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giovedì 28 marzo 2024 ..:: Intervista al maestro Federico Biscione ::..   Login
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 Intervista al maestro Federico Biscione Riduci


 

 

Alfredo Di Pietro: Maestro, ho la consuetudine d'iniziare ogni intervista con una domanda di rito: come quando e dove nasce la sua passione per l'arte dei suoni?

Federico Biscione: Frequentavo la prima media, avevo un professore di educazione musicale e per la prima volta ho visto la musica dal di dentro. Questa persona ci spiegava le note, gli intervalli, i primissimi rudimenti della lettura. Ho provato subito un'attrazione irresistibile per quest'ultima, come per la scrittura. A quei tempi avevo iniziato a studiare il flauto dolce. Non sono uno di quelli che è stato avviato alle lezioni di pianoforte a sette anni, come può capitare. A casa mia c'erano dei dischi, Mozart, Chopin, i miei genitori li ascoltavano ma non erano particolarmente amanti della musica, la conoscevano in modo generale, come molti. Non c'erano quindi musicisti in casa, né nonni che si dedicavano a quest'arte. L'anno dopo pregai mio padre d'iscrivermi a lezione. Ricordo ancora il libro di educazione musicale, letto, riletto e studiato da cima a fondo l'estate successiva alla prima media. Passai tutto il periodo estivo su questo libro che si chiamava "Magia dei suoni". Nel frattempo, proprio in quel periodo frequentavamo casa di mio zio, che aveva invece una vasta collezione di dischi. A quell'epoca c'erano i Fratelli Fabbri Editori, parlo della primissima edizione della loro Storia della Musica, non di quella dei cento dischi riuniti in dieci raccoglitori da dieci ciascuno. Mio zio aveva davvero tantissimi dischi. Erano sempre a 33 giri ma un po' più piccoli del normale, con la copertina bianca e la firma dell'autore. Andavo da lui e ascoltavo le sinfonie, le cose che non avevo a casa. In realtà desideravo diventare flautista, però nel paese di Tivoli, dove abitavo, non si riuscì a trovare un maestro che potesse insegnarmelo e così scelsi il pianoforte. Questo è stato l'inizio.

ADP: Giusto per prendere subito contatto con la sua musica, desidererei che lei parlasse della sua prima composizione eseguita, la Sonatina giocattolo per tromba e pianoforte del 1985. Mi sembra che questa già contenga "in nuce" i caratteri più salienti della sua poetica, parlo dell'inclinazione al fiabesco, al gioco e a un tipo di suggestione che porta l'ascoltatore verso mondi lontani. Federico Biscione è un compositore partito sin da subito con le idee chiare?

FB: Penso di si, nel senso che non ho mai cambiato direzione. Ciò che spero di aver acquisito è la profondità, la capacità, l'affinamento degli strumenti, ma l'obiettivo è stato in sostanza sempre quello, non l'ho modificato radicalmente nel tempo. Posso dire che è mutato trasformandosi la mia persona con gli anni, con la maturità, come normalmente avviene in ogni essere umano. La composizione che ha citato la considero tuttora molto bella, giocosa e spigliata, una sonatina giocattolo appunto. La collegherei con un altro mio brano: "Dalla soffitta". Dove, se non in una soffitta, si possono trovare dei vecchi giocattoli? Cambia quindi l'età del compositore, ma non le sue finalità. Non so se questo significhi avere le idee chiare, perché ignoro come queste si possano avere in musica.

ADP: Le ho fatto una domanda stupida?

FB: No, non è stupida! In verità le domande intelligenti sono proprio quelle alle quali è difficile replicare, nel senso che le risposte possibili sono dinamiche, cambiano, ma il problema rimane sempre quello.

ADP: Quella sonatina contiene già dentro di se tutte le tue idee poetiche principali, che ha poi sviluppato nel tempo?

FB: Alcune si. Ci sono delle cose che poi sono rimaste e questo discorso vale anche per un altro brano che ho composto, facente parte di un nuovo disco che uscirà a febbraio. Si tratta di un pezzo per flauto e pianoforte che ho scritto più di recente, nel 2004, più o meno all'epoca del Pifferaio Magico. Anche se non riuscissi più a comporre della musica così "semplice", la radice rimane quella.

ADP: Più vicina a noi è la Passacaglia for string orchestra del 2004, un brano misterioso che si apre con una severità quasi bachiana ma che poi sembra schiudersi a scenari più sereni e ariosi. Trovo in questo suo pezzo, come negli altri, una grande vaporosità insieme alla ricerca di una mutevolezza non destabilizzante, ma che offre i paesaggi più vari ed eventuali in una visione che rimane comunque ben coerente. Ma il compositore Biscione, al netto da probabili miei abbagli, cosa vuole in realtà suscitare nell'ascoltatore?

FB: Lo specifico dell'arte non è la stessa cosa di un trattato scientifico. Quello che secondo me si può trasmettere attraverso l'arte è il vissuto interiore, cosa che una dissertazione, per quanto importante, non trasmette in quanto avente un altro campo d'azione. Entrambi sono comunque fondamentali. È un tipo di trasferimento che ha effetto quando avviene attraverso qualche piccolo shock emotivo. L'arte, in generale, non può prescindere da uno scambio di emotività, tra l'altro il nostro vissuto interiore non è mai separato dalle emozioni che si provano giornalmente, destinate ad accumularsi e diventare costruzioni, sedimentazioni. Ma in altro momento mi parlava della sonata di Schubert  D. 959)...

ADP: Si, l'ho approfondita in concomitanza della perdita di un affetto. Soprattutto l'Andantino sostenuto, talmente simile al pizzicato di un quartetto d'archi, così scarno, essenziale, che va crudamente al dolore che tu avverti.

FB: E si, Schubert ha questa capacità. Lui rimane in qualche modo sempre apollineo. Il bello della musica è che noi adesso ne stiamo parlando ma c'è sempre un margine d'insondabile che non si riesce a cogliere, come del resto avviene per la realtà. Non è mai completamente nelle tue mani ma cambia come cambiamo noi. In qualità di compositore io intendo trasmettere non tutto di me poiché alcune cose, in realtà la maggior parte, sono abbastanza ininfluenti per chiunque; però ogni tanto trovo qualcosa che valga la pena di essere trasmesso, o almeno m'illudo che sia così.

ADP: Mi piacerebbe, ma nell'economia di un'intervista non è possibile, parlare con lei di tutte le numerose composizioni che ha scritto. Mi limito quindi a una terza e ultima citazione: il bellissimo Balletto in un atto per 10 strumenti "Il pifferaio magico", dove mi pare che il suo estro compia un piccolo miracolo di grazia, generando un racconto tra l'incantato e il fantastico. Per non parlare del felice equilibrismo tra minimalismo ed echi debussyani contenuti nelle "Previsioni del Tempo - Cinque quadretti meteorologici per pianoforte". Ma la mia domanda riguarda proprio Il pifferaio magico: può farci una cronistoria della sua genesi?

FB: Il direttore artistico del Teatro Regio di Torino, che a quell'epoca era il milanese Marco Tutino, mi chiese se avevo una buona idea da utilizzare per un balletto. Dovetti pensarci poco: quest'idea mi venne subito. Applicandomi su quale potesse essere una buona storia, mi sono un po' documentato e mi sembrò bella la vicenda del Pifferaio di Hameln. Interessante a prescindere dal fatto che ci fossero o no dei bambini, in quanto contenente dei simboli agiscono su tutti. Mi sono messo quindi a raccontarla scrivendola in pochissimo tempo, cosa che non mi succede spesso poiché fatico sempre un po' a farlo. Realizzai allora questa partitura.

 



ADP: Cosa l'ha attirata di più di questa storia?

FB: In qualche modo il suo significato universale. Tra l'altro ho modificato il finale perché nella fiaba tradizionale il pifferaio porta via i bambini per vendetta, mentre nella mia versione lui non viene retribuito per il suo lavoro, non ottiene quanto pattuito con il borgomastro e abbandona la città. I bambini però, capeggiati dalla stessa figlia del borgomastro, decidono in autonomia di lasciare la brutta città di Hameln, governata da persone indegne. Vedendo che il pifferaio stava andando via, decidono di seguirlo, viene quindi aperta questa caverna magica.

ADP: Dandogli perciò credito.

FB: Si, lo seguono perché hanno visto che è una persona rispettabile, al contrario di altri. Anzi è un mago, che riesce a incantare con la musica e tale capacità gli viene riconosciuta.

ADP: M'interessava parlarne con lei perché ho trovato diverse attinenze tra questa fiaba e l'incanto della musica.

FB: Si, in fondo è un po' un gioco di scatole cinesi.

ADP: Lei ha conseguito i diplomi in Pianoforte, Composizione e Direzione d'orchestra. Da quale di queste figure si sente maggiormente rappresentato?

FB: Sono soprattutto un compositore, nel bene e nel male, bravo o non bravo che possa essere. Credo che questa sia l'attività che più mi si confaccia. Il pianoforte l'ho suonato con passione, però a un certo punto ero attratto anche da altro. Chi suona il pianoforte, di solito non si dedica ad altre occupazioni perché l'impegno serio con uno strumento è totalizzante. Devo dire che come pianista non sono mai stato così bravo da potermi permettere di farlo lateralmente, ogni tanto mi capita ancora di suonare, anche se di rado. La direzione d'orchestra è un'occupazione che mi ha sempre attratto, ma non l'ho praticata moltissimo, un po' com'è avvenuto con il pianoforte, mi piacerebbe praticarla di più ma le occasioni sono poche. Ad ogni modo, se inteso in pianta stabile, non potrei fare veramente quel mestiere perché dovrei essere in grado di dirigere un po' tutto, cosa oggi richiesta ai direttori d'orchestra, che devono saper spaziare da Rossini a Mahler e altri autori. Io non potrei e, tutto sommato, va bene così.

ADP: C'è un video su YouTube in cui lei suona le "Previsioni del tempo - Cinque quadretti meteorologici per pianoforte" con un tocco, un fraseggio e un'espressività che mi sono apparse davvero di alto livello.

FB: A riguardo, ho intenzione di realizzare un disco di musica per pianoforte.

ADP: Quante sono in tutto le sue composizioni?

FB: Sino a ora una novantina, alcune molto brevi.

ADP: Cosa ha dato e cosa ha ricevuto nel corso della sua attività d'insegnante?

FB: L'insegnamento è un'attività molto importante e comporta delle responsabilità. È difficile, richiede una certa applicazione, non si può fare due giorni alla settimana come il conservatorio prescrive ma va pensata anche gli altri giorni. Viene automatico di non confinare quest'attività solo a quei due, certe lezioni vanno preparate con calma e tempo a disposizione. L'insegnamento mi dà un completamento, un modo di vedere se le mie idee sono giuste. Naturalmente si risolve in uno scambio con i ragazzi, dove si riceve molto, generalmente in proporzione a quello che si dà. In tal senso si tratta di una circolazione abbastanza paritetica e magari gli allievi non si rendono conto di quanto a loro volta diano.

ADP: In loro c'è forse anche la soggezione per il maestro.

FB: Può capitare, ma un certo tipo di atteggiamento nei confronti del docente è necessario, altrimenti non si riesce ad assorbire la lezione. Tornando al discorso della responsabilità, proprio per i ragazzi che sono più affezionati e devoti, bisogna stare attenti a lasciar filtrare il meglio e non delle cose in cui siamo fallaci. La questione è insomma un po' delicata.

ADP: Dal barocco al classicismo, dal romanticismo a quel complesso caleidoscopio che è il '900, quali sono le vestigia, i fasti delle passate epoche che è possibile reperire nelle composizioni odierne? Lei crede che attualmente l'arte del comporre abbia riconquistato quel tipo di musicalità negata dall'atonalismo, dalla dodecafonia e dalle più stranite avanguardie?

FB: In realtà, volendo mettere tutto nel calderone e senza l'intenzione di buttar via ogni cosa, nella musica di oggi ogni elemento è rimasto. Io stesso ho adoperato anche soluzioni tecniche che vengono da un passato piuttosto remoto. Citavamo prima la passacaglia, una tecnica antica, questa come altre secondo me si possono ancora utilizzare; il problema è sempre il come, non il cosa, vale a dire l'intenzione con cui si vuole portare avanti un progetto musicale. Ricordo che quando scrivevo la Passacaglia, mi sono posto dei problemi essenzialmente di natura tecnica, che alla fine non si direbbe poiché è dotata di una fluida musicalità. Tra l'altro rammento che, forse per la prima volta, misi particolare attenzione al raggiungimento di una certa unità dal punto di vista compositivo, usando il meno elementi possibile. Certo, si può fare quello e il contrario, scrivere un pezzo senza nessuna suggestione formale che venga dal passato, ma bisogna tuttavia capire che anche questa ha diritto di cittadinanza. Un compositore come Šostakóvič, il quale ha usato delle forme anche molto semplici provenienti dal '700 e '800, scrive dei brani cui non manca nulla. Non è che una cosa la buttiamo via per il solo fatto di provenire dal passato. Il discorso è un po' più complicato di quanto si potrebbe pensare. Credo che da questo punto di vista si è fatta nel '900 davvero troppa discussione sulle tecniche, sul mestiere e gli strumenti, sugli elementi da usare e non usare. Se si legge un articolo di critica musicale scritto da Schumann, si vede come lui non dibatta mai di tecnica compositiva, eppure la conosceva molto bene.

Non fa analisi armoniche né strumentali, ma parla solo di argomenti abili a tracciare la sua idea di musica, esprime concetti che hanno a che vedere con la sua essenza profonda. Una cosa alla quale io credo poco, ma che nel '900 ha avuto grande risonanza, è il fatto analitico. Si è spostato decisamente l'asse della discussione sul problema tecnico e questo è stato secondo me un errore, in fondo indice dei tempi. Ha contribuito a questa situazione anche un clima storico che per fortuna ora si va allentando. Nel secondo dopoguerra c'era davvero da ricostruire qualsiasi cosa. L'Europa era stata devastata, rasa al suolo anche culturalmente in una temperie intellettuale che aveva iniziato a dubitare di se stessa, per la ragione di aver prodotto un substrato che in quella cultura aveva generato gli orrori della seconda guerra mondiale. Penso tuttavia che il problema principale sia provenuto dalla prima, responsabile della grande distruzione che ha poi aperto la strada alla seconda, un conflitto terribile per la sua estensione, crudeltà e insensatezza. Si sa di generali che facevano la guerra di trincea, una cosa da pazzi, dove puoi perdere mille uomini per conquistare cento metri di terra, magari riconquistati insieme con altri cento la settimana dopo. Nel periodo post-bellico della seconda guerra mondiale si pensava fosse necessario cominciare a ricostruire da zero, anche nella musica è venuta fuori quest'idea della "tabula rasa": via la tonalità, via la forma, le frasi, le cadenze, via l'armonia e si ricomincia da zero. Si tratta però di un'illusione poiché certe cose sono talmente sedimentate nella nostra coscienza che non possono venire eluse. Ci sono e basta.

ADP: Sarebbe come far piazza pulita di noi stessi, del nostro intimo.

FB: Esattamente, dobbiamo fare i conti con il nostro passato, non possiamo fare finta che non ci sia stato. È avvenuta una sorta di rimozione forzata, come una macchina in divieto di sosta (sorride). Non credo proprio che quest'atteggiamento sia stato produttivo. Non ho la sfera di cristallo, ma sono persuaso che questa bolla si stia ormai esaurendo.

ADP: Mi consenta una piccola parentesi. Tempo fa ho scatenato delle furiose polemiche su Facebook, con apprezzamenti non certo benevoli verso la mia persona, nel momento in cui ho esternato il mio sgradimento per la musica di Arnold Schönberg.

FB: È una cosa che non si può assolutamente dire. C'è un mio amico compositore, Paolo Coggiola, che ha inventato la locuzione "Polizia Dodecafonica". L'esercizio di critica storica, che è sempre possibile fare, pare che nei confronti di Schönberg non sia consentito. Altrimenti arriva questa polizia con i suoi gendarmi a castigarti. Io stesso ho scritto un articolo dove ci sono andato giù pesante e sono stato bastonato ben bene. Non ho nulla contro il termine "ideologia", che pare oggi essere diventato una parolaccia, il quale altro non significa che costruzione sulle idee. Che c'è di male? Tuttavia, a volte non è il problema dell'ideologia a presentarsi, bensì dell'ortodossia, cioè di una linea che viene stabilita da qualcuno o qualcosa e che si deve seguire per forza, acriticamente. Nel '900, ma forse anche prima, questo è successo in tutti gli ambiti. Non solo il comunismo ma anche il fascismo aveva una sua ideologia, che aveva insieme un'ortodossia dalla quale non si poteva derogare. In fatto di musica, io trovo che ci siano stati fenomeni analoghi, anche se poi la loro matrice era di natura opposta. In particolare, l'avanguardia era stata portata avanti dalla Sinistra, almeno in Italia (ma forse anche fuori) e non se ne capisce bene la ragione. Probabilmente il motivo sta in quello che dicevo prima, nel fatto cioè che nel dopoguerra bisognava fare tutto nuovo. La Sinistra in questo caso è stata trionfante nel '900 dal punto di vista dell'appeal.

 



ADP: Ha carpito il momento giusto per imporre le sue vedute.

FB: Si, però poi si è verificata una sorta di dittatura nella musica, culturalmente parlando.

ADP: Maestro, quanto sono importanti i titoli nelle sue opere? Nella sua produzione, tanto per citarne qualcuno, ne trovo di curiosi come "Catering - Suite gastronomica per Klaviertrio", la "Flash Opera" Autopsia, "Dalla Soffitta per orchestra" o "Mamma Laser - Opera da camera per ragazzi in quattro scene". La loro eccentricità nasce dalla voglia di stupire divertendo oppure dall'estrema capacità di condensare l'espressività in un concetto?

FB: Mi diverto a trovare titoli spiritosi, che però non sono mai fine a se stessi. Tutti quelli che ha citato hanno comunque una stretta relazione con la composizione. Per esempio, nel caso dell'Autopsia uso un termine che in se e per se desta una certa inquietudine. La storia che in questa composizione viene narrata (un'opera a tutti gli effetti anche se dura solo cinque minuti), è quella di un'autopsia che alla fine non ha luogo. Catering è invece un titolo dato a una piccola suite, costituita da quattro "portate".

ADP: È interessante anche perché contiene il concetto della convivialità.

FB: Si. Fu eseguita nell'anno dell'Expo. Mi era venuta in mente perché in quest'evento si parlava molto di cibo. Mi sovviene un altro titolo di questo tipo, Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns, sottotitolato Grande fantasia zoologica. Lì ci sono gli animali mentre questa è una suite gastronomica, costituita da portate: Bollicine - Pasta al pomodoro - Il richiamo della carne - Per finire.

ADP: Mamma Laser - Opera da camera per ragazzi in quattro scene, mi ha particolarmente incuriosito. Così chiamandola ha unito il senso del materno con la luce potentissima, ma circoscritta in un punto, del laser. Mi è molto piaciuta anche la tua ironica invettiva su Jovanotti...

FB: Tutto ciò che una volta veniva considerato serio e importante è oggi diventato una barzelletta. Il tanto bistrattato concetto del professorone, no? Con questo voglio dire che tutto quanto attinente alla sfera culturale, una volta considerato importante, oggi viene del tutto sminuito. Questo non va assolutamente bene, ma non so cosa si possa fare per contrastare tale tendenza. Tornando ai titoli, questi sono importanti si e no, c'è da dire che la mia produzione ne comprende anche di tradizionali.

ADP: Si, mi riferisco a questi che le ho citato. Nel suo catalogo opere ci sono anche preludi, danze, suite, sonate: molto bella e dalla notevole complessità di scrittura quella per pianoforte in tre movimenti del 1988.

FB: Certamente. La suonavo all'epoca ma adesso dovrei studiarla da capo perché non è una cosa che viene sotto le mani facilmente. È un pezzo piuttosto lungo che è stato eseguito una volta soltanto, a parte me, e richiede un grosso impegno.

ADP: L'ho già detto, ma lo ribadisco: confesso di sgradire atonalismo, dodecafonia e avanguardie, ma di provare una certa attrazione per la stralunata ricerca timbrica di quel guru delle cerchie sufi che fu Karlheinz Stockhausen. Può il suono nella sua essenza, sostituire "ipso facto" una musicalità che deriva dall'intrecciarsi di ritmo, melodia e armonia?

FB: La risposta per me è no. Andare a catapultarsi in un'unica dimensione, in musica vuol dire fatalmente abbandonare le altre e non ne vedo francamente il motivo. Per gli spettralisti si può fare un discorso di questo genere; loro isolavano le varie componenti del suono, manipolandole anche non elettronicamente, facevano musica votata allo scandaglio del suono in quanto tale.

ADP: Ricordo una sera (avevo l'influenza) di aver ascoltato a letto Oktophonie di Karlheinz Stockhausen. Mi sono sentito come all'interno di un'astronave, dove tra le sue pareti si creava un'atmosfera completamente scollata dalla realtà. Quest'impressione mi ha molto affascinato, pur non ritenendo propriamente musica questo pezzo.

FB: Ci sono motivi di fascino anche in cose "strane". Per me ognuno può scrivere la musica che vuole ma, appunto per questo, anch'io scrivo ciò che voglio, secondo le mie convinzioni, e nessuno può venirmi a dire che è giusto o sbagliato. Nessuno sa cosa sia giusto o sbagliato, nemmeno io o un critico, per quanto grande. Non esistono persone con la verità in tasca, tanto da poter dire: "Questo non si può più fare". Nel corso del '900 ci hanno contrabbandato diversi esperimenti, ma questi sono buoni quando riescono, non è che in quanto tali debbano essere per forza validi.

ADP: Il critico Massimo Botter, in una recensione riguardante il suo lavoro "Constellations Favorables", parla di otto minuti di sospensione celeste, di un brano che andrebbe veramente ascoltato a occhi chiusi, dove ci sono slanci armonici di grande apertura, di ampio respiro. Trovo particolarmente felice questa riflessione sulla sua arte, la quale mi dà il destro per chiederle se, a oggi, sente realizzate le sue mete artistiche o si considera piuttosto inglobato all'interno di un processo in continua evoluzione che non sa bene dove può ancora condurlo.

FB: Quando penso alla mia attività, credo ci siano ancora delle cose che non ho fatto e che mi piacerebbe fare. Vediamo se ne avrò la possibilità. Spero di realizzare dei progetti inediti, composizioni nuove che ho in mente. Soprattutto in quest'ultimo periodo, mi sono dedicato a scrivere un sacco di pezzi che mi sono stati chiesti. Tuttavia, quello che si vuole scrivere non necessariamente è la cosa migliore che si possa comporre, questo lo si capisce dopo. In realtà, non so rispondere bene a questa domanda, mi auguro soltanto di scrivere delle cose che possano sorprendermi.

ADP: Un qualcosa che magari non aveva preventivato, ma che a un certo punto ti appare improvvisamente come in un "flash"...

FB: Si, questo ogni tanto succede. Ultimamente ho composto un brano che è stato eseguito a Pistoia per un organico "assurdo". Qualche volta un ensemble insensato ti spinge a fare delle cose inconsuete, generatrici di elementi originali che mai avresti pensato fossero venuti fuori. Si tratta di un pezzo per violino, violoncello, pianoforte e trio di percussioni con accompagnamento di un'orchestra di strumenti a fiato, cioè una banda. Tra l'altro sarà difficilissimo che venga rieseguito. L'organico è ampio ma inusuale in quanto composto da sei solisti, tre "normali" e tre di percussione, poi c'è la banda, che è un qualcosa di iper-tradizionale nella sua concezione. Il fatto che ti chiedano cose, anche bizzarre, ti obbliga a certe eccentricità che non pensavi di dover affrontare. Molto dipende dalle occasioni. In musica, il problema della forma nell'espressione è "Il" problema, quello che esce fuori diventa forma, la partitura lo è comunque e bisogna fare attenzione a non diventare pedanti. Bisogna combatterci, nel senso tecnico del termine, con la forma, vale a dire con un elemento del quale non si può assolutamente fare a meno. È un grattacapo che ho dovuto fronteggiare con la Passacaglia; mi sono impegnato con questa forma molto rigida, misurandomi con essa in maniera estremamente ortodossa. Questo è evidente se si guarda la partitura. Il mio modello è stata la passacaglia per organo di J.S. Bach, io però ho aggiunto anche un'introduzione e una fuga alla fine. Il basso della passacaglia è un tema di dodici note, con riferimento alla dodecafonia, una sottigliezza di cui ci si accorge appunto guardando la partitura.

Sono dodici note diverse, non veramente una serie perché in quella canonica di Schoenberg è prescritto di evitare delle combinazioni di suoni contigui che possano dare origine a una triade, poniamo, o a una combinazione consonante. Io invece non sono stato ligio a queste regole. Sono quindi dodici note differenti, ma non così atonali nella loro struttura. È proprio in questo brano che mi sono posto il problema della forma, cercando di superarlo e far nascere una cosa viva. Sono abbastanza orgoglioso di questo pezzo.

ADP: Lo trovo molto bello. Si apre in maniera bachiana. Si può essere indotti a pensare, dall'inizio, che si tratti di un brano un po' monotono, poi succedono delle cose che schiudono all'improvviso verso altri orizzonti. Lei ha, a mio parere, la grande capacità di non essere prevedibile, scontato, ma di presentare delle "sorprese" che movimentano il discorso musicale e tengono sempre viva l'attenzione dell'ascoltatore.

FB: Si, ma non è che io abbia inventato niente di nuovo. Se tu guardi alle prime battute dell'Eroica di Beethoven (siede al pianoforte), non si era mai vista una sinfonia che iniziasse con due strappate, quasi ad affermare imperiosamente la propria presenza. Il tema che segue, che alcuni dicono sia tratto dall'ouverture mozartiana de La finta semplice K 51, è subito interrotto da un elemento che crea una destabilizzazione. Io ho molto amato Beethoven e lo amo tuttora. Ritornando alla sua prima domanda, io avevo cominciato a subire questa passione per la musica che era ancora un po' generica. Una volta misi sul piatto del giradischi di mio zio il disco della Quinta sinfonia di Beethoven. C'erano anche degli stralci della partitura, che non avevo mai visti prima, e già mi sembrarono una cosa meravigliosa. Era una stampa dell'epoca. Ricordo che fu quella sinfonia a farmi sapere che avrei fatto il musicista. Non so se sarei diventato pianista o altro, l'ho saputo molto dopo, ma sicuramente quella era la mia strada. Vede come certi individui riescono a indirizzare il corso degli avvenimenti?

 



Alfredo Di Pietro

Dicembre 2019


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