Stravinsky.



Un pezzo assolutamente non facile proprio per questo suo procedere sghembo, irregolare, che obbliga l'esecutore a fulminei trasalimenti e allentamenti della tensione dinamico-ritmica. Il pianista milanese l'ha progressivamente affinato nel tempo e oggi ce lo presenta in modo persuasivo. "Hic sunt leones", qui emergono delle spigolosità che evidenzia bene, insieme a una fine ironia praticata nel carattere circense dell'episodio centrale, molto ben isolato dalla violenza generale del pezzo. Avrebbe forse potuto giocare di più sui contrasti dinamici, che lui mi sembra in questo caso leggermente omogeneizzare. Parlo di quel sottile gioco tra "p", "mp" e altri segni di dinamica intermedia, che non vengono sempre centellinati, ma tendono asintoticamente al "mf". Cosa analoga si potrebbe dire sul ritmo, che viene seguito con buona regolarità metrica; estremamente difficile ricreare quelle micro-esitazioni che potrebbero avvantaggiare il tipo di humor lunare di cui questo stranito brano straborda. Non lo ritengo un limite, ma il risultato di un pianismo forse non avvezzo a tali stramberie. In questo Piano Rag Music sembra far capolino l'aspetto classico, sostanzialmente olimpico del pianista Ciammarughi, un'indole che non gli permette di lasciarsi andare completamente alle bizzarrie che questo brano elargisce a iosa. Mie impressioni... Stravinsky è uno dei primi a portare il jazz nella musica classica, lo fa con un pezzo delirante ma sicuramente anche affascinante e molto simile a ciò che Picasso realizza nell'arte cubista. Si tratta di una musica in cui il ritmo cambia continuamente, che non vuole ispirare gradevolezza o pacificazione ma punta a colpire l'ascoltatore con la trasgressione, provocando, come gran parte dell'arte del '900.



Non un'arte concettuale, come la considerava lo stesso Pablo Picasso, nel suo rivoluzionario viaggio figurativo percepiva e traduceva in immagini le sue sensazioni, in buon accordo con il compositore russo. I due andarono molto in giro a Roma insieme, durante le pause del lavoro ma, invece di recarsi al Teatro dell'Opera, visitavano i vicoli più malfamati, i teatri di rivista, frequentavano le bettole, proprio per osservare la vita popolare nei suoi aspetti più sporchi, più grevi. Altrettanto fece Satie in Ragtime Parade, un Rag tuttavia molto diverso dallo stravinskyano, più orecchiabile, facente parte del balletto "Parade". A tali provocazioni seguì una reazione e così alcuni compositori della cerchia parigina ricominciarono a scrivere musica se non di stampo romantico, certamente più melodiosa, quasi a voler riconquistare ciò che l'avanguardia tendeva a sovvertire: il contatto con gli aspetti più edonistici e più piacevoli dell'arte. Ma ritorniamo a bomba sul palcoscenico del salone XXV aprile. A Piano Rag Music fa seguito "Romanza", dalla sonata per clarinetto e pianoforte di Francis Poulenc. Un componimento incantevole, eseguito con grande partecipazione emotiva dal duo Ciammarughi-Taddei. Prima di arrivare ai fuochi d'artificio del brillante finale, s'inframmezzano dei pezzi di carattere malinconico. L'arte di Picasso in fondo lo è in molti momenti, pensiamo al periodo blu, Il vecchio mendicante, certe figure di arlecchini pensosi. Genio dal guardo artistico sconfinato, mette in campo un panorama dove c'è posto anche per gli aspetti più esplosivi, esattamente come ultimo brano in programma: la Fantasia brillante su arie della "Carmen" di François Borne. Non a caso Carmen era l'opera preferita dal pittore malagueño. A proposito di jazz, un esempio possiamo trovarlo anche in Children's Corner di Claude Debussy: Golliwog's Cake Walk, pure questo intrinsecamente legato al mondo di Pablo Picasso, benché i due non si fossero mai frequentati.



Nel portare sulla scena il jazz, c'è qualcosa che si avvicina molto all'amore del pittore per l'arte africana. In effetti, Debussy con questa piccola suite mette in scena con il pianoforte un personaggio che si chiamava Golliwog, un bambolotto nero, da lui raccontato con una musica gioiosa e dirompente, quella giusta per polemizzare con un certo razzismo ancora presente in America e che soleva prendere questi pupazzi quasi a emblema dei "negretti", in senso razzista, per cui Golliwog era diventato un termine dispregiativo. Spetta alla musica del francese esprimere un vitalismo elettrizzante e, al centro del brano, dileggiare Wagner con una citazione dal Tristano e Isotta, sottilmente. In una frase decisamente enfatica, di carattere romantico, inserisce dei piccoli sberleffi che rompono d'emblée la prosopopea. Children's Corner è un ciclo che Claude Debussy dedicò alla piccola figlia, chiamata affettuosamente "Chou-chou" (farfalla in giapponese) e che purtroppo ebbe modo di godersi ben poco, una bimba nata quando lui aveva 42 anni (morì a 55 anni). Un ciclo contraddistinto da una tenerezza tutta infantile, in alcuni punti spezzato da brevi divagazioni, come abbiamo visto. Quattro dei sei brani della raccolta citano un gioco appartenuto alla bimba. Il primo, "Doctor Gradus ad Parnassum", è una presa in giro degli studi per pianoforte, parte con un meccanismo e finisce con un volo fantastico. "Jumbo's Lullaby" è la ninna nanna dell'elefantino di pezza, il terzo è "Serenade for the doll" (Serenata per la bambola), quarto "The Snow is Dancing" (La neve sta danzando), di chiaro carattere impressionista, quinto "The Little Sheppherd" (Il piccolo pastore), come se fosse la statuetta del presepe e ultimo il già citato Golliwog's Cake Walk.



Non nego che l'interpretazione del Children's Corner da parte di Luca Ciammarughi mi ha molto colpito. È opportuno rimarcare i diversi tipi di sensibilità e virtuosismo che si possono cogliere in un interprete poiché non ve n'è uno solo. Ai più "perfidi" dico innanzitutto che Luca non ha sbagliato una nota (almeno io non ne ho sentite), ma questo è argomento di relativo minor conto. Virtuosismo è anche infondere unitarietà a una raccolta senza tradire il carattere peculiare di ogni episodio, suonare senza rinunciare al rubato e dare al contempo la sensazione di una grande fluidità ritmica in un procedere che non soffre di scompensi. Virtuosismo vuol dire pure cavare dal pianoforte un bel suono, equilibrato e dinamicamente calibrato alla perfezione, evitando di pestare nei momenti di forte o fortissimo. C'è una maestria anche del gusto, che si rivela sopraffino in Luca Ciammarughi, soprattutto se va a braccetto con l'eleganza. Bravura è riuscire a iniettare vita in ciò che si suona, la propria, con tutto il corteo di esperienze, cultura, non tenute per sé ma condivise a favore dell'arricchimento di ognuno. E questi sono virtuosismi che Luca possiede senza se e senza ma. Incantevole davvero "The snow is dancing", luminescente, evocativa dello sfarfallio lieve della neve, giocata su una delicatezza estrema, dove il pianoforte quasi smetteva di essere strumento a percussione, del tutto privo di meccanicità ma donato alla più pura poesia. Soffici fiocchi di neve che si posavano senza peso sull'anima, di una sovrannaturale levità: onomatopea trasfigurata in moto interiore. La percussività ritornava però alla grande nello scintillante (e anche ironico) Golliwogg's cake-walk, un pezzo spiccatamente ritmico che Luca ha suonato con grande senso dello swing nei controtempi e con accenti ben scavati sulla tastiera.



La magia instauratasi con Debussy viene in qualche modo spezzata dal solo "Sax Heroes" di Philippe Geiss, compositore, sassofonista e insegnante del nord Europa, un titolo che la dice lunga sul carattere del brano. Essendo un bravissimo insegnante, Geiss riassume in questo brano tutte le principali tecniche contemporanee che si usano sul sassofono, come lo "Slap", uno staccato ottenuto con una variante del colpo di lingua, e la respirazione continua. In Sax Heroes emerge tutta la formidabile tempra virtuosistica e la padronanza tecnica di Jacopo Taddei, lui affronta con sprezzo del pericolo il difficile pezzo, eroicamente appunto, con uno Slap netto e incisivo. Ma cos'è questo Slap? Una tecnica in cui la lingua viene poggiata di piatto su tutta la superficie dell'ancia, poi violentemente ritratta verso il basso, con un effetto tipo quello dello stapparsi di una bottiglia di vino. Parimenti non facile la respirazione continua, detta anche circolare, atta a non interrompere il flusso d'aria nello strumento, cosa che normalmente avviene durante la respirazione. Un brano elettrizzante ma anche una "lezione" di tecnica proviene da questo giovane e valoroso strumentista, che ha letteralmente mandato il pubblico in visibilio. Gran finale con la Fantasia brillante su arie della "Carmen", autore François Borne, una parafrasi come se ne facevano tante all'epoca, costituita da un "pot-pourri" in cui si prendevano le melodie di un'opera e si adattavano in un pezzo della durata di otto, dieci minuti (una sorta di antesignano delle moderne Greatest Hits). Fu scritto originariamente per flauto e pianoforte, poi trascritto per sassofono e pianoforte.



Un bis viene concesso alla fine di questo strepitoso concerto, dove il pubblico dopo un'ora e mezza è sembrato non essere ancora pago di musica. Un gradito fuori programma con "Vacances" di Jean-Michel Damase, brano che conclude in rilassatezza, nelle acque maternali di un "sound" gradevolissimo e sognante, questo terzo appuntamento con il XXXVIII Festival "Musica a Villa Durio".


Alfredo Di Pietro

Dicembre 2019


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