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 Schumann | Kinderszenen - Davidsbündlertänze - Kreisleriana | Maurizio Baglini Riduci


 

 

AUTORITRATTO DI UN AUTORE E DI UN INTERPRETE

 

In un periodo dove imperversano le copertine tirate a lucido, con il protagonista di turno che, azzimatissimo, fa sfoggio di se, Maurizio Baglini preferisce presentarsi in bianco e nero, in atteggiamento pensoso tra forti chiaroscuri caravaggeschi. È semplicemente in camicia, solo una metà del viso si vede, la mano sinistra in plastica evidenza. Null'altro deve distrarre chi guarda, invitato a concentrarsi sull'essenzialità di un'immagine che rappresenta la sostanza di questo terzo disco dell'integrale pianistica di Robert Schumann. Non è mia intenzione imbastire un panegirico su questa cover, ma credo non si debba sorvolare sul monito che contiene: l'interprete è una persona che non deve invadere il campo, disorientando l'ascoltatore, con il suo ego. La personalità, come parte ineliminabile di ogni essere umano, non può non manifestarsi e condizionare tutto ciò che viene fatto, ma l'interprete non dovrebbe tuttavia assumere una posizione divistica, oscurando l'essenza di un'opera d'arte. È un distinguo sottile, l'interprete è affiancato al compositore, non lo sovrasta, soprattutto quando, per qualche felice congiunzione astrale, è in intima e totale sintonia con lui. In questi casi non c'è alcun bisogno di preporsi, diventa quasi un dovere etico "dissolversi" nella sua poetica, in particolar modo quando si è chiamati a interpretare tre opere che sono il perfetto autoritratto di chi le ha composte. Tali sono le Kinderszenen Op. 15, Davidsbündlertänze Op. 6 e Kreisleriana Op. 16, tre capolavori assoluti di arte pianistica che si fanno amplificatori della complessa anima dell'autore, evidentemente non risolvibile nella secca dicotomia jeanpauliana di Vult e Walt, poi personalizzata nelle figure di Eusebio e Florestano.

 

È un mondo controverso il suo, sparpagliato in mille rivoli espressivi, testimonianza di grandi lacerazioni ma anche di celestiali dolcezze. Lo scopo di una recensione è anche quello di valutare gli aspetti extramusicali, come la copertina, della quale ci siamo già interessati, le note introduttive e la qualità della registrazione. Per le note è presto detto: si è scelta un'intervista a Baglini, molto rivelatrice su diversi fronti. Questa volta l'evento sonoro è stato ripreso non in studio ma dal vivo, durante un concerto tenutosi nell'ambito del festival francese "Musique en Madiran", dinanzi a trecento spettatori. Il pianista ha suonato nell'antica chiesa di Santa Maria a Madiran, un piccolo borgo degli Alti Pirenei nella regione dell'Occitania. Come mai questa decisione, dopo tanti album registrati in studio? La risposta viene da Maurizio Baglini stesso: "Ho voluto che questa esecuzione suonasse spontanea all'ascoltatore del CD, che accogliesse (anche a scapito di certi equilibri tecnici, timbrici e formali) quella libertà, quella consequenzialità, quell'estemporaneità dei rubati che soltanto in concerto si può ottenere, senza far caso ai microfoni attorno". I microfoni in realtà c'erano e posizionati abbastanza vicini allo strumento, si sente all'ascolto, che invito a fare con una buona cuffia per non perdersi nessuno dei dettagli timbrici e dinamici. Da audiofilo non posso che rallegrarmi di questa registrazione; molto valida, è del tutto priva dei tipici rumori del pubblico e rende piena giustizia alle splendide sonorità del grancoda Fazioli F 1660.

 

Un'incisione senza posticce ridondanze, priva di quel riverbero che è dato ascoltare in altri CD dell'artista pisano, a tutto vantaggio dell'intelligibilità, soprattutto delle note suonate in velocità. Nessuno avrebbe potuto sospettare una registrazione dal vivo, almeno sino a quando non sono scrosciati gli applausi, anche perché priva di quelle piccole imperfezioni nell'esecuzione che quasi sempre ci sono nelle esibizioni "senza rete". Una seconda particolarità di quest'album è la scelta di tempi d'esecuzione piuttosto veloci rispetto al consueto, non è un'indicazione in realtà da prendersi alla lettera perché non sempre è così (si pensi soltanto alla magnifica sospensione dal tempo che Baglini attua in "Der Dichter spricht"). La scelta dei cosiddetti "metronomi" è ancora una volta il pianista a spiegarla: "Il mio obiettivo è ricreare lo slancio di fantasia e il turbinio di emozioni attraverso il quale Schumann pretendeva di superare il conservatorismo dei parrucconi".

 

 

IL BAMBINO

 

 

Le "Scene Infantili" si fanno latrici di un incantato mondo infantile, tra festose emozioni e indicibili tenerezze, è con queste che si apre il CD, quasi a stabilire quell'atmosfera tra il fatato e il tragico che lo dominerà dalla prima all'ultima nota. Le tredici piccole scene furono composte nel 1838, un periodo non facile per la vita del compositore, addolorato dal rifiuto di Friedrich Wieck, suo maestro, a concederle la mano della figlia Clara. Decisione non criticabile da parte di un padre perché Robert aveva manifestato già in gioventù i primi segni dell'instabilità mentale che lo condusse alla pazzia (da ragazzo aveva tentato il suicidio gettandosi da un edificio). Vittima di fobie e improvvisi sbalzi d'umore, nel settembre 1844 accusò un violento attacco nervoso che lo costrinse ad affidarsi a un noto medico di Dresda, Carl Carus. Il compositore tedesco si era interessato al mondo infantile con due opere molto diverse tra loro, le Kinderszenen Op. 15 e l'Album für die Jugend, ideato dieci anni più tardi, nel 1848. Dai trenta pezzi caratteristici composti nel 1838, tredici ne furono estrapolati per le Scene Infantili, raccolta non dedicata però a piccoli esecutori, nonostante la relativa facilità tecnica (grande invece è la loro difficoltà dal punto di vista coloristico/agogico e nel ricreare una costante fascinazione sonora). Furono all'inizio definite dallo stesso compositore come "scene infantili composte per bambini da parte di un adulto", in realtà non era musica per i bimbi, ma piuttosto sui bimbi, tanto che in seguito le considerò come "reminiscenze per adulti da parte di un adulto".

 

Palesemente differente la destinazione invece dell'Album per la gioventù Op. 68, una raccolta didattica costituita da quarantatre pezzi facili, composti nel 1848 per le sue tre figlie, anche se non equamente divisi tra "per i più piccoli" e "per i più grandi". Pur nell'apparente semplicità d'intenti, nel pianismo di Maurizio Baglini si respira a pieni polmoni una poetica proiettata verso il futuro, l'impressione è che lui continuamente dislochi, spostandoli oltre il confine sensoriale dell'"Hic et Nunc", i parcellari stati d'animo destinandoli all'idealizzazione. Nelle sue mani le Kinderszenen sono davvero un sogno a occhi aperti sin dall'incipit, quel Von fremden Ländern und Meuschen (Da genti e paesi lontani) in cui il tempo adottato, come annunciato nelle note, è piuttosto veloce e tale rimane per tutta la durata del brano. Il fraseggio, di grande libertà, sembra seguire l'urgenza espressiva del momento e non è mai gratuito. Il pianista nutre grande rispetto per Schumann, le sue libertà sono sempre finalizzate alla più limpida esternazione di quel romanticismo a tratti furibondo, a tratti tenerissimo tipico dell'autore tedesco. Così il flusso musicale non deve subire eccessivi o precoci rallentamenti, succede allora che il ritardando indicato a partire della dodicesima battuta divenga sensibile solo alla quattordicesima, in prossimità della croma puntata coronata. Uno stupendo ritardando, non indicato in partitura, viene creato in Curiose Keschichte (Storia curiosa) alla battuta sette, come preparazione del riaffacciarsi del saltellante tema iniziale.

 

Potremmo letteralmente perderci in queste notazioni ché di tali finezze è gremito l'album. Hasche-Mann (A rincorrersi) è un brano brevissimo (appena trentadue secondi), dove il precipitarsi dei passi è scandito dalle quartine di semicrome staccate. Per quanto Schumann abbia dichiarato di facile esecuzione quest'opera, uno staccato del genere richiede dita atletiche e scattanti, come quelle del nostro pianista con la sua formidabile capacità di articolazione. Un capolavoro di agogica è Bittendes Kind (Fanciullo che prega). Qui è la rincorsa tra i rubati, i ritardando, accelerando e la gestione del ritmo in generale che rende fremente e piena d'interrogativi la preghiera. In questi frangenti Baglini dimostra una vera creatività, un estro che risponde solo e soltanto alle urgenze espressive del momento. Più fluente si distende il canto in Glückes genug (Abbastanza felice), un'oasi di serenità in cui non indugiare troppo per non alterare lo spensierato stato d'animo. Qualcosa d'importante accade in Wichtige Begebenheit (Avvenimento importante), annunciato con toni scanditi e solenni. Gli accordi di semiminime in marcato assumono un tono quasi trionfale nel loro incedere: il giorno di festa è arrivato. Traumerei (Visione) è un brano celeberrimo, suonato spesso come bis ai concerti. Quasi opposto al precedente, viene interpretato con un andamento di massima libertà; la lezione è sin troppo chiara: bisogna liberarsi da ogni rigidità per conquistare quel senso di onirica erraticità che questo brano suggerisce.

 

Degli imprevedibili rubati donano grande freschezza d'ispirazione al Traumerei, come se il brano stesse nascendo nel momento stesso in cui viene suonato. Se Hugo Riemann fosse ancora in vita, avrebbe stretto calorosamente la mano a Baglini. Am Camin (Al camino): lingue di fuoco e lampi di luce incantano il bambino davanti al focolare, l'oscillare delle fiamme è reso con sapienti piccoli ondeggiamenti del ritmo, questo si fa più determinato nella piccola cavalcata su un destriero di legno - Ritter vom Steckenpferd (Sul cavallo di legno) - dove traspare tutto l'innocente divertimento del bambino in un indicibile misto di vivacità e tenerezza. Il galoppo è reso quasi onomatopeicamente dalla ripetitiva figurazione ritmica sincopata. Si ritorna contegnosi in Fast zu ernst (Quasi troppo serio), l'utilizzo della tecnica dello spostamento degli accenti è utile in questo caso per delineare il ripiegamento riflessivo del bambino. Fürchtenmachen (Bau-bau) racconta le prime paure, le prime agitazioni simboleggiate dal "Bau-bau", la voce che gli adulti scherzosamente usano per far paura ai piccoli. I soprassalti sono efficacemente emulati dallo "Schneller" in partitura, dalla comparsa di rapide semicrome in controtempo alla mano destra e dalle fulminee figurazioni delle battute 21-24. Sorprendono l'ascoltatore come una folgore improvvisa, suonate dal pianista pisano con lo scatto del centometrista. Kind im Einschlummern (Il bimbo si addormenta) e Der Dichter spricht (Parla il poeta) sono i brani che conducono all'epilogo della composizione, la prima prepara in qualche modo la seconda.

 

Il bambino si addormenta al ritmo di una dolce e meditativa ninna-nanna che porta al sublime "Parla il poeta", un brano essenziale nella sua semplicità, quasi spoglio ma intriso di una profondissima poesia. È il ricordo che si affaccia nostalgicamente alla mente per poi dissolversi, così com'era apparso. Il pianista si scioglie in vette di poesia assolute: basterebbero solo queste poche battute per decretare la grandezza di Maurizio Baglini come interprete di Schumann.

 

 

IL RIVOLUZIONARIO

 

 

Non dev'essere stata certo facile da digerire per Schumann l'espulsione, nel 1831, dalla tedesca "Allgemeine Musikalische Zeitung - (Giornale musicale generale)" uno dei più autorevoli periodici esistiti nel XIX secolo. Per lui, musicista e intellettuale di eccelso valore che guardava al futuro, fatale fu la pubblicazione su quel giornale del suo articolo di encomio su un altro grande genio della musica: Fryderyk Chopin. Ma Schumann non era certo tipo da perdersi d'animo e nel 1834 fondò una sua rivista, chiamata "Neue Zeitschrift fur Musik", dove avrebbe potuto liberamente scrivere. La lotta ai "filistei", personaggi retrogradi che si arrogavano il diritto di imporre un tipo di musica banale, del più retrivo Biedermeier, era iniziata. Il nemico da combattere, con la forza di una poetica autentica, era il piccolo borghese conservatore. Contro di lui Robert Schumann aveva organizzato un'ideale "Lega dei compagni di David", costituita da redattori che comparvero sulla rivista sotto pseudonimi. La complessa personalità dell'artista tedesco fu così scomposta in due personaggi simbolo dall'opposta indole: Eusebio, introverso sognatore mite e timido, e Florestano, irruento e sanguigno lottatore. Si tratta di una dicotomia costantemente presente nelle sue composizioni pianistiche. Le "Davidsbündlertänze", danze dei compagni di David, diventano manifesto della rivoluzione che l'anima eletta voleva porre in atto contro i filistei, considerati dei veri e propri nemici della musica e dell'arte.

 

La battaglia viene, non senza una sottile ironia, portata avanti con quelle che Schumann stesso definì le "danze dei morti, delle Grazie, dei folletti", diciotto piccoli Charakterstücke (Pezzi caratteristici) dedicati all'amico Walther von Göthe, costituiti in prevalenza da Valzer, ma dove trovano posto anche due Landler, N. 2 e 14, e una Polka (Mit humor), dodicesimo dei diciotto brani. L'autore volle affidare il suo cangiante mondo interiore alla forma del "pezzo caratteristico", fondamentale nella musica romantica, in cui di getto l'autore richiama i particolari stati d'animo che lo attraversano, di cui si dà indicazione nel titolo. Ogni brano reca in calce una lettera, la "F" o la "E" (oppure entrambe) che individua un temperamento riconducibile ai due caratteri contrastanti di Florestano ed Eusebio. Talvolta uniti nello stesso pezzo perché, come dice Schumann all'inizio dello spartito, "in ogni tempo si mescolano gioia e dolore".  "Lebhaft" è una specie di prologo, una danza in 3/4 che baldanzosamente si apre con una propulsiva figurazione ritmica (croma, pausa di semicroma, croma e due semiminime), indicata in partitura come "Motto v. C.W.". La citazione è tratta dalla mazurka Op. 6 N. 5 della compositrice e pianista, sua futura moglie, Clara Wieck. Ben noto era il talento di Schumann, tra l'altro ottimo giocatore di scacchi, per le crittografie, i messaggi cifrati, gli enigmi, come per esempio le "Sfingi" nel Carnaval Op. 9. Ironicamente però, tanta spavalderia si scioglie subito nelle eleganti volute di crome dalla battuta 6, altro sintomo della complessità del mondo schumanniano, fatto di irrefrenabili impeti ma anche di acutissime sottigliezze e una rara qualità di scrittura.

 

Con "Mit humor. Etwas hahnbuchen. Schneller", dopo la pausa riflessiva di "Innig" in tonalità minore, si ritorna alla veemenza iniziale dove molto significativa è l'indicazione "Mit humor". Spesso ricorrente nelle sue raccolte pianistiche è un termine che suggerisce un misto di spirito e baldanza, qui rappresenta lo stato di euforia per una conquista fatta sul "nemico". Come nell'incipit, la figurazione iniziale trae grande slancio dalla pausa di semicroma seguita da una semicroma, dopo cinque crome. Maurizio, come si suol dire, prende la palla al balzo ricreando un clima di grande tensione ed effervescenza, è proprio la figurazione iniziale a stupire per la sapienza agogica con cui viene delineata. Se quelle cinque crome iniziali fossero state suonate tutte uguali, metronomicamente, sarebbe svanito all'istante tutto lo charme di cui si fanno portatrici. Baglini invece crea un progressivo e ben calibrato accelerando, sottolineando lo slancio vitalistico che le pervade. Travolgente è in "Ungeduldig", calato in un autentico clima da "Sturm und Drang", dove il ritmo sincopato conferisce un'irresistibile foga al turbinio di note. La rivoluzione è compiuta, vinta idealmente la lotta contro i retrivi filistei; nel compositore si manifesta la gioia di aver fattivamente stilato il manifesto del romanticismo. Di andamento simile è "Sehr rasch und in sich hinein", ma più articolato. Il riflessivo "Nicht schnell. Mis ausserst starker Empfindung" è un brano che vive di palpiti, d'imprevedibili piccoli soprassalti ricreati dagli accordi arpeggiati, gestiti dal pianista con un'intelligenza, una maestria nel rubato davvero rara, il suo è uno Schumann mai inamidato, in ogni occasione vivo e vitale.

 

Si ritorna a una ricercata eleganza con "Lebhaft (vivace)", nono pezzo della raccolta scritto nella solare tonalità di do maggiore, ma non è quel tipo di finezza che possiamo trovare in una cristalliera, delicata e diafana, perché qui batte alla porta robusta e impetuosa. Robert Schumann, abile tessitore di antitetici stati d'animo, sa anche come miscelarli tra loro nel medesimo pezzo, il risultato è sempre quello di un'estrema originalità, la sua è una musica immediatamente riconoscibile tra mille. Il dodicesimo "Mit humor" è un'esuberante Polka che trasuda sarcasmo e arroganza da ogni nota, guizzante nelle repentine quattro biscrome e la perentoria chiusa con la semiminima accentata. Sono quelle stesse biscrome che, trasfigurate nel senso, diventano diafano tappeto alla battuta tredici e seguenti, spostate nel registro più acuto. Medesimo sarcasmo troveremo più tardi in Johannes Brahms, ma che con lui diventa ancora più marcato e a tratti quasi rabbioso, nella dolorosa constatazione di un'epoca romantica in via di disfacimento. E di forte sapore brahmsiano è il tredicesimo brano "Wild und lustig", dalle suggestioni vagamente magiare, anticipazione di una temperie massiccia e drammatica che ritroveremo in Brahms nell'ottava delle quindici Variazioni su un tema di Paganini Op. 35. Tra il dolcissimo e il sognante è "Zart und singend". Il "Frisch" appare ancora brahmsiano e insieme chopiniano (nello "Schluss" centrale); ci avvicina alla fine di questa profonda ed enigmatica composizione, da mettersi tra i più alti capolavori della letteratura pianistica di ogni tempo. Preceduto dal visionario "Wie aus der Ferne", giunge il finale "Nicht schnell (non veloce)" che ha una tonalità d'impianto diversa da quella iniziale: do maggiore a fronte di sol maggiore. Singolare che una composizione così ardente si concluda, enigmaticamente, con un brano così tranquillo e breve, appena un minuto e mezzo di musica dal contenuto armonico però inquietante, quasi un monito a non lasciarsi ingannare dalle apparenze.

 

 

IL VISIONARIO

 

 

Grande importanza riveste la letteratura nella vita di Robert Schumann. Lui stesso fu prestigioso scrittore, prima nella rivista Allgemeine Musikalische Zeitung (dalla quale fu messo alla porta nel 1831) e poi nella sua Neue Zeitschrift fur Musik. Intimo e raffinato il suo lascito con i Diari e l'Epistolario. Le sue frequentazioni con le opere di letterati del calibro di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, Friedrich Schlegel, Jean Paul Richter e Ernst Theodor Amadeus Hoffmann dettero ottimi frutti, stimolando l'immenso musicista che era in lui. Da Jean Paul e il ballo mascherato dell'ultimo capitolo dei Flegeljahre (Anni acerbi) scoccò la scintilla per quel capolavoro di sublime poesia che è Papillons Op. 2. Le figure dei fratelli gemelli Walt e Vult si tramandarono negli pseudonimi di Florestano ed Eusebio, fedele specchio della doppia anima di Schumann. Ne "Le sofferenze musicali del maestro di cappella Johannès Kreisler", il primo dei frammenti di Kreisleriana, E.T.A. Hoffmann creò la figura di questo "Kappellmeister", immaginario compositore "alter ego" dello stesso autore. Una sorta di genio musicale combattuto tra visioni celestiali e impulsi demoniaci che conquistò completamente Robert Schumann, tanto da riconoscersi con lui al punto tale da dichiarare: "Di tutte le composizioni degli anni attorno al 1838, Kreisleriana mi è la più cara". Forse il suo più autentico autoritratto, dove l'esaltazione fantastica romantica giunge al culmine. In questa composizione si abbandona il concetto del Charakterstücke per passare alla Fantasia, tipo di composizione più ampia e articolata, basta guardare la stessa durata dei brani per rendersene subito conto (nel CD "Sehr innig" dura sette minuti e quaranta secondi).

 

Un autoritratto che spande luce confondendosi con quello di Maurizio Baglini, virtuoso d'eccellenza, che nella fantasia d'apertura "Ausserst bewegt" ha modo di mostrare la sua superba tecnica di dito. Dove altri sarebbero in difficoltà, lui stacca un tempo molto veloce sulle terzine di semicrome. L'effetto è quello di un drammatico vortice che aggredisce l'ascoltatore in tutta la sua irruenza. Molto più disteso il successivo "Sehr innig", brano di ampio respiro e articolazione tematica (A-B-A-C-A). È musica che sembra scaturire di getto dal cuore del compositore, non influenzata da sovrastrutture ideologiche, foriera di quella libertà erratica che solo il più puro "phantasieren" romantico può generare. Tra i due temi lenti sono inseriti due Intermezzi dal tempo più mosso, Sehr lebhaft (Molto vivace) ed Etwas bewegter (Un po' più mosso), un assorto Adagio conclude questa seconda fantasia. Anche "Sehr aufgeregt (Assai concitato)", parte in uno stato d'intensa agitazione emotiva, si distende nel meditativo "Etwas langsamer", un fiore viola tra due abissi, per poi concludersi con il Tempo I, che risulta, se possibile, ancora più tumultuoso nella parte finale, dove si scende a gran velocità verso il fondo del precipizio. Il quarto "Sehr langsam (Molto lento)", nel primo episodio in si bemolle maggiore (A) ha l'austerità di un corale bachiano, la profonda tristezza si scioglie in squarci di sereno nel centrale Bewegter (Più mosso), anch'essa dall'ampio respiro espressivo. Misterioso è l'incipit della quinta fantasia "Sehr lebhaft (Molto vivace)" che si distingue per l'andamento molto volubile, dove il secondo tema strizza l'occhio a Chopin. L'episodio ritornerà come penultimo del complesso schema (A-B-A-C-D-C-B-A) mentre il finale è rappresentato dal ritorno al primo sibillino tema.

 

Poesia purissima è il "Sehr langsam". La partitura indica "Durchaus leise zu halten (Da mantenere abbastanza silenzioso)", atmosfera che viene improvvisamente spezzata alla sesta battuta e preparata dal lampo di luce sinistra dell'ultima croma in "f" della quinta misura, cui seguono le veloci quintine di biscrome alternate alle semiminime, delle autentiche sferzate che però subito si spengono per lasciare che il racconto prosegua nella calma iniziale. Le quintine allora, che prima erano scudisciate, ora diventano tenerissime carezze. Solo un genio immenso come Robert Schumann poteva avere un tale controllo della materia sonora, da plasmare a proprio piacimento. Pure qui regna la mutevolezza, la capricciosità degli stati d'animo, come avviene in "Etwas bewegter", un breve inciso che ristabilisce la serenità prima di pervenire al finale, via via svanente verso il silenzio. Il vorticoso "Sehr rasch" presenta un bizzarro fugato al centro. "Schnell und spielend (veloce e scorrevole)", pezzo finale, che facile non dev'esserlo affatto per l'interprete, già ampiamente "stressato" da una partitura così ricca d'imprevisti e lampeggianti sbalzi d'umore che si distendono in un'andatura a elastico. Siamo di fronte a una spettrale galoppata nel buio, martellante e angosciante, dove i due intermezzi centrali sembrano lasciare un po' di respiro prima che la Kreisleriana finisca nel presagio del buio dell'anima e di un'incipiente follia. Maurizio Baglini, come l'autore di questi capolavori, traccia a sua volta il proprio autoritratto, dà prova di un'adesione pressoché perfetta ai moti d'animo che hanno alternatamente tormentato o esaltato Robert Schumann. Lo fa con un virtuosismo scattante, grande attenzione alla partitura. La sua camaleontica capacità di adattarsi ai più instabili frangenti espressivi ha del sorprendente. Ma soprattutto suona con un'assoluta convinzione della grandezza del messaggio che portano quelle note, tanto da consentire che i suoi tratti si sovrappongano a quelli del compositore tedesco in un unico, grande autoritratto.

 

 

Alfredo Di Pietro

 

Febbraio 2018


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