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 Irene Veneziano Minimizar

 

 

E' strano come nella vita certe cose si combinino.

Galeotto è stato l'incontro a una mostra audio di un distinto signore, una cordiale stretta di mano e un regalo: un vinile 180 grammi a 45 giri di una giovane pianista di cui ignoravo l'esistenza. Un dono con la promessa di un attento ascolto, confidando (bontà sua) nella finezza delle mie orecchie di audiofilo.

"Non sono in molti ad averlo... finora" mi dice il misterioso amico che preferisce rimanere nell'ombra, "Lei è il terzo e tra tutti quelli che c'erano al Milano Hi Fidelity ho scelto lei perché, a mio giudizio, era la persona dotata di passione più genuina". Avverto un moto di soddisfazione mista ad orgoglio, perché nasconderlo? Il suo volto è quello di una persona sincera, pulita, le sue parole disinteressate, un semplice amico di famiglia che si è mosso sulla spinta di un'ambizione personale, insieme al desiderio di dare una mano a una giovane musicista, oggi non più solo una promessa ma una star di livello internazionale.

Si schermisce, quasi a minimizzare il suo ruolo. Mi racconta che nel 2007, sinceramente stufo della qualità audio di molti CD, approfittando di un amico da sempre nel mondo Hi Fi e realizzatore di registrazioni semi professionali, ha pensato di farsene fare una che seguisse i principi introdotti dalla Mercury negli anni '50. Tre microfoni e nessuna manipolazione. Con orgoglio parla di un LP Hi End, prodotto a partire dalla registrazione nativa 24/96 sempre senza manipolazioni di sorta. E che fatica convincere gli addetti ai lavori a non equalizzare, comprimere, riverberare...!

Gli brillano gli occhi mentre lo dice, ora sono definitivamente convinto di avere davanti un vero appassionato. Vivaddio!

Accetto con piacere il disco incellophanato, lo prendo in mano e leggo: "L'alba di Irene Veneziano", nella foto appare la pianista concentrata a suonare il suo strumento. Leggo le note di copertina, il curriculum mi dice che tra le mani ho la musica di una signora interprete. Scorro il suo racconto, breve ma vissuto, della storia di questa registrazione, sento tanta freschezza e giovanile spontaneità nelle sue parole. Irene palesa una personalità dalla sincerità quasi disarmante, non esita a confessare la presenza nella registrazione (live) di piccole imprecisioni e qualche trillo che oggi farebbe di certo meglio. Apprezzo e mi chiedo quanti musicisti avrebbero dichiarato quelle piccole falle e quanti ascoltatori soprattutto avrebbero avuto la capacità di coglierle.

Non credo che Irene sia una fanatica dell'Hi Fi ma ha saputo raccontare stupendamente l'incanto che si prova davanti a una registrazione e un impianto di alto livello. Il racconto trascolora in vari stati d'animo, passando dal nervosismo emerso nel corso della ripresa: "Cominciavo persino a sentirmi un po' irritata dal fatto che stavo perdendo del tempo prezioso che avrei invece potuto dedicare alla prova del pianoforte e dell'acustica" alla soddisfazione del buon esito della serata: "La serata andò piuttosto bene, e della registrazione quasi mi dimenticai" sino alla sorpresa di un ascolto magico: "Diffidente, cominciai ad ascoltare e... rimasi senza fiato! Se chiudevo gli occhi, il pianoforte era lì davanti a me avvolgendomi con un suono rotondo e pieno, e lo sentivo tutto, con la sua arpa di ghisa, il calore del suo legno e l'aria che vibrava attorno allo strumento. Non mi era mai capitata una cosa del genere!

Chissà... forse Irene era un audiofila e non lo sapeva, certo è che in poche parole ha saputo descrivere la magia di una riproduzione ad alto livello, forse in maniera più efficace di un consumato recensore.

Ora conservo gelosamente il disco nella mia collezione, una perla che ogni tanto ascolto ammaliato dalla limpidezza del suo suono.

 

 

VENERDI' 15 NOVEMBRE 2013

CRONACA DI UN CONCERTO

I giorni passano veloci, sei, il lasso temporale che separa l'incontro al Milano Hi Fidelity dal concerto allo Spazio Socio-culturale “Antonio Bertolini” di Milano.

Raggiunta la location entro in un'ampia sala, il suo aspetto è semplice, essenziale, quasi dimesso l'arredamento, da auditorium di oratorio per giovani.

Sul palco c'è un pianoforte a coda Kawai, tra un po' tutto scomparirà per lasciar posto a un'atmosfera tra sogno e realtà, nel segno della musica.

Irene Veneziano entra da una porta laterale, indossa un bel vestito da sera nero con delle ampie rouge. E' lei la protagonista della serata, con andatura sicura si appressa al pianoforte, dopo aver salutato il pubblico con un grande sorriso. Irene ha il dono dell'immediatezza espressiva, la sua sola presenza fisica stabilisce subito un clima accogliente, invita il pubblico a godere della musica con spontaneo abbandono. Bisogna solo lasciarsi andare ed entrare in sintonia con le note, sembra suggerirci.

Appena sedutasi sulla panchetta la sua espressione cambia, il lineamenti diventano determinati, tesi a raggiungere quella concentrazione necessaria ad affrontare delle pagine pianistiche certamente impegnative. Quello sguardo che da amabile muta in risoluto ci insegna che occorre tanta forza per esprimere al meglio una partitura, le idee che hanno mosso il compositore nell'atto del creare. La grande musica è un universo di sensazioni, sentimenti solari, brillanti ma anche sottili, a tratti nostalgici. Un interprete è chiamato a formare una speciale alchimia, riportarle in vita con un atto di magia per trasmetterle intonse all'ascoltatore.

Dal cuore ai cuori, diceva il sommo L.V. Beethoven...

L’apertura è rivolta alla Sonata V in do maggiore di Baldassarre Galuppi. Alle prime note la fisicità della sala sparisce, mentre gli spot fanno brillare la figura della pianista sul palco, il suo sottile gioco di dita sembra una danza sulla tastiera. Lo spunto iniziale è sicuro, Irene sa bene cosa fare e come ottenerlo, le mani esperte controllano con sapienza agogica e dinamica in una lettura analitica ma non fredda, ricca di quella gaiezza sostenuta e della verve caratteristica del compositore veneto. L'arte pianistica di Irene Veneziano mostra presto la sua indole elegante e flessibile, sfugge a ogni tentativo classificazione grazie alla sua duttilità. Lo stile melodico di Baldassarre Galuppi si coglie omogeneo, pervaso di un'attraente carica seduttiva.

La disinvolta scrittura del compositore di Burano lascia il posto alla composizione di un grande del novecento italiano. Ora Irene sembra non percuotere ma quasi accarezzare i tasti. La fascinazione sonora del Notturno per pianoforte di Ottorino Respighi si spande nell'aria, trasportando l'ascoltatore in una dimensione di puro incanto. Pennellate misteriose che germogliano nel cuore della notte, larghe volute di pensieri che si stemperano nelle tenebre. Virtuosismo non significa solo agile scioltezza, capacità di affrontare con nonchalance i passaggi più impervi, ne esiste uno forse anche più difficile che si risolve nel ricamare un sognante intreccio armonico, come se le note rimanessero sospese nell'aria. Il rischio che si corre in questo brano è di cadere nello sdolcinato, ma Irene non è certo pianista da indulgere in queste tentazioni. Lei riesce a mantenere un ammirevole equilibrio tra ragione e sentimento. La sua lettura è sempre lucida, non si sbilancia su toni esageratamente declamati, domina con saldezza la materia musicale sviluppando una visione coerente, sorvegliata e proprio per questo efficace.

Di quale tempra sia dotata la nostra giovane pianista appare chiaro nell'esecuzione del brano di Enrique Granados "El amor y la muerte", Balada from Goyescas. Messo da parte il diafano intimismo del notturno, Irene si esibisce in un'interpretazione veramente di fuoco. La Goyescas Op. 11 è una suite per pianoforte scritta nel 1911 dal compositore spagnolo, ispirata dai dipinti di Francisco Goya.

La scrittura pianistica è qui complessa e difficile da padroneggiare, richiede sia un elevato grado di destrezza tecnica che grande potenza. L'esprit vigoroso e passionale non intimorisce Irene che anzi sembra trovarsi a proprio agio sfoderando una grinta insospettabile. Il gesto si fa ampio, intenso. L'eloquio prende forza, gli sbalzi dinamici come le improvvise accelerazioni vengono sottolineati con energia, quasi con rabbia nei passaggi più impetuosi. Irene ha dalla sua un'ampia tavolozza di colori e stati d'animo, dimostra di saper padroneggiare con efficacia non solo la grazia ma anche la forza bruta.

Inflessioni più salottiere si affacciano nella Fantasia su temi d'opera di Giacomo Puccini. Della cameristica suite di Puccini si apprezza il morbido intimismo dei tempi lenti, i luminosi squarci melodici, le sonorità pastose in un coinvolgente susseguirsi di indimenticabili armonie. Irene Veneziano dà prova di sicura classe, perfettamente calibrato è il suo cantabile, impreziosito da una notevole quanto personale gestione dell'agogica che esalta e sottolinea ogni più piccola nuance. Una perla via l'altra, ognuna restituita con rara raffinatezza.

Nel corso del recital si delinea il temperamento di un'artista che sfrutta le sue risorse senza mai indulgere a un esibizionismo fine a se stesso. A tratti quasi parsimoniosa, mai invadente, penetra nella sensibilità dell'ascoltatore con discrezione e una sensibilità tutta femminile. Nel rispetto della scrittura e dell'autore, lascia che sia la musica a imporsi con la sua forza. Quando i maestri arcieri Zen praticavano la loro arte non dicevano "Io sto scoccando il colpo" ma "il colpo sta scoccando".

Gran finale con la Suite da “Lo schiaccianoci” di Tchaikovsky/Pletnev. Il carattere di questo brano, poco suonato nei concerti probabilmente a causa della sua difficoltà tecnica, è eminentemente virtuosistico. Il pianoforte di Irene canta con voce argentina, i passaggi di agilità vengono affrontati con grande sicurezza, la brillantezza della scrittura non risulta mai appannata, lo smalto di questa trascrizione veramente impegnativa è conservato dall'inizio alla fine. Lei la trova intrigante perché in grado di mettere in risalto tutte le qualità del pianoforte e allo stesso tempo l'assortimento dei colori orchestrali nel gioco tra i vari strumenti. La Suite non si risolve in un mero susseguirsi di virtuosistici brani ad effetto, piuttosto viene offerta al pubblico una lettura che fa leva sulla naturale musicalità dell'interprete.

C'è nobile grazia, in certi momenti concitazione. Nella "Danza della fata confetto" Irene sa estrarre dal pianoforte un suono cristallino, perlaceo, in altri momenti rimango affascinato dal suo controllo della tastiera negli ardui passaggi di contrappunto disegnati dalla mano sinistra. Irene Veneziano è un'artista vera, autentica, lontana da ogni forma di divismo. Amabilmente umile ma allo stesso tempo determinata, trae la sua forza da una naturale musicalità e da un'inesauribile varietà d'accenti, sempre accompagnata da una singolare abilità nel gestire il suono e il silenzio.

 

Il concerto è finito. Il bel volto di Irene Veneziano si distende in un largo sorriso...

 

 

INTERVISTA A IRENE VENEZIANO

Alfredo Di Pietro: Di solito i ringraziamenti si fanno alla fine ma io voglio farteli subito per aver accettato di rilasciarmi questa intervista. Probabilmente è una domanda che ti hanno fatto tante volte: com'è nata in te la passione per la musica? Puoi raccontarci i tuoi primi passi da musicista, magari aggiungendo dei particolari di cui non hai mai parlato?

Irene Veneziano: Grazie a te, è davvero un piacere! Ho iniziato a suonare un po’ per caso a nove anni. I miei genitori non sono musicisti e non so neanche perché io abbia scelto tra tutti gli strumenti proprio il pianoforte. Mi dicono che da piccolina mi incantavo di fronte ai suonatori di strada e conservo ancora un disegno in cui con la scarsa fantasia di una bambina di 4-5 anni viene rappresentata la casa del futuro: ai mobili quasi identici a quella della mia vera casa si aggiungeva, inspiegabilmente, un pianoforte dagli strani bottoncini e coperchi. Mi stupisce come io abbia completamente rimosso il ricordo delle prime lezioni: so solo che ho sempre posseduto una grande velocità di apprendimento. Ricordo ancora quando ai primi concorsi musicali altri ragazzini mi chiedevano quanto studiassi e, notando la loro incredulità alla mia risposta, avevo cominciato ad aumentare le mie ore “ufficiali” di studio per non sentirmi in imbarazzo! L’amore per la musica è poi cresciuto sempre più col passare del tempo, fino a diventare una passione insostituibile. Tuttavia ricordo chiaramente un momento cruciale di questo percorso: quando avevo circa quindici anni suonando un pezzo di Chopin ho sentito un’emozione così intensa e diversa dal mero piacere di suonare che invece aveva caratterizzato la mia infanzia, da non volerne più fare a meno.

A.D.P.: Nonostante la giovane età hai un curriculum da far tremare le vene ai polsi, porti avanti un'intensa attività concertistica in tutto il mondo. Come se non bastasse sei docente di pianoforte principale presso il Conservatorio “A. Scontrino” di Trapani e membro onorario Beijing Bravoce Music Club. Dove trovi l'energia per fare tutte queste cose?

I.V.: Spesso i miei ritmi sono molto serrati e svolgo molte attività. Ma ciò che di solito stupisce maggiormente è l’assoluta concentrazione che riesco a mantenere in ognuna di esse: che siano due esibizioni quasi consecutive o la nona ora di lezione in una stessa giornata. Sono una persona con moltissima energia e ho sempre avuto l’esigenza di fare molte cose contemporaneamente. Ma l’amore e la passione che provo per suonare e per insegnare sono il mio motore, la mia carica inesauribile: mi permettono di dimenticare la fatica.

A.D.P.: Marta Nadzieja ha detto di te "Irene Veneziano è una pianista che non ha paura del silenzio e in esso pone il fondamento della sua forza pianistica". Trovo particolarmente calzante questa osservazione. Ero presente al concerto che hai dato a Milano il 15 novembre 2013 e, tra le altre cose, sono rimasto affascinato dalla tua ispirata gestione dell'agogica. Ritieni che in musica, come in teatro, un tempo sbagliato può irrimediabilmente rovinare la magia di un brano musicale?

I.V.: Assolutamente sì. Gestire il tempo, la velocità, l’agogica e soprattutto le pause e i respiri è uno dei compiti più ardui per un musicista e anche uno tra i più importanti. Un passaggio musicale può perdere completamente la sua tensione e forza emotiva se i vari elementi che ne producono il climax non sono perfettamente coerenti e conseguenti tra di loro (per esempio se un crescendo arriva troppo presto o una velocità si fa eccessiva in tempo troppo breve); oppure se il musicista non dà alla musica il giusto “respiro” e “spazio”, l’esecuzione risulta immediatamente affrettata e spiacevole. È molto difficile controllare questo aspetto perché l’adrenalina dell’esecuzione pubblica porta spesso a non avere una corretta percezione del tempo (il cuore batte più velocemente). Per quanto mi riguarda avverto che attualmente riesco a gestire meglio questo aspetto: si tratta di un traguardo frutto sia di una naturale evoluzione musicale che anche di un preciso studio. Per questo motivo ritengo la frase di Marta Nadzieja uno dei più bei complimenti che mi siano mai stati rivolti.

A.D.P.: Qual è l'autore che preferisci, quello che interpreti con maggior piacere?

I.V.: L’autore che preferisco è il polacco Fryderyk Chopin. Ho da sempre avuto un “debole” per la sua musica, ma il mio amore nei confronti delle opere di questo compositore è cresciuto ulteriormente durante la preparazione del Concorso Internazionale F. Chopin di Varsavia a cui ho partecipato nel 2010. Sento che quando suono le sue composizioni parlo con la mia lingua e il suo “cuore” è anche il mio.

A.D.P.: Oltre ai tuoi recital da solista, suoni stabilmente in duo con il flautista Andrea Griminelli e spesso collabori con altri musicisti, comprese formazioni cameristiche come il quartetto Terpsycordes. Nel gennaio 2011 ha debuttato al Teatro Alla Scala di Milano, con grande successo di pubblico e di critica. I tuoi rapporti con gli altri musicisti sono sempre facili o ti capita talvolta di avere delle divergenze interpretative con loro?

I.V.: Sono una persona molto elastica: di solito vado d’accordo con tutti i musicisti con cui collaboro, anche quelli con i caratteri più difficili, che accetto così come sono cercando di adeguarmi. Quando in un gruppo cameristico si creano delle divergenze dal punto di vista interpretativo si cerca di venirsi incontro in modo che, nonostante qualche compromesso, tutti i componenti si possano sentire a loro agio. Certamente la meraviglia della musica da camera si realizza quando i musicisti sono completamente in sintonia: se accade, non servono parole per mettersi d’accordo perché la musica si crea da sola nel modo più naturale ed è pura magia.

A.D.P.: La conquista della semifinale al prestigiosissimo "Piano Competition F. Chopin" di Varsavia nel 2010 è stato sicuramente uno dei momenti più alti della tua carriera di artista. Come ricordi quei momenti e come sei riuscita a vincere l'emozione di salire su un palco così illustre?

I.V.: Per me esiste un “a.C.” (“avanti Concorso Chopin”) e “d.C.” (“dopo Concorso Chopin”)...! Il concorso è stato davvero durissimo. Le preselezioni iniziano l’anno precedente e il programma da preparare è estremamente lungo: si accumula dunque un enorme stress con l’avvicinarsi delle quattro prove principali del concorso. Durante le selezioni sembra di cadere in un buco nero: a mano a mano che si procede con l’eliminazione, il programma diventa sempre più lungo e difficile mentre il tempo per prepararsi è sempre più ristretto a causa del minor numero di partecipanti che si esibiscono! Prima di ogni prova si viene chiusi in una stanza con un pianoforte per un’ora: attesa quasi straziante, interrotta solamente dall’arrivo dei fotografi (che non aiuta a rilassarsi). Entrati sul palco dell’enorme sala e intravisti i sedici giurati (come non notare la capigliatura di Martha Argerich?) ci si siede al pianoforte e si sentono addosso gli occhi del pubblico ma anche delle telecamere che trasmettono in diretta internet e tv tutte le prove. Ti lascio immaginare a che livelli può arrivare la tensione.. Tuttavia questa esperienza mi ha estremamente fortificato ed è stata fondamentale per la mia crescita musicale e umana.

A.D.P.: Da infermiere che presta servizio in un reparto di Hospice, il fatto che  tu sia consulente artistico della stagione concertistica nelle oncologie “Donatori di musica” mi rende la tua figura particolarmente simpatica. Musica e malattia, come vedi questo binomio? Davvero questa arte è in grado di farsi medicina per l'animo di una persona affetta da un tipo di malattia così grave?

I.V.: La musica ha un potere che neanche immaginiamo. È un’arte che senza parole ti trasporta altrove e ti riempie il cuore e la mente di emozioni. Solo un’altra cosa ha questo stesso potere: l’amore! Quanto fa bene l’amore? È provato scientificamente che il corpo moltiplica il suo potere di autoguarigione se l’atteggiamento di un malato è propositivo, attivo, fiducioso; per non parlare delle numerosissime malattie fisiche di origine psicosomatica. Non solo l’amore e la musica possono far bene ai malati dal punto di vista fisico (partendo dal lato psicologico), ma soprattutto migliorano la qualità della vita di un malato. Nelle oncologie ho visto sguardi di persone affrante, scoraggiate, tristi, depresse: è facile abbattersi quando si viene travolti da un male che non si merita e che ti mangia l’esistenza da dentro... Ma non potrò mai dimenticare la luce, la speranza, la vita che ho visto in quegli stessi occhi dopo un concerto...! La musica aveva fatto viaggiare quelle persone rinchiuse in camere di ospedale, le aveva riempite di amore, le aveva convinte che la bellezza continua a esistere e che vale sempre la pena continuare a lottare con fiducia e speranza.

A.D.P.: Nonostante i numerosi riconoscimenti internazionali e la recente trionfale tournee in Perù, mi sembri una persona di grande umiltà e disponibilità, molto distante dal divismo ostentato da certi interpreti. E' il tuo segreto, la tua forza o lo consideri semplicemente un tratto naturale della tua indole?

I.V.: I miei splendidi genitori mi hanno trasmesso il valore dell’umiltà e una certa “semplicità” ha sempre fatto parte del mio carattere. Nel tempo ho dovuto trovare un equilibrio tra una modestia addirittura eccessiva e il riconoscimento delle mie qualità: la sicurezza e l’autostima sono fondamentali per suonare con grinta; d’altra parte la troppa considerazione di sé può entrare nell’esecuzione e l’ascoltatore può percepire ostentazione e insincerità.

 

A.D.P.: La vita da musicista non deve essere certo facile, bisogna studiare, studiare e poi ancora studiare, fare lunghi viaggi e affrontare la tensione prima di ogni concerto in tutti i palchi del mondo. Come riesci trovare il giusto bilanciamento tra vita privata, i tuoi affetti più cari e il turbinio di eventi della tua carriera concertistica?

I.V.: È molto faticoso ottenere questo bilanciamento. L’attività concertistica porta a essere spesso lontani da casa e dagli affetti, ma soprattutto può esigere una concentrazione così alta da far cadere il musicista in una sorta di isolamento dal mondo esterno: una dimensione in cui tutto è incentrato su se stessi e la musica, e di cui nemmeno ci si rende conto. Poiché riconosco che a volte è capitato anche a me, mi impegno affinché questa passione un po’ invadente non si prenda maggiore spazio di quello che dovrebbe avere.

 

A.D.P.: Hai detto nel corso di un'intervista: "La musica mi fa essere una persona migliore: mi fa crescere e mi permette di conoscere sempre di più me stessa. Mi rende umile, mettendomi di fronte ai miei limiti. Mi rende migliore per gli altri". La considero una dichiarazione d'amore, un invito alla riflessione rivolto a giovani e meno giovani e un modo perfetto per definire il tuo percorso di artista.

I.V.: E lo è! Anni fa non avrei mai potuto immaginare quanto la musica sarebbe diventata importante per me: dal punto di vista umano ancora più che professionale. Essa ha migliorato la qualità della mia vita: è per me uno strumento di continua ricerca, riflessione, approfondimento, conoscenza, crescita, piacere. Mi sento così fortunata!

A.D.P.: Consentimi un'ultima domanda Irene, forse inopportuna considerata la tua giovane età: c'è un qualcosa che avresti voluto fare e che non sei riuscita a realizzare? Un sogno riposto in un cassetto di cui ha perso la chiave?

I.V.: Non ho nessun sogno perduto perché scelgo di vivere cercando di realizzare tutto ciò che possa rendermi felice e soddisfatta, ma anche con la convinzione che se non ottengo ciò che mi ero prefissata probabilmente era così che le cose dovevano andare. Cerco di affrontare ogni evento con la massima serenità possibile, apprezzando ogni piccola cosa e scegliendo di stare bene a prescindere da ciò che ottengo o possiedo.

Alfredo Di Pietro

Giugno 2014


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