Cerca English (United States)  Italiano (Italia) Deutsch (Deutschland)  Español (España) Čeština (Česká Republika)
giovedì 18 aprile 2024 ..:: Intervista al maestro Ezio Bosso ::..   Login
Navigazione Sito

 Intervista al maestro Ezio Bosso Riduci


 

 

Alfredo Di Pietro: Maestro, la invito a un breve richiamo alla memoria: come, quando e dove nasce in lei la passione per la musica?

Ezio Bosso: È abbastanza noto. Nella maggior parte delle volte la passione è qualcosa che uno coltiva al di fuori della propria vita. In realtà, credo che la musica faccia parte della mia vita fin dal grembo materno. È stato il mio primo sorriso, per cui non posso averne memoria se non come l'elemento più importante di tutta la mia esistenza.

ADP: Su YouTube ho ascoltato la sua interpretazione della trascrizione che Alexander Siloti fece del Preludio in si minore BWV 855a dal Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach. Genio significa anche trasformare il brano di un sommo compositore del passato in un qualcosa di inconfondibilmente personale e modernissimo?
 
EB: La mia interpretazione è fatta eseguendo i pedali e le altre cose scritte da Siloti. Io sono al servizio della musica, non trasformo niente, amo la partitura e la seguo sino in fondo. Non è che un esecutore cambia le note e non deve neanche dare quest'impressione alle persone. La mia visione d'interprete è invece quella di eliminare ogni ego, eliminare se stessi per essere solo al servizio di chi ha scritto quella cosa.

ADP: Tante volte si pensa alla musica come a un qualcosa d'immateriale, di etereo, forse individuando solo una delle sue caratteristiche. Lei sente un contatto che in qualche modo sia corporeo con la musica?

EB: La musica è corpo. Beethoven diceva che bisogna suonare il pianoforte come un'arpa perché senza utilizzare tutte le energie del corpo non possiamo emettere il suono. Questa forza non è solo fatta di muscoli, ma anche di respiro e tante altre cose. Certo, la musica è totalizzante.

ADP: Il 20 gennaio 2019 lei ha diretto a Bologna "Grazie Claudio!", un concerto celebrativo per i cinque anni dalla scomparsa di Claudio Abbado. Per l'importante occasione cinquanta musicisti dalle migliori orchestre di tutto il mondo risposero alla sua chiamata. Cosa gli piace ricordare di quell'evento e del grande Claudio Abbado?

EB: Guardi, di quell'evento mi piace ricordare che esiste un oggetto, un album discografico che racchiude dei giorni di rincontro con amici trentennali. Si tratta di molte persone che non vedevo da tempo, grandissimi musicisti, anche giovani, riuniti per ricordare e non nel senso di un piccolo richiamo alla memoria. Ricordare è nel cuore, la memoria è invece un qualcosa che si applica ogni giorno. I buoni insegnamenti si attuano ogni giorno con il lavoro quotidiano. Questa è l'unica cosa che voglio rammentare di Claudio: che continua a lavorare affinché le nostre idee, quello che ci ha uniti, seguiti a essere vivo. Si persevera a lottare perché, sfortunatamente, come vede, l'ignoranza musicale e l'incapacità di lasciarsi andare alla musica è ancora troppo alta. Nella musica classica, sia chiaro, perché le musichette ne hanno sin troppa di visibilità.

ADP: Lei ha compiuto un piccolo miracolo, quello di avvicinare alla musica cosiddetta classica un grande numero di persone. In Italia, solo nell'ultimo anno oltre 100.000 spettatori hanno assistito ai suoi concerti. Come si spiega di aver raggiunto un risultato così eccezionale, negato ad altri pur prestigiosi direttori d'orchestra?

EB: Il termine "prestigioso" mi mette un po' di tristezza, come se io fossi uno sfigato. Non ci sono direttori più prestigiosi o meno prestigiosi insomma. Sono convinto che il miracolo avvenga dentro ogni persona che ascolta, io penso solo a far musica nel modo in cui credo, cioè con estremo rigore, con studio incessabile e tenendo la porta aperta. Se tu apri l'ingresso di un giardino meraviglioso ti viene voglia di entrarci. Se lo tieni chiuso o lo lasci per te, a nessuno viene questo desiderio. La domanda la rivolgerei al contrario: come mai nei concerti degli altri le persone non riempiono le sale? Forse perché c'è un modo antipatico di porgere? Non saprei. Il vero miracolo si compie insieme, non lo realizza un uomo da solo. L'abbiamo fatto io e i miei musicisti con gli spettatori che sono venuti, le quali dimostrano che di musica classica ce n'è necessità, desiderio. Non è vero che c'è solo bisogno di stupidaggini, ma di presenza, impegno. Questa è la realtà, questo il vero miracolo.

ADP: Maestro Bosso, lei è anche Testimone e Ambasciatore internazionale dell'Associazione Mozart14, eredità ufficiale dei principi sociali e educativi del Maestro Claudio Abbado, diretta dalla figlia Alessandra. Sente molto la responsabilità di un compito così importante?

EB: Io vivo sul principio di responsabilità, quindi ogni mio gesto, da un sorriso al pianto, penso che siano atti responsabili. Quello della Mozart14 è un lavoro bellissimo che mi riempie di onore, ma è in fondo come tanti altri. Lo prendo con serietà, ma non perché ci sia un nome in più, al limite in quel caso c'è un affetto in più, che in qualche modo mi rende ancora più grato di essere entrato in una famiglia di cui faccio parte. È un impegno che continuo a esercitare con la pratica.

ADP: Qual è il suo rapporto con l'energia e l'entusiasmo dei giovani musicisti?

EB: Non glielo so precisare perché mi entusiasmo anche con i miei musicisti più anziani. Anzi, le devo dire che, purtroppo, la situazione è talmente grigia che i giovani ne hanno veramente poco di entusiasmo. E con questo non s'intende fare la tarantella, ma significa studiare duro, partecipare, usare tutto il corpo per suonare. A non essere deluso ma guardare avanti. Malauguratamente, spesso i ragazzi nelle formazioni che ci sono adesso fanno più fatica a essere entusiasti e in fondo noi un po' più grandi dobbiamo esserlo di più per trasmettere questo sentimento, lavorando per loro e con loro.

ADP: Trovo che lei, come direttore d'orchestra, abbia una grande capacità di empatizzare con gli orchestrali, ponendosi quasi da "Primus Inter Pares". Può dirci, in realtà, con quale spirito si pone sul podio quando dirige?

EB: Esattamente con quello. Io penso che non solo io, ma ogni direttore dovrebbe essere così e quelli che non hanno questa capacità vuol dire che non sono bravi. Un direttore è lì per illuminare, per aiutare, per prendersi la responsabilità e anche gli onori. Ma quegli onori sono ricchi di oneri e perciò deve lavorare duramente, essere a disposizione dell'altro. È fondamentale il fatto che il direttore debba illuminare e sostenere chi è in difficoltà. È un ruolo di padre. Quindi, come si fa a non empatizzare? Se non si conosce la morfologia di uno strumento, l'organologia, non si può capire quando quello strumento è stanco e non può dare di più. Ecco perché il direttore deve avere tutte le capacità e le conoscenze per evitare che quello strumento si faccia del male. Pensi com'è delicato questo compito, si crede che dirigere sia solo muovere la bacchetta, ma non è così. Non basta agitarla e sapere un po' la partitura, bisogna conoscere a fondo ogni strumento, prendersene carico e trasmettere la propria energia all'altro.

ADP: Come reputa la situazione della cultura musicale nel nostro Paese? Cosa si può fare per avvicinare maggiormente le persone a questo scrigno ricolmo di gemme che è la grande musica, forse un po' trascurato dalle istituzioni?

EB: È una risposta strana perché mi sembra di dirlo con i fatti. Non c'è bisogno di un parere filosofico, anche perché della musica puoi parlare sinché vuoi ma poi devi suonare e lì dimostri se sai o non sai. È necessario insomma farlo con i fatti. Un vecchio direttore di RAI3, Coletta, ha sposato quest'idea folle di portare le sinfonie in prima serata sulla RAI. Mi comincia a venire il dubbio che, in realtà, alcune istituzioni non abbiano piacere di avvicinare le persone alla musica. Ci sono sempre stati due modi di approccio: uno più elitario e uno più comunitario. Io ho sposato il secondo, essendo convinto che la musica sia patrimonio di tutti e non proprietà di pochi.

ADP: Da direttore e divulgatore lei ha dimostrato come una musica ritenuta "vecchia", da "museo" come una sinfonia di Beethoven sia invece dotata di una modernità sorprendente. Qual è la giusta chiave per comprendere questa sconvolgente attualità?

EB: Sa, è buffo che ci sia gente che lo creda. Non riesco a capire chi pensa il contrario. L'arte di per se è sempre contemporanea e si rivolge continuamente al futuro finché esiste. Una sinfonia di Beethoven è molto più moderna di mille canzonette, perciò continua ad andare avanti. Non esiste, noi siamo il ponte tra il passato e il futuro. La grande arte è quella che resta eterna. Davvero mi stupisco che ci sia chi pensi che la musica debba essere fatta secondo stilemi da museo. Trovo quest'idea un po' stupida e anche antimusicale.

ADP: Mi consenta un'ultima domanda maestro. Nei momenti liberi da impegni professionali cosa le piace fare?

EB: Leggo, studio continuamente. La mia professione si concretizza quando faccio le prove, poi passo tanto tempo a studiare, approfondire. Nel tempo libero sto con gli amici, cucino. Impiego dieci ore al giorno per studiare, è l'unica cosa che ti fa diventare un bravo direttore. Lo faccio non solo la partitura, ma m'impegno nella ricerca delle varie edizioni, leggo libri, scritti. È un'indagine continua, non basta mai. È questo che ti tiene vivo.

 




Alfredo Di Pietro

Febbraio 2020


 Stampa   
Copyright (c) 2000-2006   Condizioni d'Uso  Dichiarazione per la Privacy
DotNetNuke® is copyright 2002-2024 by DotNetNuke Corporation