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venerdì 19 aprile 2024 ..:: Intervista al maestro Francesco Libetta ::..   Login
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 Intervista al maestro Francesco Libetta Riduci


 

 

Alfredo Di Pietro: Maestro, la prima domanda è semplice e diretta: quando e come ha scoperto questa sua grande passione per la musica e il pianoforte?

Francesco Libetta: A volte è impossibile rispondere a una domanda sull'infanzia anche in apparenza così semplice, perché è pensata e impostata secondo un pensiero da adulto. Una caratteristica della nostra infanzia è che semplicemente non esiste qualcosa che sia stata "prima". Scoprire il pianoforte significa averlo prima ignorato. Io posso dire qualcosa sui miei primi ricordi legati al pianoforte, ma non potrei dire che prima di quelli io non lo conoscessi o non mi attraesse. Il pianoforte era nella casa di molti miei cugini, a casa mia si faceva o si ascoltava sempre un po' di musica. Quindi… non potrei sfoggiare un avvenimento romanzesco legato al pianoforte. Ho sempre amato molto ascoltare musica, e poi suonare, sui pianoforti delle case dei parenti, degli amici di famiglia; e non solo sul pianoforte, anche su altri strumenti. Poi, certamente, arriva un momento in cui arriva la coscienza di voler "dire" qualcosa con l’arte. Quel momento per me ha una data: uno spettacolo di balletto dopo il quale ho capito che cosa avevo sempre voluto ottenere dalla musica (non ero nelle condizioni di cambiare disciplina). Era un gala di coreografie classiche (Petipa) e moderne (Bejart). Nulla del paludato stile concertistico della provincia italiana negli anni '80. Gli artisti (francesi) avevano alle spalle una energia straordinaria. Da allora l'arte somma di Sylvie Guilleim, e anche il brio di Dupont, hanno avuto su di me la più grande influenza.


DPA: Non glielo dico per piaggeria o per "captatio benevolentiae", ma lo considero un puro dato di fatto: sono persuaso che lei sia uno dei più fenomenali talenti pianistici oggi in circolazione. Nei video, nei concerti dal vivo e nelle registrazioni discografiche emerge in lei una straordinaria naturalezza di approccio allo strumento, tecnica strabiliante, estrema sensibilità coloristica e una capacità superiore di legare i vari frangenti espressivi di una composizione in un unico respiro. Crede nel concetto del pianista baciato da Dio oppure ciò che si dimostra sulla tastiera di un pianoforte ritiene sia frutto di un durissimo lavoro quotidiano, raggiungibile più o meno da chiunque lo voglia fortemente?

FL: Dono del Cielo, oppure duro lavoro. Le due cose sono perfettamente compatibili. Perché dobbiamo usare una disgiuntiva: "oppure"? Se Dio consegna un talento, la prima cosa che si fa è farlo fruttare, cioè lavorare. Chi non è capace di lavorare pensa che si tratti di un lavoro duro; ma se in realtà tutti i lavori sono duri quando sono fatti controvoglia, è anche vero che tutti i lavori sono piacevoli quando a spingere all'azione c’è una forma di amore.
Io credo anche nei pianisti dotati da Madre Natura di tutte le doti necessarie, i quali hanno lavorato moltissimo, e che poi amano ostentare a chi li osserva una natura oziosa, e una vita da vacanzieri. Ho alcuni amici così, e trovo che siano pose molto divertenti, a volte autoironiche ma… non è vero niente. Bisogna studiare.

DPA: Nella sua attività tiene anche delle masterclass. Il fatto di essere vicino a dei giovani strumentisti le dà quindi modo di poter apprezzare il "trend" pianistico odierno (se ce n'è uno) delle nuove generazioni. È oggi opinione abbastanza diffusa che le ultime leve dedichino maggior attenzione all'aspetto "meccanico", sviluppando un modo di suonare molto prestante dal punto di vista tecnico ma, al contempo, poco attento ad altri aspetti dell'interpretazione. Si sente di confermare o smentire questo giudizio?

FL: Da poco sto coordinando un progetto con grande potenziale; i corsi di perfezionamento per la Fondazione "Paolo Grassi" di Martina Franca, che ha già una ottima Accademia di canto, diretta da Fabio Luisi. Ci sono studenti molto in gamba, con i quali sono in cantiere produzioni interessanti. E con loro mi misuro su problematiche di alto profilo. Ogni nuova generazione deve fronteggiare una problematica comune a quasi ogni problema complesso: non si sa da che parte iniziare a risolvere la grande quantità di dettagli, e decidere in che ordine affrontare ognuno di questi dettagli è già avere risolto buona parte del problema.
In particolare: per un arte come quella dell’"interprete musicale, occorre conoscere molte nozioni di teoria, molte nozioni di estetica, occorre formarsi un gusto musicale, poi avere nozioni di sociologia, di mercato e di vita sociale. E bisogna avere allenamento meccanico (la cosiddetta "tecnica"), con innumerevoli automatismi relativi. Sono tutte nozioni che, a un certo punto, si scopre essere così strettamente connesse che non è possibile approfondirne una senza avere allo stesso tempo padroneggiato le altre. Un processo circolare, o a spirale, non saprei come descriverlo. Di solito ogni nuova generazione inizia con un po' di teoria e con l'allenamento meccanico, quindi si dà l’impressione citata nella Sua domanda. Sono secoli che le ultime leve sviluppano un modo di suonare prestante dal punto di vista tecnico e meno attento ad altri aspetti dell’interpretazione. Quando era una giovane leva il sommo Backhaus, veniva considerato un tecnico abbastanza noioso. Poi è diventato il vate beethoveniano.
In effetti per qualcuno a volte il percorso è diverso. Ci sono anche i giovanotti che nascono saggi e profondi, che arrivano al traguardo come seguaci di qualche moda passata. Comunque, ogni scelta ha pro e contro.

DPA: Maestro Libetta, lei ha studiato pianoforte con Vittoria De Donno a Lecce e composizione a Roma con Gino Marinuzzi. In seguito la sua formazione è proseguita in Paesi come la Francia e la Russia. Come mai, alla stregua di tanti altri artisti, a un bel momento ha deciso di dirottare la sua educazione musicale all'estero? Cosa è in grado di dare un altro Paese che l'Italia non possa?

FL: Bisogna conoscere molte cose. L'Italia è un Paese. Estero significa "il resto del mondo". Nessuno può conoscere il mondo restando a guardarlo da un solo punto di vista. Avrei viaggiato anche se fossi cresciuto a Parigi, New York o Tokyo. Non è indispensabile viaggiare nelle terre più lontane, ma di sicuro bisogna conoscere la diversità, l'inaspettato, il nuovo.

DPA: Il suo curriculum è ricco di gloria. Non sto qui a citare i numerosi riconoscimenti internazionali, gli inviti che ha ricevuto da prestigiose istituzioni concertistiche, la sua generosa attività di compositore e direttore d'orchestra. Tanta meritatissima celebrità contrasta un po' con quel suo sguardo da eterno ragazzo, semplice e affabile, mai fuori dalle righe. Cosa rappresenta per lei il successo e, soprattutto, crede che questo sia sempre correlato al reale valore di un artista?

FL: Ho appena scritto un libro di quasi duecento pagine, e alla fine, rileggendolo, mi sono accorto che non sono riuscito a dare una vera risposta. Mi arrendo.
Mi sembra che di tutte le attività, in sordina o clamorose, saltuarie o reiterate, rimanga solo qualche ricordo di posti belli ma soprattutto qualche legame con persone straordinarie. Non solo quelle che ho potuto avvicinare o con cui ho avuto contatti professionali o addirittura lavorato sul palcoscenico, come Gennadij Nikolaevič Roždestvenskij (ho seguito anche le sue lezioni al Conservatorio di Mosca, quando registrava il suo film con Bruno Monsaingeon), Gian Carlo Menotti (ho le registrazioni di un paio di concerti in cui lui mi presentava in modo impareggiabile, al Festival di Spoleto), Carla Fracci, Ida Haendel, ma anche persone delle generazioni successive come Anna Caterina Antonacci, Aylen Pritchin, Maxim Mironov, Vittorio Prato, gli amici del Balletto del Sud, tutti i colleghi del Festival che Giselle Brodsky organizza da più di venti anni a Miami. Mi piace molto avere amici sparsi letteralmente in ogni parte del mondo: A Rio, Trondheim, Singapore, Casablanca, Los Angeles, Toronto, Pechino, Tel Aviv...

 



DPA: Parliamo un po' del progetto Nireo. Nel 2003 ha fondato e presiede questa Associazione, attenta alla riscoperta di autori molto poco frequentati, se non misconosciuti. La sua attività si estrinseca anche attraverso la ripubblicazione discografica di tali compositori. Da artista "anomalo", ha scelto di distanziarsi da molte di quelle che sono considerate le convenzioni del commercio musicale. Quanto c'è ancora d'inesplorato e degno di nota nella musica, da cogliere oltre le logiche del sicuro richiamo e di certo marketing?

FL: Dobbiamo ammettere che il mercato ha le sue "leggi", e anche volendo l'Uomo non sarebbe in grado di modificarle, così come non modifica le leggi della psicologia o della Natura (è forse per questo che poi noi tentiamo di recuperare un minimo di fiducia nel potere della cultura umana modificando a ritmo serrato le leggi nazionali relative alla procedura civile o penale?). In ogni caso, se pure resta fuori dalla nostra portata una modifica del funzionamento del mercato, quelle leggi di mercato si possono studiare, conoscere, e usare per raggiungere degli scopi meritorî, come organizzare azioni culturali che generano situazioni memorabili. Ci sono impresarî celebri esattamente per aver avuto questo talento. Pensiamo a Diaghileff.

DPA: Nel suggestivo film di Franco Battiato "Musikanten", lei appare nelle vesti del ragazzo del bar. A un certo punto siede rapito al pianoforte e inizia a suonare una delle cose più difficili che ci possano essere, il ventiduesimo dei cinquantatre Studi sopra gli studi di Chopin di Leopold Godowsky (Rivoluzionario), scritto per la sola mano sinistra. Desidero porle una domanda che in realtà ne contiene due, una generica sui rapporti che ha con il cinema, l'immagine, e un'altra specifica sulla sua apparizione nel film di Battiato. Qual è il significato riposto nel simbolo dell'umile ragazzo del bar che stupisce tutti suonando questo brano?

FL: Franco Battiato mi inserì nel suo film con una intenzione simbolica precisa. La scena si svolge durante audizioni. E si presentano all'audizione personaggi molto curiosi, magari anche privi di talento. Poi, ecco che un semplice garzone del bar arriva per portare il caffè alla commissione delle audizioni, e si scopre che il vero talento ce l'ha lui. Le passioni per l'arte, i talenti, i doni e le personalità sono così. Lo diceva già Dante. Arrivano nelle situazioni familiari e geografiche meno prevedibili, o nei contesti sociali più improbabili.
Io stesso ho prodotto, come regista, diversi video, con concerti e interviste, pubblicati su DVD, trasmessi su reti televisive. Di solito metto un nome d'arte, come faccio per molti testi e altre attività. Ora sto lavorando a un vero film, di cui ho da poco girato le prime scene a Roma (nel palazzo Barberini e nelle Terme di Diocleziano).

DPA: Vorrei introdurre l'argomento discografia con una citazione. Sono rimasto davvero deliziato dall'ascolto dell'album della Tactus "Giovanni Sgambati - The complete Piano Works Vol. 7", dove lei suona insieme a un altro valentissimo pianista, il napoletano Francesco Caramiello. In questo lavoro c'è grazia, tenerezza, suprema eleganza e una classe che mi hanno davvero trasportato in un mondo d'ideale bellezza. Come considera il supporto del disco, la fissazione di una fotografia scattata in un certo momento, in relazione alla prestazione Live?

FL: Il disco è una forma d'arte specifica; una volta si diceva "nastro magnetico". Come per il web, si tratta di attività che possono avere addirittura un pubblico a sé; con carriere a sé, non sempre coincidenti perfettamente con la vita della sala da concerto. Tra il mondo del concertismo e quello della discografia non c'è esattamente il medesimo rapporto del cinema con il teatro di prosa, ma… c'è qualche punto in comune. Solo raramente si riesce a trovare una specie di punto di contatto fra due mezzi che rischiano di condizionare così tanto la tipologia di esecuzione da poter dare l’impressione di una vera differenza nella personalità dell’interprete. Ho in cantiere da tempo un disco dove raccolgo varie registrazioni dal vivo, in contesti diversi e su strumenti di natura particolarmente caratterizzata (antichi, rari, belli e brutti); il risultato è che sembra di ascoltare persone diverse. Per l'ultima registrazione che ho effettuato, grazie alla collaborazione di persone di straordinaria e sincera passione per l'arte, come Alberto Avenoso e Cristian Goracci (presidente della Sogepu, società di servizi benemerita in campo artistico), ho avuto a disposizione un pianoforte molto bello (l'unico esemplare che finora Luigi Borgato ha costruito di un modello lungo tre metri e 33 centimetri), microfoni ottimi, e un vero teatro dall'acustica piacevolissima, quello di Città di Castello. Qualcosa è stato registrato anche in presenza del pubblico. Il risultato infatti sta piacendo a chiunque ha avuto finora la possibilità di ascoltarne qualche estratto; e sarà pubblicato presto.

DPA: Ha voglia di parlare della sua attività di compositore? Come nasce, si evolve nel tempo la sua produzione e quali frutti possiamo ancora aspettarci in futuro?

FL: Sono adesso a metà del terzo e ultimo Atto di un balletto nato per essere presentato a una fondazione statunitense (infatti è ambientato a Miami). Terminato quello, riprenderò a lavorare alla Sinfonia e alle due opere teatrali che sto curando da tempo. Devo anche revisionare profondamente i miei Studî sugli Studî di Godowsky sugli Studî di Chopin, recentemente eseguiti a Roma, in vista di una registrazione video.
In questi giorni mi ha mandato il suo nuovo pezzo Orazio Sciortino. Lo ha scritto per Giulio Galimberti e me. Lo eseguiremo a Napoli tra poche settimane, a quattro mani, con le parti danzate coreografate da Stefania Ballone. Per la stessa formazione qualche mese fa Vittorio Montalti aveva scritto una nuova versione del suo Tell me a story. E ora anche Fabio Capogrosso sta scrivendo un pezzo per noi. Altri compositori di altrettale prestigio si stanno aggiungendo. E insomma, prima o poi dovrò scrivere un pezzo anche io…

DPA: Mi consenta un'ultima domanda maestro. So che esiste, rilasciata purtroppo in sole due copie a quanto mi risulta, una sua registrazione di tutta la musica per tastiera di Georg Friedrich Händel. Da qualche reperto video su You Tube, si può apprezzare l'aderenza tra il suo stile, venato di un'elegante "sprezzatura", e lo spirito di una musica così ariosa e beneducata. Auspico per un futuro, spero non lontano, la pubblicazione di quest'integrale. Ignoro le difficoltà oggettive o altri problemi che sinora ne hanno impedito la diffusione, ma sarebbe una bellissima cosa se ciò potesse avvenire...

FL: Quella di Händel è una musica meravigliosa, che proviene da un mondo bene educato, dove tutto si risolve in una armonia perfetta. Le armonie vanno difese, protette dagli attacchi esterni, o da tensioni interne. C’è veramente un mercato con leggi che tutelano queste cose così belle, fragili, soavi e armoniose, preziose e semplici?

 




Alfredo Di Pietro

Marzo 2019


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