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venerdì 19 aprile 2024 ..:: Massimo Giuseppe Bianchi - The Art of Variation ::..   Login
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 Massimo Giuseppe Bianchi - The Art of Variation Riduci

 

 

 

 

Un CD non è fatto solo da una sequenza di tracce musicali fissate in un dischetto di policarbonato, ma anche d'immagini, parole, e a leggere le profonde note di copertina che lo stesso Massimo Giuseppe Bianchi ha stilato, verrebbe da deporre la penna e non scrivere più nulla, tanto sono pregnanti. Comunque, passato il momento d'imbarazzo, mi sono fortemente impegnato a non produrre una critica che suonasse come una superfetazione di queste. Una volta lette (con ammirazione) mi sono sforzato di dimenticarle, criptandole in un meandro della coscienza difficilmente rintracciabile da parte mia. Una prima chiave di lettura del pianismo di quest'artista, uno dei più interessanti dell'attuale panorama concertistico, si può allora evincere proprio dalla sua parola, così articolata, consapevole e intrisa di cultura, adorna di una forma che rifugge da qualsiasi banalizzazione. Al pari della sua cifra interpretativa, risulta nitida, precisa, sempre pertinente con l'intento artistico che dev'essere a monte di ogni progetto che si rispetti. Come ha avuto modo di raccontarmi Alice Aymerich di Laconi, ideatrice della copertina, questa è nata mentre lei era a Dobbiaco per la registrazione insieme al maestro Bianchi. Nell'immagine, su uno sfondo nero compaiono sei contenitori che risplendono di un'intensa luce, frutto di un lavoro di editing con Photoshop e parificazione delle dimensioni, diverse negli originali. Sono l'esito delle sue riflessioni sulla Passacaglia di Godovskij, sulla sensazione di mistero, di destabilizzazione e di meraviglia che ascoltare quel titanico trionfo musicale le ha generato.

Adiacente alla Sala Mahler, dove si registrava, ce n'era un'altra totalmente buia, stracolma di materassi, dove lei si rintanava per ascoltare, senza disturbare. Seduta in un cantuccio, immersa in un ambiente irreale e oscuro, l'unica luce era quella dei suoi pensieri che vagavano al suono della musica, come un'animazione computerizzata. Ecco spiegato il perché dello sfondo nero e i vasi illuminati da colori quasi "fluo", tentativo di esprimere graficamente la sua esperienza. Dichiara Alice: "Viviamo in un mondo pieno di stimoli e distrazioni, visive, sonore, fisiche, quindi risulta estraniante e destabilizzante trovarsi in un vuoto, una "black room" come amano definirla all'Istituto per ciechi. In questo vuoto materiale, nell'oscurità più completa, l'unica luce è la musica. I vasi fanno parte della collezione di mia madre, li avevo immortalati alcuni mesi prima con l'idea di usarli come esercizio di disegno, sono pertanto un'immagine a me familiare, ma risultano trasfigurati dalla luce e trasformati quasi in oggetti alieni. Variazione perciò è come un cambiare essenza, cambiare forma, con la sola forza del pensiero." Sono parole penetranti che centrano in pieno la ragion d'essere della variazione come genere, cioè la riproposizione di un tema musicale in cui questo subisce delle modifiche rispetto alla sua morfologia originaria. Mutamenti che possono riguardare la melodia, l'armonia, il contrappunto, il ritmo, il timbro, la dinamica e qualsiasi altro parametro. Ecco allora che "The Art of Variation" racchiude in se anche un merito didattico, lambendo nel suo excursus vari stili ed epoche.

Tutto nasce dal pianismo "casalingo" di Anton Diabelli con il suo Valzer in do maggiore, notissimo "in primis" perché adoperato da Beethoven per l'edificazione di quel monumento pianistico che sono le Variazioni Diabelli Op. 120, dove a un tema tutto sommato senza pretese seguono 33 straordinarie variazioni, tutte in netta antitesi valoriale rispetto allo spunto di partenza. In realtà, si trattava di un ampio progetto musicale messo in moto dallo stesso Diabelli, il "Vaterländischer Künstlerverein", al quale aderirono tanti musicisti del tempo, ben 50, ognuno con una sua variazione. Presenza costante in questo nuovo album è Franz Schubert, vero nume musicale cui s'ispira The Art of Variation, rappresentato direttamente (con quattro opere a sua firma) e indirettamente con variazioni di altri autori, a partenza da un suo tema. Cronologicamente parlando, in gioco qui ci sono l'età di passaggio tra il periodo classico e romantico, la variazione intesa come esternazione di una brillantezza dal carattere esornativo in C. Czerny, l'ingresso in inquietudini novecentesche con le difficili variazioni di L. Godowsky, le quali sembrano quasi fare da introduzione a un compositore contemporaneo come H. Lachenmann. L'ascoltatore ha perciò la possibilità di apprezzare quel caleidoscopio di situazioni che scaturiscono dalla variazione come genere votato all'imprevedibile, all'eventuale, oggetto di profondi cambiamenti nel corso della storia.

Lasciatoci alle spalle il barocco con la sua concezione prettamente virtuosistico/ornamentale della linea melodica, con Beethoven e Schubert si entra in un approccio differente, dove la variazione assume dignità di materia viva, atta a sviluppare più che imbellettare un dato tema. Nel contempo, l'evoluzione verso una forma più libera dona maggior autonomia a questo genere: il tema e variazioni diventa una delle soluzioni più gettonate nell'ambito delle sonate, delle sinfonie e delle composizioni cameristiche. Un "modus operandi" che sembra aprire direttamente la strada al novecento, in cui si prosegue nell'opera d'indagine sulle diramazioni, anche armoniche, possibili a partire dall'idea originaria. Questa sequenza temporale non è tuttavia seguita nella successione delle tracce, la quale pare obbedire maggiormente a una logica di contrasto espressivo e di sorpresa sull'ascoltatore; è un elemento che dev'essere colto nella sua importanza e che tiene al riparo quest'album dal sospetto di essere una mera crestomazia. Come già avvenuto nel precedente "Around Bach", anche qui troviamo un forte legante di fondo, una sotterranea coerenza nella scelta dei brani e una ponderata teatralità nella loro alternanza. La dimestichezza che Bianchi ha con l'arte dell'improvvisazione (non vanno trascurate a proposito le sue frequentazioni jazz) lo porta probabilmente a valorizzare più di altri interpreti quello che è uno dei cardini della variazione.

La creazione estemporanea diventa quindi una "forma mentis" che accompagna anche quelle composizioni dove l'esecutore è incalzato dalla partitura, consente di donare maggior libertà al fraseggio e crea la sensazione di un non detto e non scritto, ma un qualcosa che nasce nel momento stesso dell'esecuzione. "Ad adiuvandum" si possono citare gli estri improvvisativi virtuosistici allo strumento non di un giorno fa, ma del periodo barocco con la sua "Aria col da capo", o gli epici cimenti di Mozart o Beethoven, dove la capacità improvvisativa veniva spesso usata come arma letale nel corso di sfide pianistiche. Di grande risonanza sono state all'epoca le tenzoni tra Mozart e Clementi, Beethoven e Steibelt o, ancor prima, tra Händel e Scarlatti. Ma torniamo a bomba al nostro CD. Il primo brano, il Valzer in do maggiore di A. Diabelli, è quasi un'illusione ottica che porta ad aspettarsi la prima variazione "Poco allegro" delle Diabelli beethoveniane. Ciò non avviene e l'esempio rimane isolato, prodromo del brano che seguirà. Bianchi esegue questo primo pezzo con speditezza e soprattutto neutralità, senza allusive sottolineature ironiche come talvolta accade nelle esecuzioni dell'Op. 120 di Beethoven; la ritengo una finezza atta a provocare un piccolo "shock" iniziale, una specie di sbrigativo simbolo che apre la strada a quanto seguirà. Sin dalle prime note veniamo spiazzati dal potere trasfigurante delle incantevoli quanto semplici Variazioni su un valzer di A. Diabelli D. 718 di Schubert. Una vera perla che Massimo Giuseppe Bianchi impreziosisce con un'accorata partecipazione personale.

 



La sua elegante malinconia non prelude che a una larvata simbiosi con il tema originale, il quale appare al confronto quasi militaresco, squadrato e povero di nuance. La variazione emerge quindi anche come sopraelevazione da una materia che può essere agevolmente stravolta, piegata, mutata sin nella sua essenza, sino a diventare un qualcosa di completamente diverso. Una differenza quasi abissale separa le D. 718 dalla "Passacaglia, 44 Variazioni, Cadenza e Fuga sull'apertura della Sinfonia Incompiuta di Schubert di L. Godowsky. Nelle osservazioni preliminari l'autore dichiara che "La Passacaglia è basata sulle prime otto misure dell'Incompiuta. La composizione è stata scritta alla vigilia del centenario della morte di Franz Schubert; è il mio sincero tributo a questo genio prezioso e prolifico, che, nonostante la sua vita breve e senza avvenimenti, è riuscito così meravigliosamente a tradurre le nostre emozioni più intime in musica. Con l'eccezione di Chopin, non conosco nessun altro compositore il cui lirismo abbia toccato il cuore di così tanti; le cui melodie siano diventate così accuratamente proprietà preziosa di tutte le nazioni civili... Mi sentirò pienamente ricompensato se questo contributo alla commemorazione in arrivo si dimostrasse degno dell'occasione." Una scrittura complessa che apre verso profondità metafisiche e dà il destro al nostro pianista di dimostrare, ancora una volta, la sua complessità di pensiero e il sicuro avvicinamento a una partitura che non è certo facile nella sua intricata polifonia. Innumerevoli sono i mutamenti d'atmosfera che l'esecutore deve seguire ed efficacemente proporre.

Massima dev'essere la sua concentrazione nell'economia di un'opera dove il "fuori pista" non è certamente un remoto rischio. Un brano cui la registrazione in studio fornisce una rassicurante rete di protezione, assente però in una performance dal vivo, come quella che Bianchi ha prodotto lunedì 14 maggio 2018 all'Auditorium Gaber del Grattacielo Pirelli a Milano. Una futuristica Cadenza, che ci proietta nel '900 pieno, periodo con il quale Bianchi ha una grande dimestichezza, porta alla straordinaria Fuga finale. Una temperie spirituale di bachiana severità s'impossessa dell'ascoltatore, suscita suggestive attinenze con un altro grande brano come la Fantasia nach J.S. Bach BV 253 di Ferruccio Busoni. A mio parere, dal punto di vista squisitamente musicale siamo piuttosto lontani dagli straniti "Studies on Chopin's Études", irti di difficoltà tecniche e presi a pretesto da diversi esecutori per dimostrare le loro capacità virtuosistiche se è vero, com'è vero, che un critico come Harold C. Schonberg li ha definiti: "The most impossibly difficult things ever written for the piano." Un magma sonoro che sembra risorgere da un mare indefinito, scuro, quasi incontrollabile e in continua evoluzione espressiva. Ottimo esempio di variazione esornativa sono le 4 su un valzer preferito (Schubert) Op. 12 di Carl Czerny. Il tema originale viene preceduto da un'"Introduzione a capriccioso", inizialmente contrassegnata da rapidissime scale ascendenti che culminano in una serie di dodici note ribattute in trentaduesimi al registro superiore (mi), queste sortiscono uno scenografico effetto fibrillante.

Potremmo chiamarla, mutuando un termine della musica vocale, un'introduzione di "coloratura", prima del bellissimo e nobile tema schubertiano. Alla quinta misura della prima variazione troviamo un richiamo alle note ribattute in mi acuto, presenti nell'introduzione. In queste variazioni non è certamente il profondo intendimento quello che possiamo trovare, ma la brillantezza tecnica e una certa eleganza di stampo "Biedermeier", tipica del movimento artistico e ornamentale sorto nel passaggio dal Classicismo al Romanticismo maturo. Massimo Giuseppe Bianchi, impeccabile stilista, con gusto e leggerezza rende molto bene quel senso di rutilante virtuosismo contenuto in queste piacevolissime variazioni. Nell'Andantino Varié, dai Divertissement sur des motifs originaux français D. 823 (arrangiamento Carl Tausig), tante sono le suggestioni che si accumulano. Dall'andamento quasi tziganeggiante della prima, alle suggestioni brahmsiane nei massicci blocchi accordali della seconda, contenenti ottave spezzate in abbondanza, agli echi schumanniani dell'incantevole quarta variazione "Un poco più lento", vera perla di cantabilità in cui significative sono le indicazioni espressive in partitura di "teneramente", "dolce e sempre tranquillo", "intimamente", "piano e dolcissimo". L'andamento erratico delle sestine di semicrome raggiunge momenti di alta liricità e conferisce un tono improvvisativo all'episodio. Qui Bianchi compie un piccolo prodigio di equilibrio formale, non indugiando in mielosità ma tenendo sempre la schiena dritta nella direzione di un'espressività si tenerissima ma sempre controllata con lucidità, lui campione di misuratezza, laddove sarebbe facile esagerare con sottolineature di troppo e un accentuato rubato.

Alla fine si percepisce come il suo certosino lavoro su questo Andantino Varié sia stato mirato a dare una visione d'insieme che sia coerente, non turbativa dell'eloquenza che le note hanno per se stesse. Ogni aspetto della variazione trova soddisfazione nelle ampie 10 in fa maggiore D. 156: virtuosismo, meditazione, tenerezza e intelligenza musicale: una vera "summa" delle capacità di Schubert in merito al genere, da lui così intensamente praticato. Si gioca "facile", per così dire, con l'Improvviso in si bemolle maggiore Op. 142 D. 935 N. 3, brano notissimo e tra i più ispirati mai scritti da Schubert. Gli Improvvisi Op. 142 appartengono all'ultimo - miracoloso per profondità e prodigalità artistica - anno di vita del compositore viennese, seguiti a pochi mesi di distanza dalle ultime tre grandi sonate (D. 958-959-960); furono pubblicati, per volere dello stesso autore, anche come brani singoli. Questo terzo, in particolare, subì un giudizio pesantemente negativo da parte di Robert Schumann, esternato in una nota recensione del 1838. Si tratta in realtà di un pezzo semplice quanto delizioso, foriero di un "Biedermeier" del tutto interiore, non votato alla mera esibizione virtuosistico/ornamentale. Soprattutto testimone del genio schubertiano, in grado di esprimere una musica profondamente intrisa di umanità in forme brevi, tipiche di quel periodo. È d'altronde risaputo come lui nutrisse la concezione di un pianismo assolutamente antiesibizionistico, privilegiando le forme cameristiche.

Convinto di non allontanarmi dal vero, trovo per questo una singolare affinità d'inclinazione artistica tra lui e il nostro interprete e arrivo a dire che il "suo" Schubert, con tali colpi in canna, acquista accenti di particolare veridicità. Anche qui la lettura appare scevra da incrostazioni romanticheggianti, si presenta fresca e primigenia, dimostrando come questi "evergreen", messi nelle mani giuste, abbiano ancora tanto da dire, quell'inespresso e inesprimibile che scorre come acqua di sorgente, non ammorbato da personalismi. Il nostro interprete, qui come altrove, si muove con estrema discrezione, il suo è un pianismo terso, cristallino, tanto trasparente da lasciar tralucere la trama melodico/armonica con grande chiarezza. Un interprete a tratti talmente morigerato da quasi sparire, da cui si arguisce l'estremo rispetto che nutre per autore e partitura. Infine, nelle 5 Variazioni su un tema di Franz Schubert dell'ottantatreenne compositore tedesco Helmut Lachenmann ho apprezzato il largo orizzonte di vedute e i repentini cambi di scenario. Tra i più interessanti artisti contemporanei, allievo di Luigi Nono a Venezia e Karlheinz Stockhausen a Colonia, ha in seguito insegnato nella città natale di Stoccarda e ad Hannover. Le sue eterogenee esperienze sono partite dal puntillismo, sfociate poi in un intenso studio sulla concretezza della materia sonora dove ha utilizzato degli strumenti che amplificano le sfumature del suono, in tal modo ha rivelato regioni che senza di essi non sarebbero rientrate nella percezione umana. Nel 2008 ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera nell'ambito del 52° Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia.

Da ascoltatore non particolarmente appassionato dell'avanguardia musicale novecentesca, atonalità, dodecafonia, Seconda scuola di Vienna e quant'altro, mi sono avvicinato a questo brano con una certa diffidenza, pur essendo sensibile alla pura essenza timbrica del suono ed estimatore degli sperimentalismi elettronici di Stockhausen. È forse per questo che ho trovato subito stimolante questa musica di Lachenmann, ricca di una sua intrinseca musicalità, sostanzialmente priva di certi cerebralismi e astruserie tipici dell'avanguardia più estrema. Anche qui il "classico" Massimo Giuseppe Bianchi, forte delle sue frequentazioni novecentesche (non dimentichiamo la sua registrazione dell'integrale per pianoforte di Giorgio Federico Ghedini, le magnifiche esecuzioni cameristiche di Mario Castelnuovo-Tedesco, la "Complete Music for Violin and Piano" di Ottorino Respighi) padroneggia con sicurezza una materia musicale così distante da quella di Schubert, autore sul filo del rasoio tra classicismo e romanticismo. Così il tema, sin dalla prima Variazione "Rasch" (192 di metronomo alla semiminima) viene sottoposto a un processo di smembramento, disarticolato nelle sue cellule compositive che diventano lampi di luce bluastra. Più misteriosa si affaccia la seconda "Ruhig", in essa s'infiltra un procedere a tratti quasi spezzato, ordito su un sottile gioco di rubati che creano un clima di sospensione. Inquietante la terza "Sehr lebhaft", tecnicamente impegnativa con i suoi ampi salti di note in "f molto martellato"; pezzo aforismatico nella sua brevità ma di grande violenza espressiva.

Nella quarta "Schwungvoll" non meno dispotiche sono le sferzate di suono, ma il brano ha una raffinatezza tutta sua nel proporre un misto di forza bruta ed elegante viennesità, condito con un deciso effetto ironico. La dialettica è anche qui ricca di fratture, trasalimenti improvvisi favoriti dai continui cambi di tempo, oltre che dall'incedere fortemente percussivo (4/4 - 7/8 - 3/4 - 6/4 - 2/4 alternati). La variazione finale "Sehr ruhig und ausdrucksvoll" è talmente rarefatta, dilatata, in perfetto stile puntillistico, da suggerire una sorta di estinzione del suono, una calma immateriale che segue alla tempesta. Quest'ultimo brano è la dimostrazione lampante di come l'arte della variazione possa condurre al completo stravolgimento di un tema, alla sua martirizzazione, dilaniazione e poi ricostituzione. Un po' come già l'immenso Ludwig van Beethoven ci aveva insegnato con la sua Op. 120. Numerosi sono gli elementi di originalità nelle letture di Massimo Giuseppe Bianchi, a cominciare dalla gestione della dinamica, assai personale, dove il volume sonoro sviluppato sullo Steinway & Sons D 484310 sembra obbedire più che a leggi puramente meccaniche sollecitate dalle indicazioni in partitura, a esigenze espressive del tutto interiori. Per questo, se ad alcuni ascoltatori disattenti il pianista piemontese potrà sembrare a corto di munizioni per così dire pesanti, si ricrederà quando le sue orecchie verranno colpite da un "fff", magari isolato e forse per questa ragione ancor più efficace, emesso nel momento in cui la partitura davvero lo richiede.

La bellezza di suono della sua cavata è fuori discussione, le note rintoccano luminose, morbide, sempre sorrette da grande gusto, eleganza e una singolare misura che non lo porta mai a esagerare, facendo virare l'emissione verso lo sguaiato nella rincorsa di effetti devastanti in termini di decibel. È un risultato notevole, frutto della sua straordinaria cultura, anche letteraria, visto che Massimo è un vorace bibliofilo e appassionato di poesia. Non solo, è ennesima dimostrazione di come la tastiera sia specchio veritiero della personalità di un interprete, in tutte le sue sfaccettature, una cartina al tornasole che non ammette inganno sulle reali qualità e difetti. The Art of Variation è un disco di non comune spessore, viaggiante su elevatissimi standard tecnico/interpretativi, tra l'altro magnificamente registrato, dove Massimo Giuseppe Bianchi si rivela formidabile traghettatore verso stili diversi. Franz Schubert, è lui il vero protagonista e nume tutelare. Il pianista piemontese ne olografa con maestria i tratti più salienti in un lavoro che, forse impropriamente, potremmo definire un "Concept Album", come il precedente "Around Bach", due dischi nati sotto le grandi ali della Universal Decca che hanno proiettato la figura di Bianchi in un "entourage" di ampia risonanza internazionale. Tuttavia, il termine di "Concept Album", mutuato dal genere  rock progressivo, solo parzialmente può dare l'idea di un cimento complesso come questo in quanto, pur essendo presente un significato d'insieme che tiene unite le 38 tracce (la Variazione, appunto), manca quel senso di "eccezionale uniformità" spesso attribuibile ad album di questo tipo.

Come ho già avuto modo di dire, grande è il salto, per esempio, tra le Variazioni su un valzer di A. Diabelli D. 718 di Schubert e il successivo di Godowsky, come (forse ancor più) l'incolmabile divario stilistico ed epocale intercorrente tra l'Improvviso Op. 142 D. 935 N. 3 e le 5 Variazioni di Lachenmann. Questa volta la forma di fruizione in streaming (Spotify, per esempio) si prende un vantaggio rispetto al CD, purtroppo limitato dai suoi 700 MB per 74 minuti di durata, e offre anche le schubertiane 13 Variazioni su un Tema di Hüttenbrenner D. 576. Troppo ponderose per rientrare in un singolo CD e troppo brevi per giustificarne la presenza di due.

The Art of Variation: una gemma da riporre nel nostro personale portagioie e ascoltare quando ne abbiamo voglia...

 




Alfredo Di Pietro

Ottobre 2019


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