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Thursday, April 18, 2024 ..:: Intervista a Laura Albergante Visconti ::..   Login
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Alfredo Di Pietro: Laura, puoi raccontarci com'è nata la tua passione per la musica?

Laura Albergante Visconti: Nasce tanti anni fa, quando ero bambina. La mia fortuna è stata quella di avere un padre abbastanza appassionato di musica. Ne ho sempre ascoltata tanta, anche in casa, crescendo in compagnia del mangiadischi di mio padre, patito di quella degli anni '60 '70, cioè della sua generazione. Aveva un sacco di 45 giri, dei Creedence Clearwater Revival per esempio, insieme a un po' di tutto, compresa la musica rock. Passavo tanto tempo a sentirli, in solitudine. Avevo circa undici anni quando il mio papà portò a casa un giradischi e una cinquantina di LP, dicendomi di non toccarlo perché altrimenti gli avrei rovinato la puntina. Cosa che invece feci perché, non appena lui andò a dormire, indossai la cuffia e iniziai ad ascoltare i primi dischi. Da lì ho cominciato a frequentare i Led Zepelin, Pink Floyd, Black Sabbath e tutto il Rock anni '60 '70. Così è nata una passione cocente. Ascoltai in seguito anche parecchio Progressive, a dodici - tredici anni iniziai ad acquistare i primi CD, andavo nei negozi di dischi, leggevo di musica.

ADP: In che rapporto stanno nella tua attività il canto e la critica musicale? A quale delle due tieni di più?

LAV: Sinceramente, fare una scelta è per me impossibile, sono due esigenze diverse. Ho incominciato a scrivere una decina di anni fa, amo la lingua italiana, sono sempre stata brava a scuola e mi dicevano che ero portata per la scrittura. Per quanto riguarda l'attività di critica musicale, o meglio di giornalista perché l'espressione "critica" non mi piace tantissimo, è nata leggendo. A un certo punto mi sono detta: "Amo la musica e mi piace scrivere, perché non fare entrambe le cose?" Si tratta di un'esigenza particolare, un lavoro che svolgo totalmente in solitudine, che mi aiuta a guardare dentro di me. È molto introspettivo scrivere recensioni di musica. Il canto rappresenta tutto un altro tipo di bisogno, direi quasi fisico per me. Non so dirti quando ho iniziato, lo faccio praticamente da sempre. Da bambina mi addormentavo cantando, in una sorta di auto-cullarmi, era anche un conforto nei momenti di solitudine. In realtà lo coltivo regolarmente da almeno dodici - tredici anni, prima con gruppi più scalcagnati e poi via via più interessanti. Per cinque anni ho studiato con una grande insegnante che mi ha veramente cambiato la prospettiva, Sonia Spinello. La ringrazio tutti i giorni perché è stata davvero un faro per me. Senza di lei, quello che faccio oggi mai credo avrei potuto realizzarlo. Poi comunque mi piace scendere in profondità da sola, attualmente non vado più a lezione però proseguo nella mia ricerca vocale, mi piace cercare di spingermi sempre più in là. Il canto è l'espressione autentica di emozioni, di sentimenti e questo per me è indispensabile.

ADP: Condivido con te l'amore sfegatato per il Rock Progressive, che è stata una stagione davvero epica della musica. Gruppi come i Led Zepelin, Gentle Giant, Pink Floyd, Jethro Tull, Emerson, Lake & Palmer e Genesis come hanno condizionato la tua visione della musica?

LAV: Sicuramente sono tutti gruppi che per me sono stati e sono ancora assolutamente importanti. Oltre ai miei ascolti contemporanei, continuo parallelamente a frequentarli. Ogni volta che li sento trovo sempre qualcosa di nuovo o qualche particolare che mi era sfuggito prima. Di certo hanno cambiato il mio modo di vedere la musica, sono band che hanno cercato di andare sempre un po' oltre la "normalità", sperimentando, cercando nuove soluzioni e sonorità. Tanti gruppi hanno attinto anche dalla musica classica, trasformandola in qualcosa di altro. Ho realizzato un tributo ai Led Zepelin, adesso lo sto rimettendo su, questo è certamente il mio gruppo preferito. Mi hanno decisamente influenzato, la loro tendenza a oltrepassare certi confini, disco dopo disco, ha fatto risuonare qualcosa anche in me. È quanto cerco di portare avanti anch'io nel mio piccolo.

ADP: Dal numero 333 compari come giornalista musicale in Audioreview, autorevole rivista che si occupa di musica e alta fedeltà. Che differenza esiste, se c'è ne una, tra critico e giornalista nell'ambito della musica?

LAV: Come dicevo prima, la parola "critico" non mi piace tanto poiché implica un giudizio troppo netto, troppo assolutistico, dal quale io cerco di stare lontana. A volte scrivo delle recensioni un po' dure su dischi che magari non mi sono piaciuti, tuttavia cerco sempre di essere la più oggettiva possibile, anche se è chiaro che nel giornalismo l'obiettività assoluta non esiste. A monte c'è sempre un sistema culturale definito, anche di valore se vogliamo. Ognuno è diverso e, di conseguenza, anche i giudizi possono differire. A me interessa soprattutto descrivere, cercare d'invogliare il lettore ad acquistare il disco oppure di conoscerlo. Il mio ruolo è fondamentalmente quello di filtrare, dare uno strumento per scremare.

ADP: Ricordo la tua recensione di "On", un disco di Elisa, apparsa su Audioreview. Mi era piaciuta molto perché avevi espresso le tue riserve in una maniera così elegante da non risultare fastidiosa o troppo tagliente. Si capiva comunque benissimo il messaggio che volevi dare.

LAV: Grazie (sorride), mi fa molto piacere. Cerco di essere sempre chiara in quello che dico. In realtà, in tutto ciò che scrivo metto molto di quello che sono, le mie letture, gli ascolti precedenti.

ADP: Spulciando in qualche tuo frammento biografico trovato sul Web, scopro che, oltre a essere recensore musicale e cantante, sei laureata in Scienze della Comunicazione, hai scritto per "Nella Nebbia", rivista di arte e cultura presso la quale hai lavorato anche come fotografa. Sei inoltre Responsabile musicale di Radio 6023, hai collaborato come giornalista con il Corriere di Novara, In Bocca all’UPO e con tante altre realtà editoriali. Dove trovi la voglia e il tempo per star dietro a tutte queste attività?

LAV: Alcune non sono più attività correnti. "Nella Nebbia" è stata la prima rivista in assoluto per la quale ho scritto, mi ha permesso di esordire come giornalista in maniera abbastanza professionale. Stesso discorso per Radio 6023, con la quale non collaborò più da tanti anni. Era la Webradio dell'Università del Piemonte Orientale in cui, grazie alle mie conoscenze in campo musicale, ero diventata direttrice artistica e conducevo anche un mio piccolo programma, dedicato alla musica Indie italiana. Ogni puntata, settimanalmente, somministravo questa "pillola" di un quarto d'ora dove presentavo due o tre pezzi. Attualmente faccio una cosa simile per Radio Azzurra di Novara, dove ogni sabato mattina vado in onda con Sonia Frassei in un programma della durata di una decina di minuti. Presento uno, due brani o di un gruppo Indie o di altri; in questo momento stiamo andando un po' sugli emergenti, o comunque formazioni un po' meno conosciute, insieme ad artisti più famosi, più "mainstream". Ogni settimana c'è qualcosa di nuovo.

ADP: Hai fatto anche una presentazione al festival varallese "Musica a Villa Durio" della scorsa edizione...

LAV: Si, parlavo di musica Folk, che però non è propriamente il mio ambito, anche se ho dedicato ascolti anche a quel genere. Come dicevo prima, mi appassiona un po' tutta la musica.

ADP: The Music Kitchen è il blog su cui si possono trovare tanti articoli che hai scritto nel corso degli anni. Quanto è importante per te la stratificazione della memoria in tracce tangibili, come possono essere degli scritti?

LAV: Per quanto riguarda il mio Blog, devo dire di essere un po' pigra: è ormai passato più di un anno dall'ultima volta che l'ho aggiornato. Intendevo usarlo come punto archivio libero, accessibile volendo a tutti. Purtroppo l'ho un po' lasciato da parte. Tra il lavoro fuori, lo scrivere, che comunque con Audioreview tutti i mesi diventa impegnativo, non riesco a starci dietro più di tanto. Il giornalismo musicale diventa laborioso nel momento in cui si deve far fronte al processo di ascolto, ricerca d'informazioni, sviluppo dell'opinione, oltre il tempo che s'impiega a scrivere e poi limare, raffinare, ricercare un aggettivo particolare. Dovrei riprendere a curarlo certo, ma come ho detto sono un po' pigra.

 



ADP: Mi rivolgo alla Laura cantante: anche in questo campo hai voluto lasciare memoria di te, magari creandoti un archivio di registrazioni?

LAV: Si, certamente. Sul web esistono diverse tracce tangibili, video di concerti che ho dato e anche cose molto più vecchie, le quali non è che non mi faccia piacere ascoltare ma, effettivamente, sono divise dallo spartiacque rappresentato dal prima e dopo lo studiare canto. È chiaro che il mio timbro vocale è sempre quello, ma la capacità ovviamente si accresce. Senza uno studio serio non sarei stata in grado d'interpretare un repertorio così difficile, come quello che ho iniziato a proporre un anno fa.

ADP: Lo esegui con grande sicurezza, ma forse fa parte del tuo carattere.

LAV: Dipende. Il canto è talmente una cosa personale per me, un'esigenza, che non mi accorgo di questa mia disposizione. Talvolta, quando rivedo delle foto o dei video con me sul palco, mi sorprendo quanto sia sicura in quello che faccio. Sono compiaciuta, anche se penso che posso sempre migliorarmi.

ADP: Nel tuo bellissimo articolo "Per il settantesimo anniversario della nascita di Janis Joplin - Una vita in blues", parli della grande cantante statunitense con una tale partecipazione emotiva che non lascia sorpresi il fatto che tu abbia anche voluto interpretare diversi suoi brani. Cosa ti lega così "visceralmente" a lei? Si tratta di un'affinità elettiva?

LAV: Penso di si. Ho scoperto la sua musica intorno ai quindici anni, quando già conoscevo i Led Zepelin e il blues, genere che ho approcciato proprio tramite loro. Quello è stato il mio primo avvicinamento a questo genere musicale che, anche se avevo già incontrato in tantissimi film visti da bambina, non mi aveva mai particolarmente colpito. Quando però l'ho sentito nei Led Zepelin, è stata come una folgorazione. Per me il blues è vita, la musica che mi fa battere il cuore con il suo tempo terzinato. È vero che ha uno schema tutto sommato ripetitivo però tutto è legato all'interpretazione.

ADP: Se ci pensi anche la nostra vita è ripetitiva...

LAV: Certamente, il quotidiano lo è. Mi sono imbattuta nella musica di Janis Joplin grazie a un CD allegato alla rivista Espresso, nell'ambito di una collana di dischi storici. Mai sentita prima, allora ascoltai il suo album "Pearl" rimanendo colpita da una voce così diversa, particolare ed emotiva, dotata di un timbro singolare. In seguito lessi tantissime sue storiografie perché volevo conoscere a fondo la sua vita, ero curiosa di sapere cosa c'era dietro quella voce straordinaria. Ai tempi non c'era il Web, il suo aspetto mi appariva sulla copertina di "Pearl", in un tempo in cui l'informazione era tutta basata sulle riviste musicali. Non c'erano tante fonti, qualche rivista generalista aveva la sezione ristampe ma non è che si parlasse molto di questo tipo di musica. Ho portato avanti un lavoro di ricerca personale leggendo tantissimo. Di lei mi aveva impressionato la biografia, il fatto di aver trascorso una vita difficile in un ambiente molto ostile. Veniva da Port Arthur, nel Texas, una città portuale dove la vita era complicata, in questo scenario crebbe come una totale "outsider". Mi sono sentita immediatamente vicina a lei perché, a modo mio, sono anch'io un'outsider, nel senso che sono cresciuta in un paese molto piccolo, chiuso, parecchio legato alle apparenze. Onestamente, non avevo mai pensato di mettermi a cantare il suo repertorio, l'ho fatto recentemente (circa un anno fa), stimolata dal bassista turco che aveva suonato con me in un tributo ai Led Zepelin. Si era esibito con tre quinti del gruppo che in precedenza aveva suonato in un tributo "Janis". Ognuno di loro aveva poi abbandonato la band originaria e lui mi aveva detto: "senti, visto che fai così bene il repertorio dei Led Zepelin, perché non ti metti a cantare i brani di Janis Joplin?". E io: "ma no, cantare quel repertorio lì è veramente difficile, poi non ho quel tipo di voce, con quel "raspo" strano". In realtà le qualità c'erano poiché quel timbro particolare mi è venuto studiando su me stessa, sulla mia voce. Ho sempre cantato in maniera molto pulita, per me è stato un lavoro complicato. Penso comunque di aver fatto un percorso interessante, sicuramente interpretare le sue canzoni mi ha aperto un mondo.

ADP: Questa passione riesci a comunicarla anche agli altri. Proprio leggendo il tuo articolo sono stato stimolato ad approfondire il discorso su questa grande artista, che prima conoscevo superficialmente. Sono rimasto colpito dalla grande generosità di questa ragazza nell'elargire le sue idee musicali. Lo faceva con un candore davvero incredibile.

LAV: Vero. È evidente se si vede quello che è stato filmato di lei, neanche tantissimo in realtà perché all'epoca non era una pratica molto comune. Ci sono solo poche cose. Esistono dei film biografici su di lei, quello di Amy Berg è il più recente, carino però non va a fondo della sua personalità. Janis aveva un modo estremamente fisico di cantare, quello che poi alla fine ho mutuato in maniera seppur involontaria. Non è che l'ho studiata proponendomi di volerla imitare, a me non interessa il tributo divistico, facciamo anche delle versioni abbastanza diverse. Desideravo solo esprimermi, liberare delle emozioni sia positive che negative. Quando canto le sue canzoni, riguardandomi mi accorgo che sorrido tantissimo, è una cosa che mi fa stare bene. Lei ci metteva tanta sofferenza, diceva: "forse le persone possono apprezzare meglio la mia musica se pensano che io mi stia distruggendo". Sarebbe stato bello vederla ancora viva, ma purtroppo è andata com'è andata. A me piace divertirmi, per fortuna non ho quel senso autodistruttivo.

ADP: Un destino simile ad altri grandi personaggi del Rock e del Blues come Keith Moon, John Bonham e altri, morti intorno ai trent'anni. Il famoso "Club 27".

LAV: Ce ne sono tanti. Anche Jim Morrison, morto a ventisette anni, Brian Jones, Jimi Hendrix...

ADP: Eppure in quei pochi anni sono riusciti a esprimere moltissimo.

LAV: Certo. Purtroppo a quei tempi non credo ci fosse tanta informazione sulle droghe, sui pericoli che presentavano. Erano sostanze che giravano parecchio in quegli ambienti musicali, utilizzate per fuggire dal quotidiano, come faceva Janis Joplin, la quale non sopportava la vita fuori dal palco. Lei affermava di vivere ventitré ore al giorno per quell'unica sulle ventiquattro in cui si esibiva. Aveva un modo di vivere estremo, tutto il resto risulta piatto al confronto del palcoscenico. È vero che la vita di ogni giorno è un po' grigia, ma quelle due ore che io vivo sulla scena servono per esprimermi e per uscire dalla routine giornaliera. Anche il fatto di vestirsi in una certa maniera è un modo per prendersi gioco di se stessi e del quotidiano

ADP: "Riprende lo scavo nel passato" più che un articolo è una dichiarazione d'intenti ed io amo molto chi ha voglia di raccontarsi nel tempo, come hai fatto tu e cerco di fare anch'io. Laura Albergante Visconti crede nel motto di Janis Joplin: "Sii fedele a te stessa, perché è tutto quello che hai"?

LAV: Senza alcun dubbio. La cosa più importante è cercare di essere sempre se stessi, cosa molto difficile nella vita di ogni giorno poiché si presentano delle scelte complicate. Sembra banale dirlo ma è così. Qualsiasi tipo di relazione richiede impegno, sacrificio, abnegazione. Ritengo fondamentale avere una visione e cercare di essere il più concentrati possibile per andare avanti. Poi si può anche cambiare idea, solo gli stupidi non lo fanno. Mai avrei pensato oggi di affrontare questi pezzi, cinque anni fa cantavo due canzoni con il mio vecchio gruppo, adesso mi ritrovo con un repertorio molto più vasto. In un certo periodo mi esibivo anche con tre, quattro gruppi contemporaneamente mentre ora mi sto dedicando principalmente al Kozmic Blues.

 




Alfredo Di Pietro

Aprile 2018


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