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venerdì 19 aprile 2024 ..:: Jeux D'Eau - Irene Veneziano ::..   Login
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 Jeux D'Eau - Irene Veneziano Riduci


 

 

Ci sono diverse buone ragioni per amare questo disco, registrato il 12 - 14 settembre 2016 nell'Auditorium del Conservatorio di Musica "Guido Cantelli" di Novara e allegato alla rivista Amadeus di novembre 2016. Il titolo "Jeux D'Eau" è per certi versi ingannevole, in ogni caso parzialmente rappresentativo della molteplicità di contesti racchiusi nell'album. L'elemento "gioco" è senz'altro presente, ma con questo anche la sublime profondità di diverse pagine, in un insieme che identifica quest'ultima fatica discografica di Irene Veneziano come progetto sfaccettato. Intrigante è l'immagine di copertina, con la bella pianista di Sesto Calende al suo strumento, affascinanti sono i quattordici brani di questa policroma "compilation", emblema del mondo acquatico espresso in musica. L'apertura verso uno screziato universo pianistico qui genera una favolosa varietà di atmosfere, dove autori di diversa epoca si esprimono in composizioni tutte accomunate dal medesimo tema. L'elemento acqua si presenta in diversi contesti e forme, il suo zampillare da una fontana diventa gioco pirotecnico, l'ondulare di una gondola veneziana ispira stupende melodie intimistiche. L'acqua, nell'insistente battere della pioggia, diventa motivo di frenetico scintillio sulla tastiera o, al contrario, in forma di distesa sottomarina immerge chi ascolta nel mistero di una cattedrale sommersa. Si fa portatrice di suggestioni religiose in San Francesco da Paola che cammina sulle onde piuttosto che pretesto del liberarsi d'incantevoli melodie chopiniane.

Sino ad arrivare ai nostri giorni con due compositori italiani, alle prese uno con l'esplorazione delle remote profondità di un fiume come il Danubio e l'altro in una forbita onomatopea che differenti immagini e suoni dell'elemento liquido comprende: scrosci temporaleschi di pioggia, in contrasto con la quiete liquida dopo la tempesta. L'acqua, in buona sostanza, diventa duttile materia di estro creativo. Quattordici brani per dieci autori, scelti secondo un criterio di grande libertà, emblematici di stili e periodi storici (si va dal romanticissimo Chopin al contemporaneo Alessandro Cuozzo) molto distanti tra loro, pur se legati da un medesimo "fil rouge". Era il 1901 quando dalla felice penna di Maurice Ravel sgorgò "Jeaux D'Eau", prima traccia e brano che dà il titolo al CD. È un esordio significativo poiché proprio con questa composizione si affaccia a inizio secolo un nuovo modo d'intendere il pianoforte, un nuovo linguaggio fatto di suggestioni armoniche che hanno l'effetto di trasportare chi ascolta in un'altra dimensione. Ravel, com'è noto, in questa come in altre sue composizioni usa spesso accordi paralleli di settima e l'accordo di settima maggiore, una scelta tecnica che concorre a stabilire quel clima di diafano fascino esotizzante che caratterizza la sua intera produzione. Nei "Giochi D'Acqua" c'è il grande incanto che richiama altri pezzi di Ravel, "Ondine" su tutti, primo brano del celebre trittico "Gaspard de la nuit". L'intento descrittivo li accomuna, stessa "umida" fascinazione, stesso rincorrersi di scale e arpeggi che onomatopeicamente richiamano il cadere della pioggia.

Non è per caso che l'autore francese prediligesse il registro alto dello strumento. Tanto lo attirava quel suono sfavillante riposto nella metà destra della tastiera, in questo riconosceva quelle possibilità timbriche in grado di materializzare il ripicchiare delle gocce di pioggia, insieme al fluire argentino dei rivoli d'acqua. Personalmente, non mi fa impazzire la "Improvisation über den Walzer 'An der schönen blauen Donau' von J. Strauss", brano di Max Reger sospinto costantemente tra svolazzi virtuosistici e verbosità (anche un po' vuote...) che vedono al centro il notissimo tema del valzer di R. Strauss. Si tratta di un pezzo che ha tuttavia un suo perché in questa raccolta. Irene Veneziano non ha voluto evidentemente escludere dalla sua cangiante rassegna acquatica il virtuosismo magniloquente, e anche un certo sarcasmo, ben rappresentati dal brano di Reger. La perizia agogica con cui tratta quest'improvvisazione rende molto bene quel senso di estraniazione che si riceve dalla deformazione dell'elegante tema originale. Si raggiunge così agevolmente il grottesco, tra le frasi flebilmente accennate nel registro alto e i massicci, pesanti blocchi accordali nella parte bassa. L'effetto è a tratti esilarante e bravissima è la pianista a renderlo perfettamente con un mix di brillantezza tecnica, astuzia agogica e trasalimenti di stampo melodrammatico. Una grande prova davvero... Di tutt'altra caratura appaiono le "Venezianisches Gondellied" (Op. 19 N° 6 e Op. 30 N° 6) di F. Mendelssohn, due autentiche perle melodiche che brillano di luce propria. Il grande compositore romantico scrisse i quarantotto brevi brani dei "Lieder ohne Worte" (Romanze senza parole) tra il 1829 e il 1845, pubblicati in otto raccolte di sei brani ciascuna.

Quelli presenti nel CD sono i due finali del Primo e Secondo volume. Si eleva un canto sentimentale, malinconico, non privo però di quella tensione sotterranea che trova espressione in Mendelssohn nell'indicazione "Piano con fuoco". La struttura dei due lieder, in tempo di 6/8, è tripartita (ABA), nella prima parte è contenuto il tema principale, delicatamente onirico, esposto con soavità dal pianoforte di Irene Veneziano e accompagnato da un ritmo regolare che imita il dondolio della gondola. Qui si perde ogni connotazione meramente fonosimbolica, vengono a galla delle melodie d'incomparabile dolcezza che dal movimento oscillante traggono impulso, si fondono con esso diventandone parte integrante. Le due romanze sono simili, appena più mossa e malinconica la seconda, anch'essa costruita sul tempo di 6/8 con l'accompagnamento di una serie di crome ascendenti. La pianista di Sesto Calende si approccia con grande sensibilità a queste due gemme, tenendosi alla larga da eventuali illanguidimenti che rischierebbero di rendere stucchevoli queste pagine. La sua è una lettura libera ma anche equilibrata e rigorosa, attenta a preservare la grande trasparenza di questi brani. La limpidezza architettonica del primaverile romanticismo mendelssohniano non viene perciò contaminata da sottolineature sentimentalistiche, la purezza (e anche la fierezza) insita nelle due Venezianisches Gondellied può allora sgorgare da un nobile lirismo. Piccolo incidente di percorso: per un errore d'"impaginazione" della Track List, la quinta e sesta traccia sono invertite, quella che si ascolta per prima è "Jardins sous la pluie", segue poi "La cathédrale engloutie".

Nulla di preoccupante, non credo che il melomane esperto non se ne accorgerà, magari passerà inosservato a chi non conosce i due brani. Si ritorna al vortice acquatico con "Jardins sous la pluie", terzo pezzo della Suite per pianoforte Estampes L 108. Sulla citazione della canzone popolare francese "Dodo, l'enfant do" viene abilmente costruito lo scrosciare della pioggia. La raffinata tecnica debussyana si avvale di una serie di rapide quartine "Net et vif", dove la prima semicroma si trova nel registro basso mentre le altre tre si muovono in quello alto; il moto turbinoso si cheta nella parte centrale, preceduta da qualche misura "En se calmant". Delle terzine prendono allora il posto delle quartine. La pioggia attenua la sua veemenza e rispunta la citazione nostalgica di una vecchia melodia infantile: "Nous n'irons plus au boit". "Mysterieux", con le sue ampie volute di figurazioni irregolari (quintine e qualche isolata sestina di crome) riconduce all'iniziale tempestosità con l'indicazione espressiva di "En animant jusqu'à la fin". Secondo brano dedicato a C. Debussy è "La cathédrale engloutie", decimo dei "Préludes per pianoforte - Primo Libro L 125". Qui è l'incanto sonoro a prendere il sopravvento nell'immagine di una cattedrale sommersa che, come racconta la leggenda bretone della città d'Ys, viene coperta d'acqua per riemergere all'alba e poi ancora sprofondare negli abissi. L'onomatopea qui si rivolge alla coltre di nebbia mattutina, al movimento delle onde, al suono delle campane e dell'organo. L'incedere lento e maestoso ("Profondément calme"), le note basse solennemente scandite immergono l'ascoltatore in un'atmosfera senza tempo fatta di tinte sfumate e profonde suggestioni.

Dopo i raveliani, ecco che nella settima traccia ci sono i lisztiani "Jeux D'Eau", dagli "Années de pèlerinage", in questo caso inquadrati nella splendida cornice della Villa D'Este. Circa un ventennio separa le due composizioni, siamo in un ambito di stile ben diverso, anche se è possibile azzardare delle analogie tra le due nell'uso onomatopeico del registro acuto, nella luminosità cristallina che spandono i getti d'acqua, nella mobilissima iridescenza della scrittura. Rispetto ai "Giochi" di Ravel qui tuttavia affiora una composta leggiadria e un carattere a tratti meditativo, turbato soltanto da una parte più mossa. La relazione si fa più credibile se pensiamo che Liszt si fa precursore, con questo brano, di raffigurazioni impressionistiche dell'acqua di là da venire (Debussy, Respighi e lo stesso Ravel). La nostra pianista fa leva sulle sue doti virtuosistiche per cesellare un brano dal notevole impegno tecnico, abbinate a una superba sensibilità coloristica. Infonde leggerezza, un formidabile smalto a un brano di grande magnetismo e anche significanza religiosa. Religiosità che si manifesta apertamente in "St. François De Paule Marchant Sur Les Flots", una delle due "Légendes S 175" (l'altra è dedicata a San Francesco D'Assisi). Il brano trae spunto dal miracolo attribuito al Santo in una particolare circostanza: al rifiuto di alcuni battellieri di trasportarlo sulla loro imbarcazione, egli attraversò lo stretto di Messina camminando sulle onde. Franz Liszt, com'è noto, fu uomo di grandissima cultura e non di rado s'ispirò a opere letterarie o pittoriche nelle sue composizioni, in questo caso fu stimolato da un quadro del pittore Jakob Von Steinle che rappresentava l'episodio miracoloso, donatogli dalla principessa Wittgenstein.

Pezzo di grande tensione emotiva, si distende in lunghi crescendo che toccano apici di potenza non comuni. Irene Veneziano amministra l'impeto con grande sapienza, centellinando il fraseggio con precisione dinamica e agogica in un clima di crescente inquietudine. Un tremolo, poi sostituito da veloci scale cromatiche ascendenti e discendenti di biscrome, sostiene una semplice melodia iterativa sino alla drammatica esplosione emotiva dell'"Allegro maestoso e animato": Il trionfo del miracolo che vince ogni umana avversità si è realizzato. A placare le acque interviene il "Lento - Accentuato assai con somma espressione", ma non è che un fugace momento di riflessione prima dell'esaltazione finale. Nel Preludio Op. 31 N° 8 "La Chanson De La Folle Au Bord De La Mer" di Charles-Valentin Alkan, ritroviamo la fissità di sguardo di una donna folle nell'accompagnamento di un ostinato formato da semiminime alternate a crome nel registro grave dello strumento. Non esprime alcun sentimento se non l'apatia di una psiche impassibile al mondo esteriore. Anche "The Tides of Manaunaun" (1912) di Henry Cowell sfrutta la tecnica di un inquietante substrato accordale per vivificare quel senso di oscura tensione sotterranea che coglie l'ascoltatore. Qui però non ci troviamo di fronte a una psiche devastata dalla malattia ma un magmatico movimento cosmico ottenuto con l'utilizzo di una tecnica particolare: i cluster, vale a dire "grappoli" di note adiacenti, diatoniche o cromatiche, suonate simultaneamente. Molto probabilmente il primo compositore ad adoperarli è stato proprio Henry Cowell in questo brano.

Nella mitologia irlandese, Manaunaun era il dio del movimento e delle onde del mare. Nel momento della realizzazione dell'universo, Manaunaun agitò tutte le materie che lo avrebbero composto, spandendo le particelle fini in tutto il mondo attraverso il cosmo. Continuò a produrre queste maree ritmiche, in modo da mantenere rigogliosa la materia sino al suo utilizzo per la costruzione dell'universo. La composizione procede per blocchi sonori, quasi degli elefantiaci monoliti, dove il cluster rappresenta, secondo un'allusiva simbologia fonica, una sorta di brodo prebiotico all'origine dell'universo sonoro. Si ritorna ad atmosfere più familiari con due monili chopiniani, il Preludio Op. 28 N° 15 "Goutte D'Eau" e lo Studio Op. 25 N° 12 "Océan". Il N° 15 in re bemolle maggiore ("Sostenuto") è uno dei preludi più noti di Chopin, scritto in schema tripartito. Nella prima parte è esposto un tema dolce e malinconico, nella seconda la tristezza si trasforma in cupa ansia, si ritorna poi al clima iniziale nella terza sezione. In tutto il corso della composizione c'è un uso del pedale quasi ossessivo (la bemolle nelle due estreme, sol diesis nella centrale) che accompagna costantemente lo svilupparsi dei diversi stati d'animo. F. Chopin è il compositore prediletto da Irene Veneziano, la tensione emotiva che riesce a instaurare nel tempestoso Studio Op. 25 N° 12 è incessante ma evita ogni rischio di monotonia nelle sottili diversificazioni espressive. Il "Molto allegro con fuoco" diventa mobilissima burrasca passionale, espressa dal moto continuo di quartine suonate da entrambe le mani.

La struttura del brano non prevede deroghe da questa configurazione, dalla prima alla penultima battuta troviamo solo e soltanto quartine di semicrome. Va da sé che l'interprete deve esercitare su questo costante flusso di note le sue scelte agogico-espressive, la nostra pianista viene guidata dalla sua squisita sensibilità e modula sottilmente ogni frangente espressivo sulla base di ciò che le note in quel momento vogliono significare. Il CD termina con un bel tuffo acrobatico nelle acque della modernità. Ritorna con Bado Blu Nui Op. 46 di Alessandro Cuozzo il tema "Sul bel Danubio blu", anche se qui, in tutta sincerità, l'operazione di straniamento sul celeberrimo tema mi è risultata molto più gradevole che non in Reger. E se "Giochi D'Acqua a Villa Magni" di Lino Madoglio sembra emulare il lisztiano "Les Jeux D'Eaux À La Villa D'Este", in realtà se ne differenzia non solo - ovviamente - per il linguaggio, ma anche per il porsi come una gustosissima "patchwork" di stili presenti e passati a mo' di rondò. Non manca l'impressionistico zampillare, le folate chopiniane e lisztiane, cucite insieme col filo di seta di un affabile linguaggio che si rifà ad atmosfere new age e minimaliste. Il messaggio è chiaro e forte: siamo tutti figli del nostro tempo, ma in ognuno di noi si agitano i brandelli delle civiltà che ci hanno attraversati e che in noi rimangono stampate. In questa nuova release discografica c'è un dato che va oltre la brillantezza tecnica che tutti riconoscono a Irene Veneziano. Ormai acquisita la padronanza assoluta della tastiera, oggi si dedica ad approfondire ogni partitura secondo la sua particolare cifra interpretativa.

Il progetto "Jeux D'Eau" si distende in una visione dall'alto che comprende autori, brani, stili e tecniche pianistiche molto differenti tra loro. Per ognuno di loro l'artista lombarda trova il modo giusto, la giusta misura per una resa efficace. Appare evidente la volontà di discostarsi dal cliché di pianista "semplicemente" virtuosa, abituata a stupire le folle solo con la sua destrezza digitale, lo fa raggiungendo un perfetto equilibrio tra narrazione poetica e valentia tecnica, sempre pronta ad aderire con grande duttilità ai diversi frangenti espressivi. Il suo emerge come un pianismo di grande smalto, dall'ampio ventaglio di possibilità, sempre "charmant" e dall'incantevole cantabilità nei momenti più intimistici. Come reattivo riesce a manifestarsi nelle occasioni più drammatiche e concitate. Ho trovato molto diligenti le note di copertina scritte da Marino Mora, impegnato nella minuziosa descrizione di ogni singolo brano. L'ordine con cui prende in esame i vari brani non segue quello progressivo delle tracce ma è cronologico, in cima quindi troviamo Chopin, a seguire tutti gli altri e in ultimi gli autori contemporanei. Convincente la qualità di registrazione, con un registro alto dinamicamente vivace e un buon corpo sulle medie, segno che il sound engineer ha voluto assecondare la valenza onomatopeica che hanno molti dei pezzi, avvalendosi di una particolare tecnica di registrazione.

 



Alfredo Di Pietro

Gennaio 2017


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