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 Musica a Villa Durio - I quartetti giovanili di Beethoven e Mendelssohn Minimizar

 

 

Potrebbe sembrare l'episodio di un report di viaggio, ma non lo è. Nemmeno una gitarella decisa lì per lì, approfittando dell'invito di un amico speciale e del tepore di una bella giornata primaverile. Non deve suonare come una contraddizione, ma fondere diporto e voglia d'arte si può. Un'idea per nulla stravagante allora mettere in conto un concerto di musica classica tra le normali consuetudini di ogni giorno, destinazione Varallo, caratteristico comune vercellese che sorge lungo le rive del fiume Sesia. Un borgo dal sapore antico; un'oretta e mezzo di automobile da Milano e siamo immersi nel suggestivo scenario della valle più verde d'Italia, la Valsesia. Si esce, quasi d'incanto, dalla caoticità metropolitana per essere proiettati in un mondo dove il tempo sembra essersi fermato. "Varal" (in dialetto piemontese) è praticamente diviso in due dal torrente Mastallone, affluente del Sesia, linea d'acqua che separa il suo centro storico dalle più recenti edificazioni. L'amico speciale è Massimo Giuseppe Bianchi, pianista varallese, conosciuto grazie alle "news" discografiche che regolarmente mi manda per e-mail l'amica Alice Bertolini. Nell'ottobre 2016 si annunciava l'uscita del CD "Around Bach", un lavoro dedicato alla forte impronta che il sommo "Kantor" ha lasciato in altri autori. L'ho ascoltato con un misto di deferenza e sorpresa, scoprendo un interprete raffinato quanto intrigante nelle sue scelte di repertorio. Se c'è un'arte anche nell'accostare e mettere sapientemente in sequenza "logica" dei brani apparentemente molto distanti tra loro, lui dimostra di averne pieno possesso.

 



Facendo un repentino salto in avanti nel tempo, andiamo alla domenica del 23 aprile, dove questa sua inclinazione alla felicità di scelta dei repertori, a tema in quest'occasione, si ripete nel concerto cui ho assistito. Massimo è un pianista importante, perfezionatosi con maestri del calibro di Bruno Canino, Franco Rossi, Maureen Jones, sul versante cameristico ha accumulato esperienza con il Trio di Trieste e il Trio di Milano. Non si è solo dedicato alla difficile arte dell'interpretazione, ma ha pure studiato composizione con Vittorio Fellegara e Bruno Zanolini, partecipato a una masterclass di György Ligeti. Rimarchevoli sono le sue frequentazioni, con l'esibizione in sedi prestigiose, ospite d’importanti istituzioni come il Parco della Musica di Roma, la Società del Quartetto di Vercelli, il Centro Studi Musicali "Ferruccio Busoni" di Empoli, "Settembre Musica" di Torino", l'Accademia Filarmonica Romana, I Concerti del Quirinale di Rai Radio 3, la Columbia University (NYC). Ha suonato in diretta su Rai Radio 3 (La Stanza della musica) e sulla Radio della Svizzera Italiana. Solo qualche cenno biografico perché non voglio farmi prendere la mano da quelle che Pier Paolo Pasolini definì "le banalità linguistiche della biografia" nel suo saggio "Studi sullo stile di Bach". E non merita assolutamente un trattamento pedissequo Massimo Giuseppe Bianchi, uomo di cultura ancora prima di essere concertista perfetto. Umanamente, una persona del tutto priva di supponenza e primadonnismo, amabile. Non c'è bisogno di digrignare i denti per dimostrare agli altri le proprie capacità, quelle sono lì, sotto gli occhi di tutti, dal momento in cui si poggiano le mani sulla tastiera di un pianoforte.

 



Nei suoi concerti affronta spesso coraggiosamente anche opere di rara esecuzione, che richiedono un impegno virtuosistico da far tremare le vene ai polsi. Volete qualche esempio? Le Variazioni Goldberg BWV 988 di J.S. Bach, la Sonata di Jean Barraquè e, per non farsi mancare nulla, il ciclo completo delle trascrizioni per pianoforte delle nove sinfonie di Beethoven realizzate da Franz Liszt. Un bel giorno ha deciso di ampliare il proprio raggio d’azione artistico, perché allora non dedicarsi alla creazione di un Festival musicale? Idea bellissima, anche questa coraggiosa, in un paese dove esiste un forte scollamento tra la voglia di musica della gente e l'inedia dimostrata dalle istituzioni nel venire incontro a quest'esigenza. Quando si capirà che il nutrimento musicale, per certi versi, non è meno importante di quello alimentare, forse qualcosa inizierà a cambiare... Massimo ha coltivato il suo Festival "Musica a Villa Durio" sin da quando era allo stato seminale, lo ha amorevolmente innaffiato con il suo entusiasmo. Ha creduto sin dal primo momento nell'importanza di questa manifestazione, nata nel 2000 sotto il patrocinio dell'Amministrazione comunale di Varallo Sesia, si è rimboccato le maniche contribuendo al suo sviluppo sino a quando il tenero germoglio è diventato un albero rigoglioso. La sua evoluzione, a oggi, non mostra battute d'arresto, procede sicura nel segno di una speciale attenzione per la qualità del repertorio proposto. Sono ormai diciassette gli anni di attività, periodo in cui la Stagione si è costantemente sviluppata nel soddisfare la fame di bella musica che c'è in giro, gli piace spandere luce su un territorio che tanto invita al raccoglimento, all'estatica riflessione.

 



Cartina al tornasole di una promessa iniziale mantenuta é la risposta del pubblico, che non è mancata: "Musica a Villa Durio" è cresciuta nel tempo fino a diventare una delle iniziative musicali più note e originali del Piemonte. Sarebbe a questo punto ingeneroso non citare il contributo d’importanti sponsor e l'apporto dei numerosi grandi musicisti che puntualmente arricchiscono il Festival con la loro rassicurante presenza. Artisti che ogni anno suonano non solo il repertorio della grande tradizione classica, ma anche musica contemporanea, parecchio Jazz, senza disdegnare dei generi sino a poco tempo fa preclusi alle kermesse di musica "seria", identificando con questo termine la cosiddetta Classica. Ecco allora spuntare tra le sue pieghe il Klezmer, il Ragtime, il Tango e la grande canzone napoletana. Il fermento musicale ha avuto dei riscontri discografici, i quali oggi lasciano stratificazione storica, seppur parziale, di un progetto dal largo respiro internazionale. Nel 2006 uno dei concerti, con Fabrizio Bosso alla tromba e Franco d’Andrea al pianoforte, è stato pubblicato in CD dall'etichetta Philology con titolo “Jazz a Villa Durio”. Data per data, approdiamo all'ottobre del 2015, anno in cui si raggiunge l'ambizioso traguardo della trentesima edizione, per oltre centocinquanta concerti messi in piedi. Dai primi appuntamenti in Villa Durio, la scena passa all'Istituto professionale di stato per i servizi alberghieri e della ristorazione "G. Pastore", un augusto edificio che fu un tempo lo Stabilimento idroterapico e climatico in Varallo Sesia.

 



Ne fu scritta una "Guida" da un autore anonimo, in occasione del suo centenario (1894 - 1994). Emblema del benessere economico creato dallo sviluppo industriale a favore dei ceti più alti, con questo stabilimento ebbe inizio un importante fenomeno di espansione del turismo in Valsesia. L'arrivo della ferrovia sul finire dell’800 segnò una svolta per il suo incremento. Gli annali narrano che la scintilla per la sua costruzione sorse da un'idea di Enrico Musso, in società con il commendator Antonio De Toma. La grande struttura fu inaugurata il 2 Luglio 1893 insieme all'annesso Splendid Park Hotel. Punto di riferimento per una clientela di alto livello, disponeva di una grande vasca natatoria di ben 300 metri quadri, di vaste sale per pranzi, ricevimenti e grandi feste, un grande parco con campi di tennis, cricket e pallamaglio. A concerto finito io e Massimo ci siamo concessi un'ottima pizza in un caratteristico locale di Varallo Vecchio, la conversazione è andata avanti in un piacevolissimo (e forse per lui un po' nostalgico...) "rewind" mnemonico: "Si era nell'anno 2000, accettai la proposta d'istituire un festival musicale, con il suggerimento però di estenderlo a un ciclo di tre concerti, in modo da trovare le basi per una possibile futura stagione musicale. Questa proposta fu accettata. Tenni un concerto in Trio, un recital pianistico e poi invitai tre colleghi molto bravi che si esibirono in un'esecuzione cameristica che includeva anche un divertimento di Mozart. Cinquanta minuti di bella musica solo il trio. Questo fu l'inizio di "Musica a Villa Durio", ospitata in quella che era la sede del Municipio di Varallo.

 



Nella denominazione originale figura quest'edificio, lì nacque la stagione e lì talora torniamo ancora a suonare. Con gli anni ho deciso di dare a questa manifestazione una fisionomia ben precisa, uno spazio dove potessero abitare tutti i generi di musica, senza distinzione, purché qualitativi. Ne individuai diversi, con l'esclusione del Pop e altri che non sono nelle mie corde. Ben accetta la Classica, il Jazz, con delle incursioni in universi paralleli come il Tango. Fu organizzata una serata dedicata proprio al Tango con il duo Bandini-Chiacchiaretta, una al Ragtime con Antonio Ballista, un omaggio a Roberto Murolo e alla canzone napoletana. Oggi, anche la corale popolare: il 30 aprile si terrà un concerto intitolato "La mia bela la mi aspeta", canti alpini e militari dal 1896 a 1943 con il Coro A.N.A di Milano. Sono tutti mondi paralleli alla musica classica. Non sono mancate le sortite nel teatro con David Riondino, che è venuto a leggere delle poesie, e poi anche Paolo Poli. Conoscevo un po' questo grande attore, lo avevo sentito al telefono un mese prima che morisse. Lo ricordo come un professionista di una precisione e serietà incomparabili. Con due cadenze l’anno, cioè in aprile e ottobre, ormai da diciassette anni si prosegue con questo festival. Si svolgono otto, nove concerti l'anno, qualche volta dieci. Tra i generi è stata presa in considerazione pure la musica antica, c'è stato un recital per liuto con Jakob Lindberg e poi ancora musica contemporanea, Ligeti, Donatoni. Sono stati ospitati tanti grandi jazzisti, italiani e stranieri, come Enrico Pieranunzi, Franco D'Andrea, Joe Labarbera, che è stato l'ultimo batterista di Bill Evans.

 



Fabrizio Bosso, Flavio Boltro, il grande chitarrista Ralph Towner. Rita Marcotulli. Si cerca sempre di mettere prima il repertorio e poi gli esecutori, con la principale intenzione di ricucire un repertorio interessante e vario. Gli appassionati di musica ci sono, questa non ha perso nulla del suo potere, semplicemente va di moda pensare piaccia a pochi, che sia un prodotto di nicchia. Se la televisione generalista tornasse (perché l'ha già fatto in passato) a proporre musica, questa avrebbe molto più seguito di qualsiasi idiota reality. Non è stata nemmeno trascurata la liederistica, genere che amo ma che in Italia non viene molto praticato. Tanti sono i pianisti prestigiosi che hanno partecipato a "Musica a Villa Durio": Andrea Lucchesini, Bruno Canino, con il quale nella scorsa edizione ho suonato a due pianoforti l'arte della fuga, in una versione che prevedeva il nostro alternarci. Un evento bellissimo e indimenticabile!". Prima di lasciare il ristorante, Massimo snocciola altri nomi che riaffiorano alla sua memoria: "dalla sua fondazione a Varallo abbiamo programmato più di 150 concerti. Mi vengono in mente i violinisti Uto Ughi, Mariana Sirbu, Francesca Dego, i violoncellisti Mihai Dancila, Rocco Filippini e ancora Michele Campanella, Alexander Romanovsky, Maria Pia de Vito, Rosario Giuliani, i cantanti Gemma Bertagnolli e Laura Cherici..."


23/04/2017
IL CONCERTO

Ludwig Van Beethoven

Quartetto N. 2 in re maggiore WoO 36:
I. Allegro moderato
II. Andante con moto
III. Rondo. Allegro


Felix Mendelssohn-Bartholdy

Quartetto N. 3 in si minore Op. 3:
I. Allegro molto - Più allegro
II. Andante
III. Allegro molto
IV. Finale. Allegro vivace

Ensemble Novalis.
Yuko Ishikawa, violino
Markus Berthold, viola
Frieder Berthold, violoncello

Massimo Giuseppe Bianchi, pianoforte

 



Teatro di quest’avvincente pomeriggio in musica è il salone XXV aprile dell'Istituto "G. Pastore", un tempo chiesa dello Stabilimento idroterapico e climatico. Quarto dei sei concerti della tranche primaverile di questa 33^ edizione, è stato preceduto da quella che possiamo considerare una novità, la "Guida all'ascolto", appuntamento che fa da introduzione al concerto della domenica successiva. Un artista e uomo di cultura dalla grande preparazione, Luca Ciammarughi, giovedì 20 Aprile al Museo Scaglia ha condotto "Ritratto dell'artista da giovane - I quartetti di Beethoven e Mendelssohn". Dopo aver assistito a numerose lezioni concerto, credo nell'importanza della parola prima della musica. Ci si può semplicemente sedere e ascoltare, confidando nella forza che di per sé esercita su di noi la musica, oppure farsi guidare nei meandri del suo percorso storico-artistico da un Cicerone di vaglia come il bravissimo Luca. Familiarizzare con le più intime ragioni di un'opera. La strada della divulgazione accorata, mai fredda o impersonale perché dettata dall'esigenza interiore di un artista, è il modo migliore per approdare a una più profonda comprensione della musica. Un esempio banale, o forse no: fa molta differenza sapere che una composizione è stata scritta da un autore in tenera età piuttosto che nella piena maturità o nella senescenza. Il dato anagrafico può farcela vedere con occhio diverso.

 

Costanza Daffara, dell'Associazione Fiorile Messidoro che gestisce lo spazio messo a disposizione per il Festival "Musica a Villa Durio.

In questo concerto c'immergiamo in due opere cameristiche giovanili di Beethoven e Mendelssohn, dove ci aspetteremmo un linguaggio ancora acerbo, troviamo invece due compositori che padroneggiano in modo perfetto la forma, in due opere però dalla temperie molto diversa. WoO sono le opere beethoveniane senza numero d'opera (Werke ohne Opuszahien), un catalogo collaterale che conta diversi numeri tra cui c'è anche questo Quartetto N. 2 in re maggiore, dalla fresca inventiva mozartiana. A fine settecento la formazione del trio d'archi con pianoforte era considerata di minor importanza rispetto al quartetto d'archi, anche lo stile ne risentiva, non foriero di profondità abissali ma più di una dialettica conversevole e semplice. La Salonmusik era ancora di là da venire ma ne troviamo in questo tipo di opere un sicuro prodromo. Il genere conobbe una piena espansione a partire dall'inizio del diciannovesimo secolo, epoca Biedermeier. Era musica di facile comprensione, incline a un certo sentimentalismo di maniera, emula del salotto letterario. L'atmosfera salottiera era ricreata da composizioni principalmente rappresentate da danze o arrangiamenti di arie d'opera e operetta. Insomma, qualcosa di simile oggi alla produzione di James Last o Richard Clayderman. Non sarebbe giusto però snobbare questo tipo di opere amabilmente mondane, la musica deve comprendere ogni aspetto o moto dell'anima, quindi anche una tranquilla quotidianità. Qui ci troviamo al cospetto di un qualcosa di molto lontano dall'estrema produzione quartettistica del genio di Bonn, ma non privo di un brillante fascino.

 



Uno spirito che l'Ensemble Novalis e Massimo Giuseppe Bianchi colgono in pieno in un gioco delle parti dal pregevole equilibrio. Di quest'opera giovanile ho ascoltato delle letture in cui il pianoforte tendeva un po' a svettare sugli archi, non così in questa, che invece si basa su un garbatissimo dialogo tra gli strumenti, dove non ci sono protagonisti ma una ben ponderata fusione d'insieme. Nel segno di Haydn e Mozart, si legge sul volto di questi provetti interpreti la gioia del fare musica insieme, del lasciarsi andare a un beneducato botta e risposta. Dopo l'iniziale "Allegro moderato" i toni permangono leggeri, ma nell'"Andante con moto" diventa sensibile la volontà di uno sviluppo più articolato, in alcuni momenti le modulazioni tonali lasciano presagire la volontà di un maggior approfondimento espressivo. I nostri quattro musicisti qui ci regalano una soavità che però, verosimilmente, si discosta dalla scintillante spigliatezza dell'incipit per sbarcare in più meditativi porti. Si ritorna a bomba alla piacevole frivolezza del clima di partenza con il "Rondò. Allegro", un'esplosione di robusta giovialità che il nostro quartetto asseconda magistralmente, manifesta una grazia ammiccante alla quale è impossibile resistere.
In anni giovanili è stato composto anche il Quartetto N. 3 in si minore Op. 3 di Mendelssohn. L'accostamento con il beethoveniano sorprende l'ascoltatore, che forse si aspettava qualcosa di simile, se non nello spirito ma certamente nel grado di maturità compositiva. È un Mendelssohn che invece spiazza non solo per la complessità del linguaggio ma per l'incredibile profondità drammatica che dimostra.

 

Yuko Ishikawa

Markus Berthold

Frieder Berthold

Appare chiara la differente precocità dei due compositori, entrambi quindicenni all'epoca, e apprezziamo oggi quanto ingiustificato fosse il pregiudizio a lungo circolato su Mendelssohn di compositore "inconsistente", tutt'al più ritenuto abile epigono del classicismo. Il giovanissimo compositore amburghese in quel periodo della sua vita si getta anima e corpo nella produzione cameristica, soprattutto i quartetti per archi, sono anni di grandi conquiste tecnico-stilistiche che lo portarono a essere padrone di una forma che celava anche tanta sostanza. L'Ensemble Novalis e Massimo Giuseppe Bianchi, forti di una rimarchevole duttilità, attraversano con nonchalance due climi così diversi, si fanno porta d'ingresso di mondi discordanti. Affrontano con impeto l'"Allegro molto - Più allegro" in un magma sonoro nel quale l'ascoltatore rimane completamente invischiato. La tessitura drammatica si esprime in un cantato dalle nobilissime linee melodiche. È un romanticismo primaverile quello di Mendelssohn, dall'immediata spontaneità, offerto con una commovente sincerità dai nostri interpreti. Nell'"Andante" possiamo riconoscere il fervente mondo espressivo dei "Lied ohne Worte", quel canto sentimentale di squisita fattura, velatamente malinconico, ma di una nostalgia mai disperante, sempre vibrante e trasfigurata. La fitta scrittura dell'"Allegro molto" impone un virtuosismo sottile, un'abilità digitale da microchirurgia, non scopertamente eclatante come la lisztiana, ma non per questo credo più agevole.

 



La scioltezza con cui i repentini passaggi vengono sgomitolati dal quartetto è davvero entusiasmante, un potente fluire di stati d'animo mai perturbati da ostacoli di sorta. Un grande lavoro di "texture" e passione che fa presagire il drammatico epilogo del "Finale. Allegro vivace", il quale compendia un percorso di romantico tormento in una conclusione perentoria, ma allo stesso tempo aperta a squarci di sereno dove la tensione si allenta in una sublime cantabilità, a tratti di stampo quasi operistico. Due opere geniali che lo spessore interpretativo del trio d'archi Ensemble Novalis e il pianista Massimo Giuseppe Bianchi porta all'acme. Formidabile la vibrante lucentezza dell'impasto timbrico tra pianoforte e archi e perfetta la calibrazione nell'insieme delle singole parti strumentali.

 



Maggio 2017

Alfredo Di Pietro


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