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venerdì 29 marzo 2024 ..:: Mertz - Fantasias For Solo Guitar ::..   Login
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 Mertz - Fantasias For Solo Guitar. Giuseppe Chiaramonte Riduci


 

 

Mertz, chi era costui? Definito "Il Franz Liszt della chitarra", Johann Kaspar Mertz fu un chitarrista e compositore slovacco nato a Presburgo nel 1806 e morto nel 1856 a Vienna, città dove fu molto attivo. La capitale austriaca accolse in quel tempo altri importanti personaggi dell'ambito chitarristico, come Anton Diabelli, Mauro Giuliani, Simon Franz Molitor e Wenceslaus Matiegka. Mertz acquistò grande fama per il suo virtuosismo esecutivo, che lo portò a suonare ed essere apprezzato in Moravia, Polonia, Russia e Germania. Era sposato con la pianista Josephine Plantin. Riuscì a sviluppare una particolare tecnica della mano destra, adottata per la prima volta nella scrittura dei Bardenklänge Op. 13, atta a trasferire sulla chitarra un tipo di virtuosismo che era proprio del pianoforte. Una mano destra che, tramite un'adeguata preparazione ascendente e discendente, diventava strumento meccanico con la funzione di passaggio tra le corde, dalle gravi alle acute e viceversa. Il tutto teso a far diventare tale strumento allo stesso tempo "flamboyant" e "larmoyant" (scintillante e lacrimoso), adeguato per delle sonorità che fossero pienamente romantiche. Questo tipo di tecnica era molto efficace nell'esecuzione degli arpeggi, che nelle composizioni di quest'autore sono molto usati, oltre ad essere particolarmente lunghi e complessi. La musica da lui composta, infatti, aveva la peculiarità di seguire i modelli pianistici dei più rinomati compositori romantici: Chopin, Mendelssohn, Schubert e Schumann, mentre altri eminenti chitarristi, Sor e Aguado su tutti, preferivano mettersi sulla scia dei classici.

Mertz ha scritto circa centocinquanta composizioni, regolarmente catalogate, più numerose altre inedite e postume. Tra queste, notevoli sono soprattutto i notturni e le fantasie. Lo stesso Franz Schubert rimase impressionato dall'abilità dimostrata da Mertz nel suonare il suo strumento. Ma perché vi parlo di questo particolare autore? Il motivo è semplice: esattamente a un biennio di distanza da "Soul of Strings", Giuseppe Chiaramonte torna ad avvolgerci nella fascinazione della sua arte con il nuovo CD monografico "Mertz - Fantasias For Solo Guitar", appunto dedicato a questo protagonista della chitarra romantica. Come si dice nelle belle note di copertina, le Fantasie di Mertz sono l'esempio più tangibile di come egli intendeva adattare il virtuosismo tecnico del piano alla chitarra. Le otto le tracce contenute nel CD fanno capo a brani tutti estremamente impegnativi dal punto di vista esecutivo: "rapidi cambi di accordo in tutte le posizioni, ottave che avanzano fino ai tasti alti, successioni di elaborati schemi di arpeggio, spesso richiedenti un movimento del pollice destro molto rapido, trilli su una e su due corde, vari tipi di passaggi in tremolo, abbellimenti complessi con densi raggruppamenti di note, passaggi a una corda con glissando." La chitarra, per come è concepita, non è in grado di emettere un suono a lungo, a causa del suo rapido decadimento, a differenza del violino, dell'organo e altri strumenti. J.K. Mertz tuttavia, con la sua raffinata tecnica escogitò un modo per consentirle un'emissione sonora più prolungata nel tempo, tramite figure di accompagnamento rapido come gli arpeggi, che abbondano in questi brani, il tremolo o le note veloci in ribattuto (terzine e quartine).

Tutto ciò dona allo strumento a corde una sorprendente propensione al cantabile, una capacità che non ci aspetteremmo da lei, votata com'è al leggero e brillante. Ma è soprattutto nei brani de La rimembranza, Pensée Fugitive e Harmonie du Soir che si percepisce il risultato degli sforzi compiuti da Mertz per emulare, o meglio adattare, la chitarra al virtuosismo tecnico del pianoforte. In particolare, sempre nelle curate note di copertina leggiamo che in "Harmonie du Soir" vengono coinvolti i tasti superiori di una chitarra tipo Scherzer, che ha ventidue tasti e tre corde di basso aggiunte. Per questo pezzo, la sesta corda è stata abbassata al re e le note del 19° tasto suonate un'ottava più in basso. Non meno abile era Mertz nell'esternare una poetica che si risolveva in un gioco di sentimenti contrapposti, sempre di umanissima teatralità, dei forti contrasti espressivi di stampo romantico oscillanti dalla mesta pensosità allo scintillante sfoggio. L'autore slovacco trova oggi terreno fertile in uno tra i maggiori chitarristi a livello internazionale, Giuseppe Chiaramonte, uno di quei musicisti nati con dentro qualcosa in più rispetto ad altri, in cui tecnica e arte trovano un punto ideale di congiunzione, due elementi non scorporabili ma indissolubilmente uniti verso il medesimo obiettivo. E di tecnica chitarristica ce n'è davvero tanta in questa registrazione, tanto da poter scrivere un trattato a riguardo, applicata ora a commuovere, ora a divertire chi ascolta. L'artista catanzarese non fatica in quest'album a far convivere opposti stati d'animo che, solo apparentemente sono inconciliabili tra loro; lo fa con le armi ben affilate di una superiore sensibilità e un infallibile istinto musicale.

Nelle Trois Morceaux Op. 65 assistiamo a un sapido avvicendamento di variegati frangenti espressivi. Se è vero che questo CD non è dichiaratamente prospiciente al genere operistico, è altrettanto vero che è intrinsecamente ricco di quella cantabilità, dolente, tenera o trionfante, tipicamente riscontrabile nelle composizioni vocali. Prova ne è che la Fantaisie Hongroise, una sorta di rapsodia dove compaiono diversi temi ungheresi, inizia con un "Quasi recitativo stentando" da eseguire in modo maestoso, un incipit che dà il destro a Giuseppe Chiaramonte per stabilire quell'incantesimo fatto di suono melodioso e una magistrale gestione dell'agogica, certosinamente calibrata non solo sul singolo passaggio, ma anche sulla singola nota. Un "poco più mosso" agevola uno stato d'animo non distante, qui si fa avanti un tema di sotterranea mestizia suonato nel registro basso. Fugace, perché subito soppiantato da un "Brillante. Con fuoco" dal carattere agli antipodi, sostenuto dal successivo "Adagio maestoso con entusiasmo". Sono episodi che si susseguono con celerità, a olografare una grande varietà di accenti. Negli allegri emerge quella raffinata tecnica che ha reso il nome di Mertz così importante in ambito chitarristico. Ci si accorge presto che il "Lugubre" indicato in partitura non va inteso come stato d'animo legato all'oppressione e all'angoscia, ma piuttosto generatore di un'ariosa tristezza, con un episodio più mosso "A tempo", dove si avverte una maggior urgenza drammatica. L'Allegro vivace spazza via le nubi, sottoponendoci un episodio effervescente, con un tema energicamente propulso dal ritmo sincopato in 2/4 e sfociante in un acceso finale.

Assiduamente praticata è la tecnica dell'arpeggiato nei momenti lenti, come nei veloci lo è quella dei gruppi di note ribattute (due a due) in rapide terzine o quartine. Questa prima Morceau è un ottimo biglietto di presentazione dello stile compositivo di J.K. Mertz. La seconda, sempre in forma di fantasia, è l'"Originale". L'incipit è un'assertiva "Jntroduction - Maestoso"; i gruppi di otto note in biscroma, da suonare in "pp", hanno un effetto tensivo che confluisce nel "Lento doloroso" in ritmo puntato, culminante in perentorie quartine da articolare in staccato. Giuseppe Chiaramonte, musicista dalla straordinaria finezza, va centellinato con attenzione; per la comprensione della sua arte non giovano ascolti sbrigativi. In queste quartine il "climax" viene raggiunto dopo un'attenta preparazione: un crescendo calibrato alla perfezione, sia come intensità di suono che come agogica di fraseggio. Chiaramonte ha dalla sua un'invidiabile gamma dinamica con la quale riuscire a modulare un'ampia varietà di tinte. Il delizioso "Andantino. Dolce cantando" è una compiuta aria d'opera. È interessante notare come il nostro interprete non esegua il ritornello nello stesso modo del primo passaggio, ma lo varii sottilmente, arricchendolo di estro e fantasia. L'episodio "A tempo" testimonia dell'arte calligrafica dell'autore e della facilità con cui Chiaramonte entra in sintonia con essa. Ritroviamo le terzine di semicrome con le note superiori ribattute che accompagnano in modo languoroso la melodia principale. La terza e ultima Morceau è "Le Gondolier", come ogni barcarola che si rispetti costituita da un movimento moderato (Moderato. Quasi Andantino) che richiama quel ritmo uniforme e ondulante di un'imbarcazione.

Dopo una breve introduzione, affiora una melodia triste in 6/8: "Con moto. Dolce", dove il "sustain" è fornito da un tappeto di quartine di biscrome. L'Allegretto. Lusingando" chiude in modo mestamente meditativo la composizione, facendo leva su un cantabile di squisita fattura, assimilabile anch'esso a un'aria d'opera. Sempre ternario il ritmo, qui un 3/8. Con il Pianto dell'Amante s'introduce un quartetto di brani dove si può ancora cogliere, condensato in strutture più semplici, quell'autentico spirito romantico che pervadeva l'autore, dotato di un afflato tutto interiore. Quattro piccoli scrigni dove rifanno capolino quelle costanti tecniche tipicamente mertziane prima descritte. Lo slovacco fu tessitore di trame in cui la narrazione degli stati d'animo trovava un amalgama ideale, un bilanciamento pressoché perfetto con l'istrione che era in lui, come parte di una personalità complessa. Nel "Pianto", composizione tendente al melanconico dove sarebbe facile incorrere in qualche svenevolezza di troppo, uno strumentista della tempra di Giuseppe Chiaramonte, con il suo dominio sullo strumento in termini di spessore del suono, potenza e controllo (anche durante passaggi tecnicamente critici) evita questo rischio. È un pianto che non degrada mai in piagnisteo, in quanto sempre sostenuto da un lirismo limpido e nobile. È anche in questo che risiede la grande classe dell'artista calabrese. Così, il carattere intimo del "Maestoso" iniziale è salvaguardato da una dinamica molto circospetta, le due crome in "ff" che precedono le trascinate terzine non vengono in realtà eseguite in fortissimo, tutt'altro, appena accennate le forcelle, in perfetta sintonia con il carattere accorato del brano.

Non mancano anche qui le difficoltà tecniche, disseminate un po' dovunque in quest'album; alla settima misura ("fff" Appassionato), ci sono dei veloci salti d'ottava, cui seguono delle quartine di biscrome di note ribattute come sostegno al canto. Un interlocutorio "Presto" conduce all'Allegretto in 2/4 ("il canto ben pronunsiato", si legge in partitura), segue una variazione del tema dove si manifestano dei tremoli su coppie di note dall'effetto molto suggestivo, sono loro questa volta ad accompagnare la linea melodica. Una serie di veloci e impegnativi accordi di biscrome conclude in maniera drammatica il Pianto dell'Amante. Appare come contornata da una leggera nebbia che viepiù si schiarisce La rimembranza (Largo), brano di rara suggestione e prodigo d'indicazioni espressive. Inizia sommessamente, come un lontano mormorio, per avvicinarsi sempre più a noi e poi manifestarsi in tutta la sua tenerezza. A un certo punto appare un "Misterioso" in partitura, che Chiaramonte declama con un sentimento che potremmo definire in perfetta antitesi con quello della baldanza. È un Misterioso che giunge alle orecchie, percolando nell'anima, dopo un'oculatissima graduazione dinamica dal pianissimo al forte. Esordisce imperiosamente il "Pensée Fugitive", in un prorompente "Allegro molto" affrontato con sincero impeto dal nostro, come da indicazione in partitura. Si tratta di un inizio molto diverso da quelli che sin'ora abbiamo incontrato, tutti improntati a un incedere maestoso, cogitabondo e quasi trascinato. La parte seguente non si discosta da un sentimento d'intima agitazione, proseguendo su quella linea con l'episodio "Grandioso".

La recitazione è serrata, non lascia respiro dando fondo alle abilità virtuosistiche di Chiaramonte, il quale ci cattura con sprazzi di grande velocità nel "Brillante". Al termine del diminuendo e ritardando compare un bellissimo "Adagio (espressivo il canto)", ulteriore addentellato alla tanto amata aria operistica di un Mertz costantemente diviso tra brillante virtuosismo e ampie distese di canto. Anche l'accompagnamento si fa più rilassato, in accordo espressivo con l'armoniosa linea melodica, qui presente in forma di crome dall'andamento ascendente e discendente. Si distingue lo stupendo legato dell'interprete, liquoroso e massimamente fluido, e una gestione dell'agogica giocata tra piccoli soprassalti e leggeri sospiri, immersi in un clima di totale serenità. Dopo un graziosissimo "Allegro giusto", il brano termina con un "Adagio" dall'andamento ritmico non scorrevole, ma interrotto da frequenti episodi "ad elastico", oscillanti tra decelerazioni e accelerazioni in completa libertà agogica. Molto variegato e ricco di frangenti espressivi è "Harmonie du Soir", nel giro dei suoi dieci minuti abbondanti (comunque non pochi) di durata. Parte con un inquietante tremolo, che riempie gli spazi lasciati liberi dalle note lunghe; arriva a una "Cadenza. A capriccioso" e quindi all'episodio "In tempo brillante", dove a breve distanza ricompare il misterioso tremolo con il quale il pezzo era incominciato. L'"Adagio molto" è una bella aria cantata da un soprano di coloratura, "In tempo primo. Adagio", s'indica che la melodia dev'essere ben tenuta. Molto brillante il finale, contrassegnato da veloci gruppi di note ribattute in quartine, alternati ad altri con note diverse e organizzate in vari salti.

Un autentico fuoco d'artificio che fa finire in modo elettrizzante Harmonie du Soir. Anche in quest'occasione Giuseppe Chiaramonte si sottrae alle lusinghe di una condotta che strizza l'occhio alla gigioneria, prerogativa che gli è fondamentalmente estranea, per assestarsi su una recitazione si fervida, ma sempre autentica e rigorosa nel suo insieme. Nel periodo romantico furono scritte Fantasie d'opera a bizzeffe. Il motivo della copiosa produzione è abbastanza intuitivo e collima con l'esigenza di portare questo genere musicale nei salotti domestici. Erano quindi favoriti strumenti come il pianoforte e la chitarra, quest'ultima tra l'altro facilmente trasportabile e per questo divenuta nella prima metà dell'Ottocento lo strumento più gettonato nei salotti della borghesia. Nacquero così un gran numero di Fantasie o Temi con variazione basati su famosi motivi operistici, proprio come la Fantaisie über Motive aus der Oper: Don Juan (Mozart) Op. 28. Forse in questo genere la produzione di Mertz non fu altrettanto copiosa come quella di altri insigni chitarristi/compositori, come il biscegliese Mauro Giuliani, grande estimatore rossiniano, o Fernando Sor, ma non fu comunque trascurabile poiché poteva contare su diversi titoli, dedicati anche a opere di Verdi, Bellini, Donizetti e Rossini. Nell'Op. 28 possiamo riconoscere le celeberrime "La ci darem la mano", "Deh, vieni, alla finestra", "Finch'han dal vino". L'intero CD è stato registrato utilizzando una sei corde, "La antiqua", realizzata nel 2016 dal liutaio Mario Grimaldi, uno strumento ispirato alla chitarra Torres, costruito con un legno molto vecchio e perciò dotato di un suono tradizionale, da "vecchio mondo", capace di conferire alla musica di Mertz una più ampia varietà di colori rispetto alla chitarra romantica viennese del suo tempo.

È un suono inconfondibile quello che Giuseppe Chiaramonte riesce a cavare da questo pregiato strumento, corposo, tendente all'ambrato e straordinariamente melodioso, frutto non solo di una sua naturale attitudine ma anche dovuto ai quindici anni di sperimentazione e affinamento che ha portato innanzi con Angelo Capistrano su un peculiare tipo di tecnica. Anche se il "core" di questo lavoro non è propriamente incentrato sulle fantasie operistiche di Mertz (e sono diverse), se escludiamo l'Op. 28, tutti i brani recano testimonianza della sua grande propensione al cantabile. Icastico è il trattamento della dinamica, in ogni occasione asservita alla manifestazione di un'intensa espressività. Dopo aver ascoltato e riascoltato le otto tracce che compongono "Mertz - Fantasias For Solo Guitar", è possibile ipotizzare un'affinità elettiva tra interprete e autore, estendendo anche a Giuseppe Chiaramonte l'apprezzamento che Nikolay Petrovich Makarov, noto chitarrista russo, esternò nei confronti del Mertz interprete, a suo parere dotato di potenza, energia, sensibilità, chiarezza ed espressione. Le opere di Mertz che questo disco contiene meriterebbero secondo me una risonanza maggiore di quella che effettivamente hanno, scarsamente diffuse forse a causa della loro difficoltà d'esecuzione e tutt'al più sfruttate in qualità di brani d'effetto, ritenuti idonei per mostrare la propria bravura. Tuttavia, questo CD dimostra in maniera eloquente che, se sottoposte allo straordinario scavo espressivo di uno strumentista come Chiaramonte, definito non per caso "Il poeta della chitarra", possono brillare d'intensa luce propria. Vi confesso che confidavo, ancor prima di conoscere questa sua ultima fatica discografica, nelle qualità che gli sono proprie, prefigurandomi quel piccolo microcosmo che si è poi effettivamente materializzato sotto le sue abili dita, comandate da un grande cuore.

 




Alfredo Di Pietro

Maggio 2020


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