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 Maurizio Baglini e Silvia Chiesa in concerto - Desio 11/11/2018 minimieren


 

 

Domenico Scarlatti (1685 – 1757)
- Sonata per clavicembalo in fa minor K. 466/L. 118
- Sonata per clavicembalo in mi maggiore K. 162/L. 21

Franz Schubert (1797 - 1828)
Sonata in la minore per arpeggione e pianoforte D. 821
- Allegro moderato

Franz Joseph Haydn (1732 – 1809)
Concerto per violoncello e orchestra in do maggiore Hob. VIIb:1
- Adagio (Trascrizione per pianoforte e violoncello)

Robert Schumann (1810 - 1856)
Davidsbündlertänze Op. 6. Diciotto pezzi caratteristici per pianoforte.
- XIV: Zart und Singend
- XV: Frisch

Robert Schumann
Kreisleriana Op. 16
- 1 Äußerst bewegt

Robert Schumann
- Arabeske Op. 18
- Phantasiestücke Op. 12: In der Nacht

Sergej Rachmaninov (1873 - 1943)
- Sonata in sol minore per violoncello e pianoforte Op. 19: 2 - Allegro scherzando

 

Marco Mologni, giornalista e fondatore dell'associazione Amici della Musica "Herbert von Karajan" di Desio

L'atteso appuntamento era l'11 novembre a Desio, Villa Cusani Tittoni Traversi, immersa quel giorno nelle "acque maternali" di un sottile ma persistente piovigginare. Un'atmosfera che mi ha riportato alla mente il racconto di Kafka "Preparativi di nozze in campagna", bagnati di pioggia e immersi in uno strano fervore onirizzato. Arrivo con largo anticipo sull'orario d'inizio dell'evento "Maurizio Baglini Silvia Chiesa in concerto", un Incontro - Concerto con musiche di Schumann, Rachmaninov, Brahms, Scarlatti. Sotto un cielo plumbeo mi appare questa prestigiosa Villa, opera dell'architetto milanese Giuseppe Piermarini, le cui origini sono da ricondurre probabilmente al XVI secolo, periodo nel quale i conti di Rho possedevano a Desio una villa di campagna. Nel secolo successivo questa venne requisita dalla Regia Camera di Milano, insieme con le loro proprietà, e venduta nel 1651 dal governo al marchese Ottavio Cusani. Trovandosi allora in aperta campagna, la tenuta venne utilizzata come residenza di villeggiatura, mentre la nobile famiglia continuò ad abitare nella sua residenza ufficiale, il Palazzo Cusani di Milano. Questa grande villa venne ristrutturata nel corso dell'Ottocento dal pittore, scultore e decoratore d'interni Pelagio Palagi. All'inizio del Novecento fu sottoposta anche a piccoli interventi dell'architetto Luca Beltrami. In questo concerto cameristico un grande merito va riconosciuto all'associazione Amici della Musica "Herbert von Karajan", i cui volontari hanno lavorato gratuitamente per organizzarlo.

 

Achille Taccagni, consigliere comunale a Desio

Maurizio Baglini

Una realtà che ormai da anni riempie il calendario culturale desiano, con all'attivo un centinaio di eventi (tutti di straordinario livello culturale) e creatrice di stimoli per i quali, anche in una giornata climaticamente non favorevole come questa dell'11 novembre, tante persone hanno comunque voluto partecipare. Senza dimenticare l'Amministrazione Comunale, rappresentata dal consigliere Achille Taccagni, che ha aperto le porte della Sala della Musica di questa sontuosa "villa di delizia" brianzola e fornito un fattivo contributo affinché quest'evento fosse realizzato. In questa sala l'amministrazione comunale di Desio ha individuato l'ambiente più consono da dedicare agli eventi musicali, dov'è stata attuata anche una certa ottimizzazione acustica per mezzo di numerosi pannelli fonoassorbenti di colore rosso. Ma la finalità del concerto non è stata solo quella di divulgare della bella musica, ma anche di promuovere il disco come strumento culturale. Per riaffermare questa funzione, a fine concerto, per chi voleva e poteva, erano disponibili diversi CD dei due artisti protagonisti dell'evento. L'incipit è affidato alle parole e alle note di Maurizio Baglini, raggiunto in seguito da Silvia Chiesa per un'esibizione della durata di circa un'ora; un "riassunto", lo chiama, di quello che è un rapporto esclusivo con l'etichetta discografica Decca. L'artista pisano dà una particolare importanza al supporto discografico, forse superiore a quella conferita da altri interpreti, per la sua capacità di creare memoria.

 



Ogni volta che si risuonano dal vivo dei pezzi incisi, recentemente o anni addietro, si riattualizzano le interpretazioni, l'esecutore ripensa a come lavorava riconoscendo nel disco una fotografia del momento, la quale così può essere rivista e confrontata con l'odierna. Nella nostra epoca spesso si dice come il virtuale, i Social, Internet rendano l'informazione a uso e consumo immediato, Baglini non si dichiara contrario all'evoluzione dei tempi, crede tuttavia che sia necessario educare le generazioni più giovani a come usare tutte le risorse messe a disposizione del Web. Tanti studenti oggi gli chiedono dei consigli. Ai suoi tempi bisognava andare in biblioteca, fare una richiesta scritta per avere magari uno spartito rarissimo. Oggi in rete si trova tutto, ma occorre essere ancora più critici nello spirito, selettivi e dotati di elevazione culturale, che è diversa poi dall'intrattenimento, per poter discernere il valore di ogni cosa. Questi due elementi in realtà non sono in contrasto, ma la discografia ci aiuta a fissare quello che è un progetto come oggetto definitivo. Baglini coglie l'occasione per ricordare il rapporto collaborativo tra lui e la Decca, giunto al sedicesimo album, e per parlare della quarta tappa della sua integrale della musica per pianoforte di Robert Schumann: "Arabeske". Nel tempo i CD si sono accumulati in una produzione ormai tanto vasta da non poterla passare in rassegna in un singolo evento come questo.

 



Nella sala antistante alla "Musica" è stato possibile, al termine del concerto, acquistare e farsi autografare sette dei sedici dischi in attivo sino a oggi, compreso Arabeske, ma soltanto da sei è stato estrapolato un brano, poi eseguito da Maurizio Baglini e Silvia Chiesa, con una piccola variazione sul programma previsto: assente J. Brahms, sostituito da F. Schubert. Con emozione, il maestro ricorda che quanto è esposto sopravviverà a noi, questo è l'insostituibile valore del disco, in grado di stimolare l'artista a continuare a registrare. È fondamentale creare la memoria, un archivio e saperlo poi attualizzare. Mentre il maestro parla, rifletto pensando alle sue "vecchie" registrazioni di F. Liszt, basate su un pianismo atletico e scattante, al limite del nervoso, in confronto al suo più recente "Evocation", dove una maggiore maturità si riconosce in una visione dalla ferrea coerenza, nell'attenta ricerca di timbri e dinamiche più calibrate, nel grande respiro sinfonico che si riconosce in "À la Chapelle Sixtine S 461/2". Qualità presenti anche prima per carità, ma che oggi risaltano forse con maggior consapevolezza, raffinate dal tempo e dallo studio. Maurizio Baglini ama il format della "Lezione Concerto", quell'alternanza tra parole e musica che è stata adottata anche in quest'evento, anche se il termine "lezione" potrebbe nel contesto odierno sembrare troppo solenne, richiamare la figura di un professore che dispensa il suo sapere ai discepoli. Si è trattata in realtà di una chiacchierata con il pubblico, piuttosto informale, in cui il pianista pisano a un certo punto si è liberato anche della giacca.

 



Dopo l'introduzione, si siede al pianoforte e suona la Sonata K 466 (L 118) e la K 162 (L 21) di Domenico Scarlatti, autore che lui ama molto, dedicatosi nel corso della sua attività alla sonata monotematica bipartita. Ne compose ben 555 per il clavicembalo, non avendo nemmeno potuto contemplare l'idea del pianoforte moderno. Poco importa. Esiste anche la prassi filologica, il recupero del passato, ma Baglini crede che oggi la funzione dell'interprete sia quella di porsi il perché, con quale finalità si possa suonare musica si sublime, ma che ha duecento, trecento e più anni di vita e, soprattutto, come renderla fruibile al pubblico odierno. L'esecutore ha il compito di non cambiare le note, il codice del testo scritto, ma di agire secondo la sua individualità interpretativa. In questi due pezzi c'è una modernità incredibile; se non sapessimo che si tratta di Domenico Scarlatti, potrebbero essere delle sonate assolutamente avveniristiche, quasi un notturno di Chopin, una brevissima opera buffa sintetizzata in due minuti e mezzo. La musica è sempre stata traduttrice di fenomeni sociologico-culturali, questo è il filo rosso dell'operazione di attualizzazione fatta dal nostro interprete lungo tutto il concerto. Baglini trova una sua dimensione del momento nel clima confidenziale che è riuscito a instaurare con il pubblico, ci regala una K 466 eseguita con grande libertà, con un meraviglioso senso del rubato, dove viene del tutto sovvertito un andamento rigidamente metronomico. Sottolinea i momenti di massima tensione ricorrendo a improvvisi trasalimenti dinamici, momenti in cui il suono si fa teso, implorante.

 

Silvia Chiesa

Quasi languida, comunque molto sensuale si manifesta la sua interpretazione. Segue la Sonata K 162 (L 21) in mi maggiore: Andante - Allegro, dove l'inizio sornione lascia il posto a un andamento precipitato nelle parti più mosse. il pianista estremizza le indicazioni di tempo, non media né le pensose divagazioni della mente né tantomeno l'affrettarsi del gioco danzante. L'Allegro moderato della Sonata D. 821 di Schubert, spezza in qualche modo quest'incanto per trasportarci in un altro tipo di seduzione, tra il classico e il romantico, in una situazione di passaggio verso autori che invece sono pienamente romantici. La composizione vede originalmente all'opera l'arpeggione, strumento ibrido a metà strada tra la chitarra e il violoncello, inventato dal liutaio viennese Johann Georg Staufer nel 1823 e che ebbe fama effimera, ben presto dimenticato. Questa sonata fu commissionata a Schubert da Vincenz Schuster, uno dei sostenitori e promotori di questo particolare strumento. Non è affatto facile suonarla sul violoncello perché, a fronte delle sei corde che aveva l'arpeggione (con una grande estensione), questo ne ha solo quattro e costringe l'esecutore a un grande virtuosismo. Silvia Chiesa e Maurizio Baglini ci hanno proposto questo Allegro moderato in forma di sonata, dal carattere lirico e velato di malinconia, con l'abilità tecnica e la bellezza di colore che tutti gli riconosciamo. Fuori dal comune il loro rubato, che ha reso questo primo movimento vivo e palpitante. Si prosegue quindi sulla strada di un'attualizzazione su strumenti diversi, ma soprattutto, in questo caso, in una stratificazione della memoria di un progetto che è nato - orgogliosamente - dai due strumentisti: l'Amiata Piano Festival. Idea chiama idea, ricordo chiama ricordo.

 



Il loro festival si svolge da quindici anni nelle colline toscane tra Siena e Grosseto, in alta Maremma, partito come una serie di concerti domestici, fatti quasi per gioco con amici, e poi diventato come una realtà tra le più prestigiose a livello internazionale. Per la sua nascita e crescita, hanno messo in campo tutta la loro "visionarietà" e la fattiva capacità di dar forma reale a un sogno, coinciso con le loro aspirazioni artistiche, per definizione avvolte nel bozzolo di un'utopia. In tempi più recenti, la Fondazione Bertarelli ha costruito un magnifico auditorium capace di trecento posti, il Forum Bertarelli (inaugurato nel giugno 2015), nel quale si è trasferito un festival che sino ad allora si era svolto nelle cantine vinicole dell'azienda ColleMassari. L'attuale location vanta un'acustica di primissimo livello, attentamente studiata da ingegneri e calata in un contesto paesaggistico unico. Si è poi stabilito, con il produttore Decca Mirko Gratton, di realizzare una serie di CD che lasciassero testimonianza dell'Amiata Piano Festival in alcune sue tappe molto significative. Il primo è stato dedicato a tre concerti solistici di F. J. Haydn. Con questo, il direttore artistico Maurizio Baglini ha voluto rendere omaggio al suo mecenate, il quale ha voluto fare un sontuoso investimento e ancora oggi continua a finanziare il festival, così come Haydn era stato riconoscente alla famiglia Esterházy. Senza l'orchestra è difficile farlo ascoltare, ma il secondo movimento (Adagio) del concerto per violoncello in do maggiore Hob. VIIb:1 è stato trasposto per pianoforte e violoncello, in una scrittura verosimilmente molto vicina a quella di Haydn.

 



Pochi mesi fa, sempre nell'ambito della collana "in itinere" "Live at Amiata Piano Festival" è uscito il secondo CD, dedicato ai quintetti D. 956 di F. Schubert e Op. 44 di R. Schumann. "Ci gratifica particolarmente", afferma Baglini, "avere un festival che possa pregiarsi di una casa discografica che ne pubblica i momenti più significativi". La dimensione cameristica di questa trascrizione non si risolve in un "minus", tutt'altro, ma esalta l'intimismo lirico di cui è pervasa questa bellissima pagina, con i due esecutori particolarmente a proprio agio nel dialogare. Tornando a parlare di progetti "visionari", il musicista pisano, grazie alla collaborazione con Decca, dichiara di aver trovato la sua dimensione d'interprete al pianoforte con un autore che gli è particolarmente congeniale: Robert Schumann. Di una cosa è convinto: tutto ciò che è destinato alle minoranze, alla stregua della musica classica, è qualcosa che non solo rievoca il sublime e sviluppa una società migliore, ma può dare adito a progetti anche sociologicamente utili. L'esempio del festival amiatino è abbastanza eclatante, in questo sono state cercate delle sponsorizzazioni anche sulla base di un'idea forte, rivolta allo sviluppo di un territorio in Toscana forse remoto, certamente meno raggiungibile. Quindici anni fa non c'era quasi nulla, Baglini era un ragazzo in cui era balenata l'idea del rinnovamento, cioè cosa può ottenere oggi come spazio la musica classica. Con la Decca era partito abbracciando progetti dedicati al romanticismo, tanto Liszt per esempio, e poi si è deciso di fare un'integrale.

 



Quest'anno Baglini ha registrato due dischi; uno di questi è un "live" fatto in Francia l'anno scorso che contiene le Davidsbündlertänze Op. 6, un manifesto in forma di danza con cui Robert Schumann contestava gli accademici, sferrava l'attacco ai conservatori in una dichiarazione di "guerra" che segna un prima e un dopo, soprattutto per la musica pianistica. Non che il compositore confutasse il valore assoluto di Bach, Mozart o Beethoven, anzi, ma fu il primo a individuare la necessità d'inserire la musica in una complementarietà con altre forme d'arte. Creò la critica musicale, si fece propalatore della sinestesia, nell'associare la musica (udito) agli altri sensi: alla vista con l'arte figurativa, alla poesia con l'arte letteraria, alla filosofia stessa come forma d'arte e non solo come scienza del pensiero. In un'integrale come questa c'è un enorme lavoro alle spalle, vari parametri da considerare che rendono questo progetto davvero di ampio respiro. Impegnerà Maurizio Baglini per diversi anni: il suo completamento, secondo le previsioni, avverrà entro il 2025. Riguardo l'Op.6, bisogna tener presente che già chiamare danze dei lieder (si tratta infatti di canzoni trasposte in movimento danzante) è di per sè abbastanza rivoluzionario come approccio. Il pianista ci suona la quinta e sesta danza dal secondo libro: Zart und Singend e Frisch, con grande delicatezza la prima e con accenti vigorosi la seconda, in un contrasto che dà modo ai presenti di riconoscere in lui la capacità di creare una gamma dinamica estremamente ampia, oltre che un fluire melodico mai monotono, ma ricco di nuance nel raffinato fraseggiare.

 



Il compositore stesso fornisce delle chiavi di lettura, come in Kreisleriana Op. 16, una raccolta di otto fantasie ispirata ai racconti di Hoffmann. Irrompe sulla scena Johannes Kreisler, fittizio maestro di cappella, di fatto un "bigotto" secondo la definizione dello stesso Schumann, che poi diventerà il condottiero, il primo "testimonial" della rivoluzione. Baglini si è posto nel proporre questi capolavori un quesito molto semplice: che senso abbia oggi per lui registrare tutta la musica pianistica di Schumann, anche se d'integrali ce ne sono pochissime. Il senso più autentico di un lavoro come questo è stato quello di cercare di comprendere il pensiero filosofico dell'autore, il quale affermò che bisogna partire dal testo (lo spartito) e non da un'abitudine interpretativa, sia pur consolidata. Era questo che già ai tempi contestava, un concetto che può essere tranquillamente traslato anche ai giorni nostri. Baglini spiega al pianoforte la sua concezione della prima fantasia, Äußerst bewegt, dice si aver individuato un accento decisamente ansiogeno che cade sulla seconda terzina di ogni tempo e che la tradizione aveva eliminato (forse per non complicarsi la vita in un brano già così difficile). Andando poi a guardare bene, si notano questi bassi scompensati rispetto alla linea melodica della mano destra, la grande problematicità virtuosistica. Non dimentichiamo che Schumann aveva la frustrazione di non essere riuscito a diventare un grande pianista, com'era invece sua moglie, che era poi quella che portava il pane a casa, oppure l'amico Franz Liszt o F. Chopin. L'interprete pisano non pretende di avere la verità in tasca, ma è consapevole di aver fatto un lavoro di profonda coscienza che almeno offre agli ascoltatori un disco creatore di memoria, possa piacere o meno.

 



Emerge il tentativo di conferire all'interprete una funzione di riattualizzazione, anche perché nel '900 c'è stata la cosiddetta separazione delle carriere. Dopo Rachmaninov, Bartók, Stravinskij, le due figure d'interprete e compositore si divisero. Prima di prendere in considerazione il CD appena uscito, quarta tappa dell'integrale, ascoltiamo proprio il primo episodio di Kreisleriana Op. 16, quell'Äußerst bewegt la cui visione personale il maestro ha spiegato al pubblico con ricchezza di particolari. Occorrerebbe molto tempo per solo sintetizzare la poetica a 360° di questo grande genio della musica, va da sé quindi che in un contesto come questo sono possibili solo dei "flash". Del disco appena uscito Baglini analizza e suona il pezzo che lo intitola, Arabeske Op. 18, un lied in forma di rondò che, analogamente a Kreisleriana, lui vede in maniera molto originale. Anche qui ha fatto un lavoro che definisce abbastanza coraggioso e di cui si assume la responsabilità. Suona l'inizio del brano prima come di solito viene fatto, cioè con un regolare e fluido susseguirsi delle quartine di semicrome, e poi come lo concepisce lui, vale a dire con la libertà del fraseggiare di una canzone, ciò che in realtà Schumann voleva. il compositore fu spesso spietato con le sue opere, anche con autentiche gemme come questa, che definì "debole e per signore". Trova un senso nell'arabesco, inteso come ondeggiante decorazione dall'andamento libero, fantasioso ed è proprio questo aspetto che il nostro pianista vuole far risaltare. L'ornamentazione moresca. Nell'assaggio di questo disco, che si preannuncia particolarmente stuzzicante, segue l'esecuzione del quinto episodio, In der Nacht (Nella notte), di Phantasiestücke Op. 12, dove l'immaginazione per l'autore diventa una dimensione sensoriale.

 



Lo stesso Schumann dichiarò che questo pezzo era stato ispirato alla favola greca di Ero e Leandro. Finisce con una dissonanza voluta, che "sporca" il basso per dare un senso di disagio; oggi questa soluzione potrebbe sembrare una cosa normale, ma nel 1837 non lo era assolutamente e dava adito a delle forti critiche e contrarietà da parte di quello che era il sistema accademico. Maurizio Baglini affronta questo brano con grande senso drammatico, le arcate di semicrome descrittive dei marosi sono irregolari, non "linde" ma inquietanti nel loro essere asimmetriche. Lampi di luce violacea appaiono al registro superiore, mentre all'inferiore assistiamo a un moto interiore spasmodico. Risalta tutto l'altissimo magistero tecnico-espressivo di questo straordinario pianista, che come pochi sa cogliere i profondi trasalimenti espressivi che agitarono l'animo del grande Robert Schumann. Il concerto termina con un "pezzo di bravura", l'Allegro scherzando dalla Sonata in sol minore per violoncello e pianoforte Op. 19 di S. Rachmaninov. "Un autore che scrive e compone allo stesso livello", dice Baglini, "questo è il movimento più significativo e più complesso della Sonata Op. 19, che è segno di un'autentica venerazione per quella che aveva scritto Chopin". Il duo Baglini-Chiesa non pretende che gli si creda sulla parola, ma passa immediatamente da questa ai fatti mostrando tutto il suo valore nell'incedere quasi demoniaco di questo movimento, suonato con una strepitosa energia e una forte capacità magnetica che tiene soggiogato l'ascoltatore. Si percepisce chiaramente come sia espressione di un pensiero complesso.

 



Una fortuna è stato assistere all'esibizione di una formazione cameristica tra le più note e rappresentative del panorama concertistico internazionale. Nemici giurati della piattezza, in grado di scolpire con potenza ogni nota dando plastico sbalzo ai piani sonori, sanno cogliere sempre con prontezza gl'improvvisi scarti d'umore nell'impressione generale di una fresca estemporaneità. Un teatro non del già detto ma del dire, in una sorta di beniana "scrittura di scena". Impressionante la determinazione e la sicurezza con cui Silvia Chiesa affronta questa difficile pagina. Nel piovoso pomeriggio dell'11 novembre è emerso un concertismo di alto livello, che non ammette approssimazioni di alcun tipo, quanto mai lontano dalla scolasticità e sempre teso alla comunicazione di emozioni autentiche, proprio perché profondamente sentite.


Alfredo Di Pietro

Novembre 2018


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