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giovedì 28 marzo 2024 ..:: Intervista al maestro Andrea Bacchetti ::..   Login
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 Intervista al maestro Andrea Bacchetti Riduci


 

 

Alfredo Di Pietro: Andrea Bacchetti, il pianista che seduce le folle, quando si è accorto di avere qualcosa di speciale? Com'è nato il suo amore per questo bellissimo strumento che è il pianoforte?

Andrea Bacchetti: Di speciale non so se ho niente. Purtroppo io non ho parenti musicisti, però quando da bambino frequentavo le scuole elementari ricordo che c'erano le recite di Natale, alle quali la maestrina ci preparava. Lei aveva una piccola tastiera con la quale faceva gli accordi delle canzoni, ma siccome non era musicista, li sbagliava e a me questo dava fastidio. Da lì hanno scoperto che ho l'orecchio assoluto, cioè la capacità, quando sento dei suoni, di riuscire a individuare di che nota si tratta senza sapere chi la fa e come. Quindi dissero alla maestra di chiamare i miei genitori, consigliandoli di farmi studiare uno strumento. Allora questi mi chiesero quale volessi studiare. Il direttore del coro del mio paese consigliò loro il pianoforte perché era lo strumento più completo. Andai quindi in una scuola di musica, poi al conservatorio. Da piccolo ero considerato un prodigio poiché avevo l'istinto, improvvisavo. Il primo concerto lo diedi all'età di undici anni con I Solisti Veneti. Erano altri tempi, c'erano tanti che suonavano ma non come adesso che ce sono tantissimi e, paradossalmente, non si può più suonare per colpa del COVID-19. Inizialmente i miei mi comprarono una diamonica a bocca e io, senza conoscere nulla della musica, ripetevo le melodie che sentivo alla televisione. Fu a quel punto che loro pensarono io avessi delle qualità musicali. Questo è stato il mio inizio, erano gli anni '80.

ADP: Maestro, le chiedo di dar corpo a qualcosa forse d'indefinibile. Che traccia hanno lasciato in lei dei grandi come Karajan, Pollini, Magaloff. Come hanno contribuito alla sua crescita? Più in generale, che influsso ha in un artista come lei il "feedback" che riceve dagli altri, fossero anche dei semplici appassionati?

AB: Certamente il feedback con altre persone sensibili è molto importante ed è quello che si è perso in quest'anno che non ci lasciano lavorare. Un anno terribile! Karajan l'ho visto una volta da bambino a Salisburgo, feci con lui una sorta di audizione privata; parlava italiano meravigliosamente. Successe nel 1988, a quel tempo era già malato e appena un anno dopo sarebbe morto. Mi disse che se Dio gli avesse dato vita mi avrebbe aiutato, purtroppo ne aveva ancora poca davanti. Eseguii per lui una sonata di Mozart e lui se ne rallegrò abbastanza; era un uomo di poche sillabe. Dopo l'audizione mi portò con lui ad assistere a una prova della terza sinfonia di Beethoven con la Filarmonica di Berlino. Maurizio Pollini l'ho incontrato una volta a Pesaro nel 2000, dove tenni un concerto con suo figlio, eccellente pianista, e un altro artista. Suonammo insieme con un'orchestra che ora non esiste più. Lui venne a vederci. Conosco la sua famiglia, la moglie e anche la madre di lei, che è la contessa Marzotto. Tra l'altro questa signora è stata la compagna per molti anni di Arturo Benedetti Michelangeli. Devo dire che di Maurizio Pollini ho un ricordo meraviglioso perché è una persona che mi apparve di un'incredibile umiltà e di un'enorme educazione. Si rallegrò con me dopo il concerto, il secondo di Beethoven; ricordo che dopo siamo anche andati a mangiare insieme. Ho poi ritrovato Pollini nella giuria del Concorso Umberto Micheli, nel 2001, cui partecipai arrivando terzo nella finale, tenutasi al Teatro alla Scala. Nikita Magaloff l'ho incontrato che ero un ragazzino, nel 1990, quando a Venezia gli conferirono il premio "Una vita per la musica". Io avevo fatto un breve concerto che precedeva il suo, in qualità di bambino prodigio. Rammento che parlai con lui e sua moglie; lo vidi provare, studiare sui pezzi che aveva portato al Teatro La Fenice. Era una persona molto gentile. Poi, sempre nel 1990, qualche mese dopo quell'evento abbiamo tenuto un concerto al SettembreMusica di Torino, nel vecchio Auditorium della RAI, non però con l'orchestra RAI ma con quella del Festival Brescia e Bergamo. In quell'occasione suonammo un programma tutto mozartiano, dove Magaloff era alle prese con il K 467, poi fu eseguito il triplo, in cui io facevo la parte del terzo pianoforte insieme a lui e Alexander Lonquich, mentre alla fine fu presentato il Concerto per due pianoforti. Fu una serata stupenda, con tantissima gente presente, peccato che non sia stata registrata dalla RAI perché questa in quell'Auditorium lo fa con tutto quello che è suo, cioè eseguito dalla sua orchestra, mentre a SettembreMusica ce n'era un'altra. Non so come sia riuscito a incontrarmi con questi grandi artisti. È ovvio che sia di Karajan che di Pollini ho una venerazione totale. Magaloff è scomparso nel 1992, ho ripreso ad ammirarlo recentemente guardando YouTube, dove ci sono dei suoi bellissimi filmati, come il primo concerto di Rachmaninov.

ADP: Magaloff aveva un portamento molto nobile e, in effetti, un nobile lo era.

AB: Si, dell'aristocrazia di San Pietroburgo, in seguito di educazione francese. Davvero un grandissimo pianista.

ADP: Aveva un tocco meraviglioso.

AB: Si, assolutamente. Poi il suo Chopin era memorabile, insieme con Arthur Rubinstein è stato il suo maggior interprete.

ADP: Ho assistito al suo concerto del 20 febbraio 2016 al Teatro "G. Verdi" di Fiorenzuola D'Arda con Antonella Ruggiero. Ha senso oggi un pianista strettamente ingabbiato nel repertorio classico? L'ecletticità che la distingue, il suo passare con nonchalance da J.S. Bach a "Ti sento" dei Mattia Bazar o "Go whit the Flow" di Giovanni Allevi è un'operazione connaturata al suo sentire la musica a 360°? Davvero questa non ha steccati o compartimenti stagni? Tra l'altro lei mi sembra che apprezzi anche i gruppi progressive anni '70-'80, come gli Area.

AB: Non che apprezzi particolarmente gli Area, ma ne ho fatto conoscenza quando sono andato alla trasmissione "Nessun dorma". C'era questo Patrizio Fariselli, che non sapevo chi fosse, tastierista di un gruppo, gli Area appunto, che ho poi trovato molto bello. Per quello che riguarda la contaminazione di stili, con la signora Ruggiero il lavoro è stato molto interessante. Abbiamo collaborato un anno prima dell'evento iniziale di "Ruggiero&Bacchetti - a piano and voice", il quale si svolse a Latina nel 2015. Non conoscevo le canzoni dei Mattia Bazar, poi insieme al suo arrangiatore Stefano Barzan abbiamo portato avanti su esse uno studio molto approfondito; ne è risultata un'esperienza bellissima. Abbiamo dato diverse repliche, l'ultima quest'estate a Genova per un festival di musica non classica. Antonella Ruggiero è una persona molto riservata, non gli piace apparire in televisione o esporsi mediaticamente. Per esempio, una trasmissione come "Nessun dorma" è in grado di aprire tutte le porte proprio per il fascino che ha la contaminazione. L'abbiamo pregata in tutte le salse di partecipare, addirittura a ottobre c'era da fare un concerto per Genova al Senato dove avremmo suonato insieme, ma lei non è voluta venire.

ADP: In effetti, potrebbe sfruttare di più la sua arte.

AB: Si, anche perché ha un certo numero di appassionati che la segue. Al di là comunque del suo carattere molto schivo, immodificabile, quando va sul palco e canta è un'artista spaziale, ancora nel pieno della sua vocalità.

ADP: Nel concerto che citavo prima ho notato un'ottima intesa fra di voi.

AB: Si perché abbiamo fatto tante prove insieme. Quelle musiche sono scritte come se fossero delle composizioni classiche, ma, invece di essere melodie romantiche sono canzoni dei Mattia Bazar. Assumono quasi la veste di arie da camera.

ADP: Come dei lieder.

AB: Esattamente. Non so se ne è a conoscenza, ma da questo concerto è stato tratto il disco "La vita imprevedibile delle canzoni", uscito nel 2016 per l'etichetta Sony Classical. Non so se si trova più per l'acquisto online ma si può sentire su YouTube, per'altro non capisco perché sia stato tolto dalle piattaforme di streaming musicale.

ADP: Mi piace molto anche il suo disco "Johann Adolf Hasse Sonatas. From The Italian Manuscripts".

AB: È un CD di tanti anni fa, contiene della musica interessante e ignota. Adesso ho registrato il secondo libro del Clavicembalo ben temperato di Bach, due ore e ventuno minuti di musica. Abbiamo in realtà realizzato due integrali, una su un pianoforte Kaway Gran Coda e l'altra su un Fazioli, anch'esso a coda lunga.

ADP: E' in corso nelle giovani generazioni un nuovo modo di comunicare con il pubblico, più snello e interattivo. Penso al "format" della lezione-concerto, dove l'artista entra in contatto diretto con il pubblico. Emerge anche il desiderio di proporre nuovi repertori e autori. Vede con favore queste innovazioni, può essere un modo per coinvolgere maggiormente i giovani e rinfrescare l'interesse degli appassionati più in avanti con gli anni?

AB: Questa cosa dello spiegare la musica è sicuramente molto interessante, ma io non so farla. Infatti, quando mi domandano di fare un concerto preceduto da una "lezione", io dico sempre di non saper sintetizzare in cinque minuti uno studio che è durato cinque anni. Pianisti come Sokolov o Pollini non parlano, suonano, almeno davanti al pubblico, fuori è un'altra cosa. Per esempio, Uto Ughi parla ogni volta dei pezzi prima di suonarli. Alexander Lonquich è un altro che lo fa.

ADP: Anche pianisti come Maurizio Baglini e Roberto Prosseda...

AB: Loro si perché sono anche insegnanti, cosa che io non sono, e come tali hanno più familiarità con l'illustrare. Francamente, quando vado ai concerti, ovverosia quando si poteva ancora andare, e trovo l'artista che parla prima, se dura cinque minuti va bene, ma se ne dura venti la cosa m'inizia a diventare un po' pesante.

ADP: Come vede l'attuale situazione della cultura musicale nel nostro paese?

AB: Terrificante. Lo era già prima della pandemia, ma adesso lo è ancora di più. Ci hanno ridotto a una situazione che non è possibile sostenere. Non so se si risorgerà mai da questo momento, me lo auguro, ma vedendo come vanno le cose sono alquanto pessimista. È già un anno che andiamo avanti in questo modo, se dobbiamo farne un altro così... La nostra vita è quella di andare a suonare fuori di casa, non possiamo farlo in casa giorno e notte per un anno di seguito.

 



ADP: Ci sono i concerti in streaming, ma non sono la stessa cosa di un live.

AB: Sono una cosa anche bella, a me piacciono però sono anche difficili fare, realizzare bene un concerto in streaming è costoso perché occorre una certa organizzazione a monte.

ADP: Tra le cose che più ammiro della sua personalità è la voglia di mettersi in gioco, coraggiosamente, fossero anche partecipazioni un po' bizzarre, come le performance televisive con Piero Chiambretti.

AB: Quella è una cosa di tanti anni fa. È capitato tutto per caso, sono finito dentro quel meccanismo inavvedutamente. L'obiettivo era quello di fare tutto senza preparare alcuna cosa, senza pre-calcolare niente e perciò mi sono trovato a fare il guitto senza volerlo. Tuttavia, quelle poche pillole di musica classica di 50, 55 secondi ho sempre cercato di farle bene. All'epoca Chiambretti era il re della seconda serata, seguito da sette, ottocentomila spettatori. Adesso ho imparato a guardare i dati Auditel, su Internet ora uno scrive e trova tutto. La sua attuale trasmissione in seconda serata del lunedì non porta più di tre, quattrocentomila spettatori e, soprattutto, tutte le altre a quell'ora ne fanno di più, eccetto che una o due. Non è più quindi il numero uno della seconda serata. A mio avviso Piero Chiambretti è un fenomeno finito. Il programma "La repubblica delle donne" glielo hanno chiuso. Insomma, mi sono trovato con lui per caso, altrimenti non saprei nemmeno chi è.

ADP: Oggi il suo pianismo sembra aver acquisito la piena maturità. Le sue interpretazioni di J.S Bach (ma non solo quelle) sono un miracolo di equilibrio e limpidezza esecutiva. Ci sono dei tratti in un pianista che sono poco modificabili con il tempo e lo studio, per esempio la qualità del suono e la tavolozza timbrica, e altre su cui si può lavorare con maggior agio?

AB: La tavolozza timbrica, i colori bisognerebbe migliorarli sempre, e che io più di così non riesco.

ADP: Eppure lei ricava dal pianoforte un bellissimo suono. Trovo il "suo" Bach molto morbido, avvolgente.

AB: Lo credo, quel tipo di suono lo ricerco molto. Se senti però Sokolov, mi mangia vivo (ride): quelli sono i colori. Il mio idolo è comunque Andràs Schiff, lui suona un Bach irraggiungibile.

ADP: Anche il Bach di Glenn Gould è notevole.

AB: Gould è un Dio totale ma è diverso, offre un misticismo differente. Suona molto staccato, per quanto lo veneri non mi ci riconosco, non saprei suonare una frase come lui. Invece come fa Schiff, Perahia o Fischer si.

ADP: Non voglio fare confronti con altri pianisti, ma noto che il suo suono sia confrontabile come bellezza a quello di Murray Perahia.

AB: E magari! Anche lui è un mio idolo.

ADP: Ha un registro medio di una luminosità assoluta.

AB: Quello è fondamentale perché lì è il cuore della musica. Lo ammiro molto, anche se ha un po' la mania dell'analisi schenkeriana, applicandola ovunque. Sono stato a un paio di suoi concerti, l'ho incontrato, una volta ho fatto con lui una masterclass. Si può dire ciò che si vuole, ma quando suona è un gigante. Di Bach ho suonato diversi cicli, le Goldberg, ultimamente il Clavicembalo ben temperato, nel 2014 ho registrato i sei concerti per tastiera e archi, difficilissimi. Quest'anno ho in particolare studiato il secondo libro del Clavicembalo ben temperato, cominciando da zero. È durissima impararlo a memoria, di una difficoltà terrificante. Impone dei problemi per l'assimilazione del ritmo, arduo suonarlo senza dimenticare, senza correre, perché ti viene come una vertigine. Suonare ventiquattro preludi e fughe da capo a fondo, che durano centoquarantuno minuti, è un impegno trascendentale, come suonare gli Studi di Chopin o di Liszt. La difficoltà non è inferiore secondo me, anche se diversa e comunque non confrontabile con questi.

ADP: Sono comunque repertori che impongono una concentrazione assoluta.

AB: Certamente, mostruosa direi.

ADP: Considero le sue Variazioni Goldberg una vera e propria vetta interpretativa. Ma è stato davvero così facile raggiungere un tale livello di perfezione, direi quasi di ascesi, in un compositore della profondità di pensiero di J.S. Bach?

AB: Le ho studiate per otto anni, iniziando a impararle nell'estate 2003. Prima le suonavo con tutti i ritornelli, duravano 90 minuti, poi accorciai il tempo a 80, 70, e poi le eseguivo senza ritornelli. In questa modalità le eseguiva anche Gould, per un totale di 35 minuti di musica. L'aria finale la faccio senza alcun abbellimento, alla fine del viaggio si ritorna all'essenzialità. L'ho sentita suonare così una volta da Schiff; non è per dire che copio, ma ritengo che sia una mossa intelligente farla così al termine della composizione. L'aver io raggiunto il livello di cui parla deriva dall'averle studiate tutti i giorni, per ore e ore, per anni. Le Variazioni Goldberg, a differenza della tastiera ben temperata, sono un pezzo di grande virtuosismo strumentale, parecchie di esse sono delle invenzioni e il fatto che siano state composte per due manuali le rende particolarmente difficili sul pianoforte. Richiedono un virtuosismo che non è inferiore a quello necessario per Liszt. La complessità del tessuto contrappuntistico delle fughe è una cosa diversa, anche se in alcune di esse troviamo un virtuosismo particolarmente elevato, ma si tratta di due difficoltà complementari. Perciò le Goldberg, prima che arrivassi a suonarle con tempi scorrevoli, da virtuoso, hanno reso necessari anni e anni di studio quotidiano, in cui dovevo continuamente pensare come fare per riuscire a eseguirle. Questo processo non è in realtà spiegabile, è lo studio di ogni giorno, il riflettere, che fa poi venir fuori la visione di cui parlava. Anche questo Clavicembalo ben temperato è ormai un anno che lo studio, ma non è mica ancora pronto, ce ne vorranno almeno due o tre di anni.

ADP: Lo ascolterò con grande piacere.

AB: Dobbiamo ancora curare l'editing; sono registrazioni di pezzi interi, però magari ripetuti più volte. Anche lì tuttavia troviamo alcuni preludi e fughe di grande virtuosismo, non tanti in verità poiché la difficoltà del Clavicembalo ben temperato sta nella complessità del tessuto polifonico, con le quattro linee che sono davvero complicate da gestire. Diversa è invece la problematicità delle Goldberg, come dicevo pensate per due tastiere e non una come quella in dotazione al pianoforte, insieme all'estro da mettere nelle invenzioni a due voci.

ADP: Come giudica i concorsi pianistici? Sono solo un modo per confrontarsi con altri strumentisti o anche un importante trampolino di lancio per la scena concertistica?

AB: Io sono sempre stato contro i concorsi perché non mi piacciono, poi ce ne sono troppi. Detto questo, li ritengo tuttavia fondamentali, qualcuno l'ho fatto pure io, anche se li ho sempre persi, arrivando secondo o terzo. Come diceva Benedetto Lupo in un'intervista data alla radio, i concorsi si fanno anche perché se uno non ha delle amicizie, un musicista potente e famoso che lo raccomanda presso istituzioni musicali molto importanti, che dice "chiamate quello lì", non rimane altro da fare. Ed è stato così anche per me, nel mio piccolo. Ho avuto anch'io dei mentori, però a livello di studio e d'incontri per imparare, ma non è che questi hanno mai chiamato l'Accademia di Santa Cecilia. Allora ho fatto come ho potuto. Ogni generazione che passa è sempre peggio in quanto c'è sempre più gente che suona, tantissimi giovani dai venti ai trent'anni che cercano affermazione.

ADP: Andrea Bacchetti oggi a cosa aspira? Prevede che la sua grande arte si possa convogliare in forme nuove per il futuro? Ha qualche desiderio irrealizzato chiuso in un cassetto di cui ha perso la chiave?

AB: Di desideri irrealizzati ne ho tantissimi. È spaventoso il fatto che il futuro, anche per colpa del Coronavirus, non si sa come sarà. Mi piacerebbe poter ancora suonare ma, data la mia età, l'avvenire lo vedo molto incerto e senza grandi obiettivi da colpire. Quello che posso fare tutti i giorni è studiare sempre perché in quest'anno ho tenuto solo dieci concerti, invece dei cinquanta, sessanta che tengo di media. L'apprendimento della musica di Bach mi disturba il sonno; ci penso anche la notte, quando non suono. Da mesi ho giurato di non meditare sulla fuga tre, quattro o cinque perché mentre cerco di suonare mentalmente mi sembra di non ricordare più niente. Mi sono alzato sempre presto al mattino per studiare. Questo Clavicembalo ben temperato mi ha fatto male alla salute poiché lo trovo troppo difficile. Ricordo di aver sofferto anche per le Goldberg, però almeno è un pezzo di circa mezz'ora, di una difficoltà inenarrabile ma non lunghissimo. Non è uno scherzo mettersi tutti i giorni a suonare due volte, alcuni anche tre, da capo a fondo oltre centoquaranta minuti di musica. L'ho fatto non potendo suonare da nessuna parte; non avendo da ripetere i pezzi che suono sempre mi son detto: "facciamo qualcosa di nuovo", ritengo inutile stare a ripetere sempre le stesse cose. Sinché era possibile tenere concerti, eseguivo le Suite Inglesi, le Suite Francesi, l'Ouverture Francese, la Fantasia Cromatica, cose che ho studiato nel 2017-18 e che poi comunque eseguivo in pubblico. Quest'anno ho suonato anche gli improvvisi di Schubert Op. 142, trentacinque, trentasei minuti di musica che contengono anche loro parecchie difficoltà. Per tutto l'anno mi sono applicato al Concerto K 537 di Mozart "L'Incoronazione". Dovevo suonarlo a settembre con l'Orchestra Haydn di Bolzano, ma poi si è bloccato tutto. Proprio per questo credo che il futuro non sarà certo roseo.

 




Alfredo Di Pietro

Gennaio 2021


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