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venerdì 19 aprile 2024 ..:: La Nona di Beethoven-Liszt a Milano ::..   Login
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 La Nona di Beethoven-Liszt a Milano Riduci

 

 

 

 

Percorso tormentato quello del corpus di trascrizioni delle sinfonie di Beethoven ad opera di Franz Liszt, ricuciamolo brevemente.
Il compositore iniziò a lavorarci nel 1838, ma all'epoca completò soltanto la Quinta, Sesta e Settima sinfonia. Nel 1843 trascrisse il terzo movimento della Terza, pubblicato poi solo sette anni dopo, nel 1850. Il ciclopico proponimento rimase incompiuto per ventitré anni, finché la casa editrice Breitkopf & Härtel non esortò Liszt a completarlo in vista di una futura pubblicazione.
Ma non è il solo percorso temporale delle nove trascrizioni a essere stato travagliato, le difficoltà e i ripensamenti investirono direttamente la fase compositiva delle opere, che il grande genio ungherese di Raiding cercò di semplificare nel tempo. La nona sinfonia, in particolare il movimento finale con soli e coro, dovette dargli parecchio filo da torcere nel tentativo di conciliare l'aderenza all'opera originale e l'eseguibilità sulla tastiera. Nel 1850 i suoi sforzi si concretizzarono in una trascrizione della Nona per due pianoforti, cui seguì un ulteriore tentativo, sollecitato sempre dalla Breitkopf & Härtel, con la versione per un solo pianoforte, la quale vide la luce nel 1864. Accanto a queste germogliò una terza versione che vedeva l'apporto di cantanti solisti e coro nel quarto movimento. L'intero gruppo di trascrizioni fu alla fine pubblicato nel 1865, ben ventisette anni dopo il suo incipit.

Alfred Brendel, nel suo libro "Paradosso dell'interprete" dichiarò a proposito di queste composizioni: "Le trascrizioni sono allora atti di vendetta contro compositori senza difesa, ai quali chi trascrive vuol far pagare lo scotto della propria inferiorità? Non è certo il caso di Liszt...". Questa illuminante considerazione fornisce la chiave di lettura di opere che sono frutto della felice convergenza tra l'avanzatissima tecnica di composizione pianistica lisztiana e la profondità di pensiero musicale di Beethoven. Possiamo anzi dire che l'assunto di partenza scaturiva da un sentimento opposto a quello dell'invidia, poiché intendeva essere uno schietto omaggio all'impareggiabile grandezza di Beethoven. Altri fattori concomitanti sarebbero stati l'opportunità di analizzare il processo compositivo delle sinfonie e l'occasione (questa si una sfida) di azzardare un confronto tra le capacità tecnico-espressive del pianoforte e il potenziale sugli stessi parametri di un’orchestra sinfonica. In buona sostanza si profilò non una competizione, una corsa a "ti faccio vedere io chi è il più bravo", quanto l'esigenza di trasporre su uno strumento polifonico come il pianoforte dei capolavori che altrimenti avrebbero sofferto di un understatement divulgativo al di fuori dei circuiti concertistici.

Le trascrizioni di Liszt delle nove sinfonie di Beethoven S.464 sono un osso duro per qualsiasi pianista, anche per quello tecnicamente più dotato, in particolare la trascrizione della monumentale Nona, alla quale va senza ombra di dubbio la palma della difficoltà a causa della complessità del tessuto polifonico da affrontare. Per le doti virtuosistiche, per la tenuta nervosa, la concentrazione che una partitura così lunga e articolata esige dall'interprete, si tratta di un'opera di rara, se non di rarissima esecuzione nelle sale da concerto di tutto il mondo. Maurizio Baglini, pianista virtuoso, ha fatto proprio di questa il suo iniziale cavallo di battaglia, inaugurando nel 2009 il percorso discografico con la Universal-Decca, un sodalizio che ha prodotto ottimi frutti e tanti ancora ne produrrà per il futuro. Per inciso, il 29 gennaio 2016 è stato pubblicato il suo ultimo CD "Schumann - Piano Sonatas 1 & 2 - Presto Passionato - Toccata", secondo dedicato al grande compositore romantico e facente parte di un ambizioso progetto (l'integrale dell'opera pianistica di Robert Schumann) che lo terrà impegnato per i prossimi dieci anni. Nelle note di copertina del CD dedicato alla trascrizione, il maestro Baglini afferma: "L'inserimento del coro è certamente suggestivo, ma toglie un'ingente parte di esibizionismo e di fattore di rischio alla sfida che il pianista vuole affrontare, da solo: l'esecuzione del mostrum è una sorta di solitaria sull'Everest, magari compiuta senza l'ausilio delle bombole d'ossigeno - vedi Reinhold Messner, 1980!".

E davvero in quest'emozionante serata che inaugura la stagione dei concerti straordinari de "laVerdi" all'Auditorium di Milano Fondazione Cariplo il pubblico ha assistito a una sorta d’impavida scalata su vette probabilmente negate ad altri. In programma proprio la trascrizione di Franz Liszt della Sinfonia N° 9 in Re minore Op. 125 di L.V. Beethoven nella versione per soli, coro e pianoforte, con uno sfolgorante Maurizio Baglini che ha padroneggiato una partitura lunga (un'ora e dieci minuti di musica) e molto difficile. L'apporto dei cantanti Cinzia Forte (Soprano), Beatrice Mezzanotte (Mezzosoprano), Carlo Allemano (Tenore), Ugo Guagliardo (Basso) e il Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi diretto da Erina Gambarini se in quest'occasione gli ha tolto una parte di esibizionismo e fattore di rischio, tanto ha aggiunto in termini di completezza, di spettacolarità all'evento. Al di là della tenuta "atletica" dell'esecutore, del puro meccanismo, della memoria di ferro che occorre per tenere a mente senza inceppi le 208 pagine della partitura, non vanno assolutamente sottovalutate le doti culturali, le capacità di un fraseggio che deve risolutamente adeguarsi alle variegate situazioni espressive contenute nella Nona. Tutti requisiti saldamente in possesso del nostro pianista.

Viene a galla in questa serata del 4 gennaio la netta sensazione che la trascrizione di Liszt s'impone non come un succedaneo da salotto dell'opera originale, ma piuttosto come una composizione che vive di luce propria, tanto da suscitare nell'ascoltatore l'interrogativo se sia più avvincente la versione originale di Beethoven o questa. Di certo siamo in presenza non di un semplice "arrangiamento" ma di un'opera che reca fortemente impressa la traccia del genio lisztiano, della sua personalità soprattutto, dove l'autore ha si voluto omaggiare l'immenso Beethoven ma anche desiderato lasciare ai posteri la sua particolare impronta artistica. Affidata alle mani di uno strumentista dalla tempra d'acciaio come Maurizio Baglini, questa trascrizione ha suscitato forti emozioni, accresciute dalla partecipazione dei soli e coro. Non so quanto in effetti la loro presenza semplifichi il gravoso compito del pianista, chiamato a integrarsi nella concertazione del finale. Non sarà sfuggito ai più attenti amanti delle sette note che nel Finale: Presto ci sono degli intrecci contrappuntistici piuttosto complessi dove realmente si pongono dei problemi di perfetto sincronismo tra le parti, per non parlare dei momenti di quasi sospensione del suono in cui pianoforte e voci devono seguire la linea di un sospiro unico.

La versione originale di Beethoven quindi a confronto con la trascrizione di Liszt, questo è il punto cruciale della questione. Sul mio personalissimo cartellino di valutazione trovo che la natura percussiva del pianoforte accentui la drammaticità di certi passaggi. Nei potenti blocchi accordali trova la sua dimensione una visione più "rudemente" veristica dell'evento sonoro. Viene messo in risalto l'ossessivo martellare di semiminime nello scherzo, reso con una pulsante vitalità come nemmeno l'orchestra forse può. Dove la versione lisztiana sembra cedere il passo, nelle celestiali volute di suono dell'adagio, quelle arcate lunghe che sembrano trasportarti in un ipotetico paradiso e che il pianoforte per sua natura non può sostenere, Baglini crea un fraseggio incantevole, di tale libertà agogica da far presto dimenticare questo limite.

Il riscontro del pubblico ha dato ragione a chi ha voluto aprire la stagione 2016 dei concerti straordinari de "laVerdi" con questo caposaldo della letteratura pianistica. Non è cosa di ordinaria amministrazione l'opportunità di ascoltare questa trascrizione e i presenti alla fine hanno manifestato tutto il loro entusiasmo con applausi interminabili, che hanno costretto i musicisti a numerose uscite sul palcoscenico. Baglini alla fine ha concesso due bis: il Corale Bach-Busoni "Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ" BWV 639 e la malinconica sonata K 466 (L18) di Domenico Scarlatti. Particolarissima, di grande libertà la lettura di queste due gemme, risolta in un sottile gioco di colori, profondi nella BWV 639 e dalle sonorità tenuissime, soprattutto nella parte finale, della K 466. Il grande pianista pisano ha così voluto sciogliere tutta la tensione accumulata in un dolcissimo canto di ringraziamento al Signore, dopo la terrificante tempesta beethoveniana.

 

 

Maurizio Baglini

Carlo Allemano

Ugo Guagliardo

Beatrice Mezzanotte

Cinzia Forte

 

Alfredo Di Pietro

Febbraio 2016


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