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 07/10/2018 Musica a Villa Durio - Guitarra Clásica - Eugenio Della Chiara Riduci


 

 

Ce la mette tutta il Festival "Musica a Villa Durio" per far sentire a suo agio il pubblico. A partire dalla sede, immersa in una natura incontaminata che ispira grande pace interiore, per finire alle Guide all'Ascolto, tenute nella cornice del Museo Scaglia. Un accompagnamento che probabilmente il direttore artistico Massimo Giuseppe Bianchi ritiene doveroso, affidato ad autorevoli relatori che hanno soprattutto la capacità di creare un'aspettativa nei partecipanti. Il senso di un qualcosa d'importante che di lì a breve avverrà s'insinua in loro, al di là del mero dato informativo provoca una sottile tensione che solo con l'atto musicale si scioglierà. Protagonista del secondo appuntamento di questa 36^ edizione del Festival varallese è Eugenio Della Chiara, un giovane che dall'età di otto anni ha fatto entrare la chitarra nella sua vita senza mai più abbandonarla. Ha solo ventotto anni ma dimostra una tale simbiosi con il suo strumento da farlo sembrare parte del suo corpo. In lui si verifica il caso, invero non frequentissimo, di un artista completamente compenetrato nel suo strumento, che perciò suona con superiore naturalezza. In questo recital mescola sapientemente delle trascrizioni per chitarra, in un rapporto di quasi parità con altre originalmente composte per essa. Nell'impaginato di sala troviamo, infatti, come primi quattro brani la trascrizione di A. Segovia del Minuetto (Allegretto) dalla sinfonia N. 96 di F.J. Haydn, quella di M. Llobet e F. Tárrega di due pezzi mozartiani: l'Andante cantabile dalla Sonata K 330 e il Minuetto (Allegretto) dal Quintetto K 593 e ancora F. Tárrega con la trascrizione dell'Adagio sostenuto dalla Sonata "Quasi una fantasia" Op. 27 N. 2 di L.v. Beethoven.

 

Massimo Giuseppe Bianchi

Chi conosce il CD "Guitarra Clásica" e ha già preso contatto con queste composizioni, crederà di ascoltare un qualcosa di già noto, ma è un'idea fallace, data la quasi inconciliabilità che esiste tra l'atto della registrazione in studio e un concerto tenuto davanti al pubblico. Il microfono, come testimone "tecnologico" di un'interpretazione, non può né mai potrà sostituirsi all'esecuzione senza rete di un live, con tutte le sue imperfezioni (che, in verità, nell'esibizione di Eugenio sono state pressoché assenti) ma anche con l'insostituibile apporto umano che scaturisce dalla predisposizione d'animo del momento. Le note e l'esecutore sono gli stessi, tuttavia nel CD viene del tutto a mancare il contributo visivo, il fatto di condividere lo stesso spazio con un musicista che possiamo vedere, oltre che sentire, nella certezza che c'influenzerà, come a sua volta verrà lui stesso condizionato dalla presenza del pubblico. Eugenio Della Chiara inizia il concerto quasi trasognato, sembra come staccato da ciò che lo circonda, pronto a spiccare il volo per immergersi in quell'immenso mondo collaterale al fisico che è la musica. Le corde della sua Masaki Sakurai stillano una dolcissima malinconia nell'Allegretto dalla Sinfonia N. 96. Le sfiora con grande delicatezza più che pizzicarle. Mentre lo ascolto rapito, rifletto sulle dimensioni non indifferenti del Salone XXV aprile, osservo il suo ampio palco, abbastanza grande da poter ospitare un'orchestra sinfonica anche di medie dimensioni. Viene da chiedersi a questo punto se uno strumento così "intimo" come la chitarra, non certo generatore d'importanti pressioni sonore, possa essere in grado di accendere l'entusiasmo degli astanti.

 

Eugenio Della Chiara



La risposta viene proprio da loro, che applaudono calorosamente dopo ogni brano e, alla fine, costringono il nostro artista a diverse uscite sul palco e l'esecuzione di ben due bis. Ma quello che non possono i decibel, è in grado di esprimerlo la meravigliosa musicalità che fluisce dalla mente e le mani dell'artista pesarese, nel ricamo polifonico che tanto efficacemente evoca le trame sonore di una formazione cameristica o di un'orchestra sinfonica, nell'accorto "voicing" che rende avvincente un brano come l'Adagio sostenuto dalla Sonata Op. 27 N. 2 di Beethoven, creato su misura per le profonde risonanze bronzee di un pianoforte. Pochi avrebbero scommesso su questa perigliosa operazione, in considerazione del diverso potenziale sonoro dei due strumenti, eppure Eugenio ha convinto tutti, rivisitando genialmente un pezzo che, per'altro, è nella testa di moltissime persone, quindi riconoscibilissimo. Così, quello che "Si deve suonare delicatissimamente e senza sordino", ha trovato una ragion d'essere anche sulle corde di una chitarra, nello smarcarsi da quel "complesso d'inferiorità" che potrebbe scaturire dal confronto tra i due strumenti. Si scopre allora che questo Adagio, nella trascrizione di Tárrega, è e rimane eminentemente chitarristico nella sua dolcezza, in un pizzicato di terzine che si snoda in maniera incorporeamente celestiale, nell'attitudine a plasmare un "climax" d'intima lunarità. Uno strumento sorprendente per la versatilità dimostrata e che, in buona sostanza, passa senza colpo ferire dalle trascrizioni alle tre composizioni scritte espressamente per lui: la Grande Sonata in La maggiore MS 3 di N. Paganini, il Cammeo di F.J. Haydn (dedicato a Eugenio Della Chiara) e l'Introduzione e variazioni su un tema di Mozart Op. 9 di F. Sor.

 



Se l'inizio è stato quasi sussurrato, nella Grande Sonata è la tempra virtuosistica del nostro che viene fuori alla grande. Concepita in realtà nella sua versione originale per chitarra con accompagnamento di violino, è un'opera articolata nei tre movimenti di Allegro Risoluto, Romance e Andantino variato. Un elegante "mix" di brillantezza, felicità inventiva e una scrittura che indulge in molti momenti a un raffinato virtuosismo, nell'alternanza continua con frangenti di distesa liricità. Un essere multiforme che Della Chiara amministra da par suo, cioè con esemplare chiarezza, intatta intelligibilità anche nei momenti più critici, senso del ritmo e una musicalità sopraffina. È questa la virtù che, al di là delle lodi sperticate meritate da questo giovane artista, di lui più si apprezza perché catalizzatrice delle più varie ed eventuali situazioni espressive. Nella "Romance" viene toccato uno dei punti culminanti della serata. Toccante nella sua meditativa sensualità, viene ripresa nel primo bis, dopo aver esaurito la scaletta dell'impaginato. Ma è proprio in questo fuori programma, dedicato dal chitarrista all'anniversario di fidanzamento con la donna che poi è diventata sua moglie, che si evince l'importanza dello stato d'animo dell'interprete nel plasmare la lettura del momento. Ci ha messo tutto il suo cuore Eugenio, facendo diventare questa Romanza un'altra cosa da quanto ascoltato prima, immaginifica, rievocatrice di felicità, quasi esclusiva nel suo voler essere "speciale".

 



Il brillante Andantino variato gli dà il destro per mostrare il suo lato più virtuosistico; così si rivela recitalista di razza, in grado di sostenere la scena da solo con il suo strumento, senza cali di concentrazione e donando al pubblico un'arte certosina, accurata, attenta a ogni minimo particolare, notevole in quella precisa sgranatura dell'articolazione che tutto consente di sentire, senza nebulosità di sorta o approssimazioni. Il concerto si conclude con l'Introduzione e variazioni su un tema di Mozart Op.9 di Fernando Sor. Si tratta di una composizione che rientra in quella tendenza, manifestatasi ai primi dell'Ottocento e riguardante in special modo l'ambito chitarristico, di costruire delle variazioni su temi operistici. In realtà un pretesto per esibire le doti virtuosistiche dello strumentista in pezzi cosiddetti "di bravura". Come ha detto Eugenio Della Chiara, che ha fatto precedere da una glossa ogni brano suonato, nel compositore spagnolo siamo tuttavia in presenza di una particolare attenzione, più che per un virtuosismo "tout court", per un'attenta costruzione armonica. Il tema è mutuato dal coro "O cara armonia" (Das klinget so herrlich) dall'opera Il flauto magico di Mozart. Con questo pezzo il musicista mostra il suo lato teatrale, che non sconfina mai nella gigioneria. La sua è una forma di virtuosismo rigoroso, spigliato però mai ostentato, dove prevale il suo infallibile senso della misura e di una visione globale, piuttosto che parcellare.

 



Ci racconta sempre una novella che non dev'essere turbata da elementi che possano in qualche modo disturbare la sovrana fluidità della materia musicale. Tantissimi sono gli applausi che riceve, lui umilmente ringrazia regalandoci ancora due brani: la citata "Romance", dalla Grande Sonata in La maggiore MS 3 di Paganini, e un brano che si discosta parecchio dall'atmosfera di squisito stampo classicistico che ha dominato questo secondo appuntamento con "Musica a Villa Durio": Minstrels: Modéré, dai Preludi Libro Primo di Claude Debussy nella trascrizione di Mario Castelnuovo Tedesco. Ulteriore testimonianza, qualora se ne sentisse il bisogno, del senso coloristico che possiede l'artista pesarese, non frutto di un confezionamento "a tavolino" ma di una rara sensibilità personale esternata con la massima genuinità.

 




Alfredo Di Pietro

Ottobre 2018


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