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venerdì 29 marzo 2024 ..:: APF 2018 - Euterpe - Prima Serata ::..   Login
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 AMIATA PIANO FESTIVAL 2018 - EUTERPE - 26/07/2018 Riduci

EUTERPE
AMIATA MUSIC MASTER
SILVIA CHIESA E LE NUOVE STELLE DELLA CLASSICA


Dmitrij Šostakovič (1906 - 1975)
Due pezzi per ottetto d'archi Op. 11
     1. Preludio
     2. Scherzo


Ottorino Respighi (1879 - 1936)
Doppio quartetto per archi in re minore P27
     1. Allegro
     2. Adagio non troppo quasi andante
     3. Intermezzo: Allegro vivace ma non troppo
     4. Finale: Presto all'ungherese


Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
Ottetto per archi Op. 20
     1. Allegro moderato ma con fuoco
     2. Andante
     3. Scherzo: Allegro leggierissimo
     4. Presto


Ferdinando Trematore, Laura Bortolotto,
Christian Sebastianutto, Giulia Rimonda violini
Costanza Pepini, Stefano Musolino viole
Andrea Nocerino violoncello

Con la partecipazione di
Silvia Chiesa violoncello

 



Le parole possono aiutare, di fatto lo fanno sempre quando sono sincere e sentite, come nel caso del violinista foggiano Ferdinando Trematore. Siamo in debito, noi ascoltatori, verso questi valenti strumentisti, loro lo sono nei confronti dei propri maestri, del Forum Bertarelli e di tutto ciò che esiste a monte di un progetto come questo. Ma ci sono delle circostanze in cui si è debitori e creditori allo stesso tempo, così scopriamo che nello scambio del dare/avere possono sbocciare dei fiori meravigliosi, come quello di stasera, poi generosamente offerti a tutti noi. A fine concerto, affrancato dalla tensione nervosa che precede e accompagna il gesto artistico, Ferdinando alza lo sguardo verso il pubblico e dice appagato: "In questi giorni abbiamo condiviso musica e non solo. È davvero lodevole questo Festival perché le situazioni dove i giovani possono avere spazio per esprimere il proprio talento, il proprio potenziale, sono molto difficili da trovare in Italia. Ai maestri Chiesa e Baglini va quindi il nostro applauso". Parole semplici, autentiche, che esprimono un'accusa e allo stesso tempo una presa d'atto che non tutto è perduto, che il principio del mecenatismo è sempre più moderno, nobile e lasciarsi guidare da esso non può che portare bene. È una dichiarazione che fa il paio con quella di Silvia Chiesa, artista residente del festival amiatino nonché prestigiosa violoncellista e docente.

 



Prima del concerto prende la parola chiarendo, a distanza di due anni, le ragioni di questo nuovo "format": "Sono felice di vedere questa sala bella gremita, felice per i miei ragazzi. Dico miei ma in realtà sono studenti o appena diplomati, diversi di loro frequentano corsi in importanti accademie sia in Italia che all'estero. Il progetto Music Master, ideato con Maurizio Baglini, è in linea con tutte le belle cose che fa la Fondazione Bertarelli, implica la presenza di un professionista, in questo caso io, con dei ragazzi che suonano in concerto con lui. È costruito apposta per donare loro la possibilità di esibirsi in una sala prestigiosa, accanto a un concertista affermato che suona come professionista da anni. Per questi giovani e giovanissimi dovrebbe essere un momento di confronto, tuttavia lo è anche per il professionista stesso poiché, di fatto, ogni musicista può portare la sua esperienza, giovane ma comunque importante e ricca di novità per quanto riguarda il suo ruolo. Abbiamo lavorato intensamente con questi ragazzi che arrivano dal Piemonte, dalla Lombardia, Veneto, Puglia, ci siamo ritrovati qui per creare appositamente questo progetto. Quello di stasera è un concerto cui tengo molto perché, anche nel programma, c'è la mia vena italiana. Proponiamo un'opera di Respighi mai presentata in Italia". Concerto per'altro dedicato, di comune accordo con la famiglia Bertarelli, alla scomparsa di un uomo che ha dato tanto al nostro paese, Sergio Marchionne. Esordisce nel 2016 l'Amiata Music Master, sulla base di pochi ma fermissimi principi, innanzitutto la giovane e giovanissima età dei musicisti, rigorosamente selezionati, poi la partecipazione dei maestri e un autorevole palcoscenico sul quale esibirsi.

 



Anche nella serata del 26 luglio la risposta da parte del pubblico a questo modo di fare e proporre musica non è mancata, entusiastica, un riscontro che non ha perso un grammo del trasporto manifestato sin dalla prima edizione, interamente dedicata al pianoforte con i giovani Axel Trolese e Gabriele Strata e due eccellenti maestri: Maurizio Baglini e Roberto Prosseda. In tempi in cui i curricula subiscono talvolta degli improbabili "editing", fa un enorme piacere scorrere quelli, veritieri, di ciascuno degli otto strumentisti presenti questa sera. Secondo una consuetudine che affranca da formalismi di ogni sorta, Silvia Chiesa si è seduta tra questi ragazzi per suonare con loro. Si tratta di un evento che non va in alcun modo banalizzato, non si tratta semplicemente di "gettare" questi giovani sul palcoscenico, ma ciò che vediamo e sentiamo è l'esito finale di un percorso non facile, dalla scoperta del talento individuale, alla creazione di un progetto che si fa latore di un impegnativo lavoro a monte in cui ognuno (e tutti insieme) ha la possibilità di esprimersi. Nel programma di sala c'erano due opere del Novecento che difficilmente è possibile ascoltare in una sala da concerto, anzi il Doppio quartetto per archi in re minore P27 di Ottorino Respighi, opera dalla finissima scrittura e dalla grande suggestione, non si era mai sentito prima in una sala da concerto italiana. Nella seconda parte è stato invece eseguito l'ottetto per archi probabilmente più noto della produzione romantica: l'Op. 20 di F. Mendelsshon-Bartholdy.

 



Šostakovič compose i Due pezzi per ottetto d'archi Op. 11 a diciotto anni, nel cosiddetto primo periodo della sua produzione, connotato da una spiccata inclinazione alla sperimentazione avanguardistica. Figurano tra i primi cimenti cameristici dell'autore russo essendo la terza composizione nel genere, preceduta dal Trio N. 1 per violino, violoncello e pianoforte e dai Tre pezzi per violoncello e pianoforte, in seguito andati perduti. Con questo brano difficile, enigmatico, partorito dalla mente di un diciottenne che già a quell'età era in possesso di una straordinaria maturità e complessità di pensiero, il nostro ottetto non si risparmia rischi esecutivi di ogni sorta. L'amalgama c'è, ma soprattutto viene colta in pieno, e con una sorprendente padronanza dei mezzi tecnico/espressivi, la veemente carica vitale che contengono. Ritengo la scelta di presentare questi due brani come oltremodo coraggiosa perché, difficoltà esecutiva a parte, non dev'essere per nulla agevole immedesimarsi nella poetica dell'autore russo. Chi conosce le sue vicende, sa che ebbe un rapporto con il regime sovietico parecchio tormentato. I dissidi iniziarono con la feroce stroncatura ricevuta sulla Pravda dalla sua opera "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk", culminati poi in due denunce ufficiali, sempre per via delle sue composizioni. Da allora molti dei suoi lavori furono censurati. Egli quindi fu costretto a sviluppare un linguaggio da "equilibrista", aderente cioè sia ai dettami del regime che al proprio più profondo sentire.

 



Ne scaturì da un lato un tratto profondamente nostalgico (il suo più autentico), segnato da un'espressività violentemente aggressiva intervallata da momenti di estrema rarefazione della scrittura, dall'altro emerse una sottile ironia dove solo in apparenza c'era l'adesione ai trionfalismi di regime. Non un compito facile quindi per i nostri giovani strumentisti, che se la sono cavata egregiamente nell'evidenziare la lacerante poetica dell'autore di San Pietroburgo. In particolare, l'ottetto è riuscito a cogliere con rara sensibilità le due contrapposte atmosfere del Preludio e dello Scherzo, passando da una sofferta e statica interiorità a un accalcarsi di suoni freneticamente ritmici. Una drammatica temperie che si è quasi dissolta nell'elegante scorrevolezza del Doppio quartetto per archi in re minore P27 di Ottorino Respighi. Suggestivo, calligrafico nella scrittura e con una curiosa citazione nel "Finale: Presto all'ungherese" (la Csárdás), è un movimento non privo di una buona dose di umorismo, dove i nostri otto strumentisti hanno esibito una spettacolare "verve". Certo, siamo lontani dalle abissali profondità di Šostakovič, ma questa godibile composizione non fa altro che confermare le doti di duttilità dell'ensemble strumentale, la sua straordinaria abilità a immergersi in climi e stili diversi. Felix Mendelssohn-Bartholdy con l'Ottetto per archi Op. 20 stabilisce un clima di primaverile romanticismo.

 



Composto nel 1825, tonalità d'impianto mi bemolle maggiore, per quattro violini, due viole e due violoncelli, esprime la volontà di raggiungere un respiro sinfonico, ravvisabile già nelle parole dello stesso compositore, che scrisse sulla partitura autografa: "Questo Ottetto va suonato da tutti gli strumenti nello stile di un'orchestra sinfonica. I piani e i forti debbono essere rispettati attentamente e sottolineati con più forza di quanto si usa in opere di questo genere". La giovane compagine sembra ben consapevole di quest'indicazione, suona con empito e coesione generando sonorità corpose, materiche, squisitamente orchestrali. Si adatta alla sinuosa linea melodica dell'Allegro iniziale, dimostra una rara predisposizione al cesello sonoro nella calibrazione dei numerosi crescendo presenti in tutto il movimento, costruito secondo una concezione piuttosto articolata e complessa. All'Allegro segue un Andante distesamente elegiaco, qui si manifesta appieno la felicissima inventiva melodica del compositore amburghese. Dall'esecuzione davvero impegnativa sono i due movimenti conclusivi dello Scherzo: Allegro leggierissimo e del Presto. In questi il tessuto polifonico si dipana in un gioco formalmente perfetto d'incastri, in cui la minima esitazione porterebbe a un impietoso fuori pista. Non avviene nulla di tutto ciò... come un motore ben oliato l'ottetto procede in ogni occasione con grande determinazione e una sicurezza degna delle formazioni cameristiche più consumate.

 



Dopo qualche attimo di "suspense", Andrea Nocerino attacca con furia le crome del Presto finale, quasi un precipitato, passando il testimone (la medesima figurazione) a Silvia Chiesa, intervengono poi nel fugato le due viole e in ultimo i quattro violini in un rapido susseguirsi di subitanei incastri. Elettrizzante non esiterei a definire la loro prestazione, sorprendono la solida preparazione, la sicurezza e le capacità espressive di questa piccola orchestra d'archi. L'ottetto che si è esibito stasera all'Amiata Piano Festival è quanto mai lontano da quel senso di raccogliticcio che può destare una formazione improvvisata. Nulla qui lo è. In virtù dell'egregio affiatamento tra tutti gli elementi, sotto la carismatica presenza del primo violino, ogni brano è stato affrontato con un'energia, piglio esecutivo e determinazione insospettabili per un ensemble così giovane. Ognuno di loro merita un plauso e un abbraccio. Più volte i musicisti sono stati richiamati sul palco dagli interminabili applausi, producendosi in due bis, nel primo hanno ripetuto lo Scherzo dai Due pezzi per ottetto d'archi Op. 11 di Šostakovič e nel secondo hanno suonato un estratto dal Doppio quartetto per archi in re minore P27 di Respighi.

 

 

Tutte le fotografie, scattate da Carlo Bonazza, sono state gentilmente concesse dall'Ufficio Stampa dell'Amiata Piano Festival.


Alfredo Di Pietro

Agosto 2018


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