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giovedì 18 aprile 2024 ..:: Indiana Line Tesi 560 ::..   Login
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 Indiana Line Tesi 560 Riduci

 

 

INTRO

Il nome Indiana Line mi riporta alla mente tutto un mondo di reminiscenze, belle sensazioni di un lontano passato che saltano fuori dai meandri della memoria e oggi si riaffacciano in occasione dell'analisi di un diffusore, ecco perché mi accingo a parlare del marchio torinese con una certa emozione. Ricordi della mia gioventù, immagini non troppo sbiadite di un tempo in cui iniziavo a fare i primi passi nell'alta fedeltà, spettatore di un mercato con molte meno possibilità di quelle odierne.

Allora ero un ragazzo imberbe che ogni mese correva in edicola ad acquistare Suono e Stereoplay, cominciavo a sfogliarli già per strada tanta era l'impazienza di leggere dell'ultima novità o della recensione che avrebbe spalancato nuovi scenari audiofili. Giunto a casa li leggevo avidamente, quasi incantato dai frontali cromati, pieni di manopoline e i bellissimi Vmeter che oggi alcuni marchi come Accuphase e, recentemente, una Luxman ritornata ai vecchi fasti hanno riportato in auge.

Parliamo degli anni '70 - '80, il periodo aureo dell'alta fedeltà, all'epoca un mercato in forte espansione in tutto il mondo. Per noi giovani squattrinati di allora avere l'occasione di portarsi a casa un sistema Hi Fi dal costo umano ma che avesse delle buone prestazioni rappresentava una vera e grande novità, abituati com’eravamo ad ascoltare con dei plasticosi compatti Philips o Grundig. In realtà gli oggetti "affordable" dell'epoca erano delle edizioni in sedicesimo dei colossi di allora, progettati in maniera semplificata con componenti meno nobili dei "Top model", ma che comunque permettevano di godere della musica preferita a un discreto livello. Si trattava di sistemi che non sfiguravano troppo rispetto ai mostri sacri di allora; per chi non poteva permettersi un McIntosh che pilotava un'impegnativa coppia di monitor JBL, c'era l'onda di piena dei vari integrati e integratini Pioneer, Kenwood, JVC Nivico, NAD... che facevano bella mostra di se nelle vetrine dei negozi di Hi Fi.

Che nessun audiofigo scagli il suo anatema: il mio primo impianto "serio" è stato un classico trittico entry: amplificatore Pioneer SA 6500 II, giradischi Pioneer PL 12 e diffusori bookshelf Pioneer CS-E 421, compatto due vie con un bel woofer verde in fibra di carbonio.

Con il passare degli anni tutto è cambiato. Non appena l'audiofilo ultracinquantenne abbandona la sua personale "Recherche du temps perdu" trova un mondo del tutto diverso, dove dei bei tempi andati è rimasta solo la sua passione. Oggi c'è Internet, che ha rubato una grossa fetta di lettori alle riviste, un Web sempre più a portata di mano che però nel suo enorme contenitore accoglie anche notizie incontrollate, dove si afferma tutto e il contrario di tutto.

Un'autentica farragine di marchi disorienta l'eventuale acquirente nella scelta di un impianto e fa rimpiangere la nota triade (Marantz - Thorens - AR) degli anni '70 '80. Sono tanti i newbie decisi a formare il primo impianto che scrivono sui forum non sapendo come muoversi in un mercato pieno zeppo di prodotti. La cerchia dell'Hi Fi "entry level" non si è sottratta a questa logica, così il mercato è stato invaso da miriadi di prodotti sorprendentemente economici (complice l'economia orientale) spesso validi ma talvolta improbabili, questi ultimi camuffati da nomi altisonanti creati da astuti marketing manager. E' un quadro complesso, altamente instabile che rende difficile e perigliosa la scelta per i novizi.

Nel panorama dei seventies i diffusori Indiana Line conquistarono la stima degli appassionati che li videro come una rivoluzione di genere, seppero ritagliarsi un posto d'onore tra i sistemi economici grazie alle loro buone prestazioni. Dobbiamo dare atto all'azienda piemontese, sin dalla sua apparizione a tutt'oggi, di essere sempre rimasta fedele al sano principio di coniugare un'ottima qualità sonora all'accuratezza costruttiva, con il valore aggiunto di un prezzo estremamente conveniente.

Virtù come la competenza, serietà e onestà sono un ottimo biglietto da visita, il brodo di coltura ideale per avvicinare all'Hi Fi i giovani, soprattutto in un mondo dove i furbetti dell'"easy money" non mancano. Tornando a bomba al mio nostalgico discorso, i diffusori di questo marchio erano senz'altro tra i papabili a dare la voce a un buon impianto di costo contenuto, erano dei sistemi dall'aspetto un po' "yankee", ma tutt'altro che trasandato, con un suono rievocante gli ampi spazi delle praterie americane. Rammento quanto fosse efficace la loro resa proprio con i generi ricchi di feeling "live", nelle reunion fatte tra noi giovani audiofili di allora, dei veri e propri contest dove ognuno portava la sua coppia di diffusori per metterla a confronto con quella dell'amico, tra gli sfidanti spesso c'erano dei diffusori Indiana Line, i quali se la cavavano sempre onorevolmente e talvolta davano la paga a sistemi più costosi.

 

 

STORIA DELL’INDIANA LINE

L’Indiana Line non è, come il nome potrebbe far pensare, un marchio americano ma una realtà italiana attiva nel campo della produzione di diffusori acustici, nata nell'età dell'oro dell'Hi Fi per il nostro paese, quei primi anni '70 in cui l'alta fedeltà proveniva dagli USA per i prodotti di fascia alta, dal Giappone per gli oggetti di prezzo conveniente e dall'Inghilterra per gli oggetti più classici.

L'appellativo aveva in realtà una duplice origine: il nome anglosassone era assolutamente da adottare se si voleva sottolineare la qualità di ciò che si realizzava, la seconda si riferiva all'Utah, quello stato degli USA per buona parte occupato da due riserve indiane. L'azienda Indiana Line nacque come costola della società madre Alcor, distributrice italiana negli anni '60 dell’Utah, rinomato marchio USA di altoparlanti. Chi ricorda un po' la storia dell'Hi Fi di quel periodo sa che fu un brand conosciuto per il favorevole rapporto qualità/prezzo dei suoi prodotti, quando ancora molti produttori erano solo piccoli artigiani, con tutti i pro e i contro che questo comportava.

Nell'ottica del tempo distribuire un marchio di diffusori significava anche essere assemblatore di pezzi OEM (Original Equipment Manufacturer) spediti dal paese d'origine, legno e mobili erano costruiti in loco per contenere i costi di produzione (il trasporto avrebbe fatto lievitare notevolmente il prezzo finale). L’Indiana Line mise a catalogo sei modelli (Mini x, 1x, 2x, 3x, 4x e BMx) nati con l'intento di portare a casa dell'appassionato le stesse sensazioni di un concerto dal vivo. Nei modelli Mini x, 1x, 2x e 3x era montato il famoso "Phenolic Ring Dome", tweeter a cono da 3 cm con cupoletta centrale rigida e sospensione a effetto smorzante, mentre nei modelli più "pretenziosi" era montata una "Piezo-electric horn". Parametri come linearità, efficienza (potevano essere pilotate da amplificatori di bassa potenza), smorzamento e basse distorsioni erano il vanto del marchio torinese.

A un certo punto l’Utah uscì dal mercato e Alcor decise di continuare la produzione attraverso gli stessi fornitori americani ma con altoparlanti originali progettati in Italia, un sogno diventato realtà grazie a un gruppo di geniali progettisti e ingegneri interessati alla riproduzione musicale. La realtà industriale Alcor era immersa in quella zona del Piemonte, l'headquarter dell'elettronica in Italia, in cui era presente la zona industriale di Torino, una posizione strategica poiché vicina alla produzione di massa delle auto FIAT con tutte le società satellite coinvolte.

Dopo oltre trent'anni di onorato servizio L’Indiana Line è ora in possesso di una nuova società proprietaria, la Coral Electronic, azienda fondata da Eugenio Musso nel 1975 con una storia molto simile al nostro marchio negli stessi anni. E' stata, infatti, il distributore italiano di un altro nome ben noto dell'alta fedeltà entry level: la giapponese Coral (incidentalmente anagramma di Alcor). Filiazione del marchio fu la Cemark, apparsa alla fine degli anni ’70 come produttrice di piccoli diffusori molto apprezzati, anch'essi "budget oriented", e del famoso Irrotax, un dispositivo che prevedeva la suddivisione del condotto reflex in tanti piccoli microcondotti. Il suo principio di funzionamento consisteva nel frazionare il flusso dell’aria limitando le turbolenze, un sistema che tanti audiofili hanno artigianalmente imitato inserendo nel condotto reflex delle cannucce da bibita.

Alcor e Coral: storia simile e simile destino a quanto pare perché, dopo la cessazione dell'attività da parte dell'azienda giapponese, la società italiana ha proseguito il suo percorso come Coral Electronic, mantenendo la stessa filosofia economico-produttiva dando anche un importante contributo al mercato del "Car Audio" a partire dagli anni '80.

La vicenda dell’Indiana Line dimostra inequivocabilmente come il settore dell'"Affordable Hi Fi" abbia una sua storia e non debba essere considerato né come figlio di un Dio minore né come un'appendice dell'High End. Se vogliamo frutto di una differenza genetica e non una "degenerazione" di un ramo dell'Hi Fi visto che ha seguito in autonomia il suo percorso. Durante tutti questi anni l’Indiana Line ha perseguito l'obiettivo fissato sin dalla nascita, negli anni settanta: mettere a disposizione dell'appassionato il miglior suono possibile per i soldi spesi. Ho sempre creduto che la musica sia un bene di "prima necessità" e chi desideri ascoltarla in tutta la sua infinita ricchezza debba essere trattato con rispetto, indipendentemente dal budget disponibile. L'Indiana Line, per quanto ha dato in tutti questi anni agli appassionati attenti al portafogli, merita tutta la nostra ammirazione.

 

 

 

LE TESI 560 SOTTO I RIFLETTORI

                                        

                               

SPECIFICHE TECNICHE

Tipo: Sistema a 3 vie Bass Reflex
Potenza di pilotaggio consigliata: 30 - 150 Watt
Impedenza di carico dell'amplificatore: 4 - 8 ohm
Risposta in frequenza: 35 - 22000 Hertz
Sensibilità: (2.83 V / 1 m) 92 dB
Altoparlanti (schermati): 160 mm Woofer - 160 mm Midrange - 26 mm Dome Tweeter
Crossover: 180/2800 Hertz
Dimensioni: 175 x 890 x 310 mm
Peso: 13.6 Kg
Collegamenti: Bi-wiring e Bi-amping

Finiture: vinilica rosso ciliegia/grigio scuro.

Prima di entrare nel merito desidero ringraziare Marco Visona della Coral Electronic e Dimitri Toniolo di MadForMusic, senza il loro prezioso aiuto questa recensione non sarebbe stata possibile. L'azienda, cui avevo richiesto una coppia di Tesi 560 per una prova, aveva subito accettato ma allo stesso tempo posto un problema di natura amministrativa: non era nelle loro possibilità dare un prodotto se non appoggiando la fattura in conto visione a una Partita IVA. Purtroppo sono sprovvisto di questo requisito e per un attimo ho temuto che la mia proposta andasse in fumo ma il gentilissimo signor Marco non ha esitato a trovare la soluzione: inviare la coppia richiesta al negozio milanese MadForMusic, ovviamente provvisto di partita IVA, con successivo ritiro da parte mia al negozio. Così, in un freddo ma limpido pomeriggio di Dicembre, una fiammante coppia di Tesi 560 ha potuto varcare la soglia della mia sala d'ascolto.

L'ammogliato che decide di mettersi in casa questo diffusore ben difficilmente andrà incontro a problemi di WAF che, per chi ancora non lo sapesse, è il "Wife Acceptance Factor", vera bestia nera e terreno di feroci scontri per l'audiofilo che non può disporre di un ambiente dedicato all'impianto.

Le Tesi 560 sono delle torri snelle da pavimento di dimensioni contenute (larghezza 175, altezza 890 e profondità 310 mm), dall'aspetto molto curato e ottimamente rifinite. L'estetica non è banale: l'effetto monoblocco è fugato dalla conformazione del plinto integrato nel mobile, il quale non fa un tutt'uno con questo ma è separato da una sottile scanalatura (alta 5 mm) che ne percorre tutto il perimetro. Il materiale adoperato per la costruzione del mobile è il Medium Density Fibreboard (pannello di fibra a media densità), molto utilizzato nei diffusori a causa delle sue doti di rigidità e inerzia meccanica che concorrono a rendere sordo il mobile. Qualcuno arriccerà il naso ma un'operazione che faccio sempre è quella di picchiare con le nocche il mobile in più punti, una manovra un po' "naif" ma che con il tempo e l'esperienza mi ha insegnato a capire qual è la "voce" del cabinet, molto discreta in questo caso.

Una volta estratto il mid-woofer superiore si può apprezzare il robusto setto di rinforzo orizzontale posto subito al di sotto dell'altoparlante, deputato a irrigidire la struttura tenendo bloccati i quattro pannelli. Le enclosure di foggia lunga e stretta favoriscono l'innesco delle famigerate onde stazionarie a quelle frequenze la cui lunghezza d'onda è determinata dalla distanza tra le superfici parallele; un buon modo per evitare che i pannelli entrino in vibrazione quando sottoposti alla loro azione è appunto quello di rendere rigida la struttura.

La griglia protettiva in tessuto nero fonotrasparente non cela alla vista l'intero frontale ma arriva poco al di sotto della porta reflex, lasciando a vista la bella impiallacciatura vinilica rosso ciliegia (o grigio scuro in alternativa). Ho documentato il suo effetto sul suono con due misure (con e senza griglia), le vedremo più avanti. Toccando il pannello frontale si avverte una sensazione di "gomma" che io ho trovata molto piacevole, data dal tipo di verniciatura dell'MDF: viene infatti impiegata una sostanza particolare, costituita da una miscela di vernice grigia e gomma butilica che credo abbia il compito di smorzare le vibrazioni innescate dai driver sul baffle.

Sono riuscito a fotografare, non senza qualche contorsionismo, l'interno del mobile grazie alla compatta fotocamera di mia figlia ché la mia Panasonic Lumix non voleva saperne di passare attraverso il foro del mid-woofer superiore. All'ispezione interna le pareti laterali e posteriore del mobile, ma anche il fondo e il top, appaiono interamente rivestite da fogli di materiale acrilico fonoassorbente (fibra di poliestere), ben incollati. Se tale trattamento introduce delle perdite sul sistema, è comunque un ottimo antidoto contro l'effetto negativo delle riflessioni interne, soprattutto quando entrambi i mid-woofer lavorano nello stesso volume, proprio il caso delle Tesi.

Estraggo i tre driver dal mobile, ognuno di essi fissato al baffle tramite delle viti a brugola, quattro per il tweeter e sei per ciascun mid-woofer, con molta cautela. La rimozione del primo elemento è operazione delicata: la guarnizione di neoprene adesivo di solito fa molto bene il suo dovere complicando la vita in fase di smontaggio. Tra la paura di rovinare qualcosa e la forza necessaria a scollare il driver dalla fresatura ho sudato le classiche sette camicie mentre asportare il secondo midwoofer e il tweeter è stato molto più agevole. In realtà lo è sempre quando due o più driver lavorano nella stessa cavità: rimosso il primo i rimanenti si possono spingere in avanti premendo sul fondello del magnete.

I due altoparlanti per i medio-bassi hanno il cono (diametro effettivo 13 cm) di un materiale formato da polipropilene in cui viene iniettata a caldo della mica in fase di stampaggio, le ragioni del "mix" sono quelle di ottenere un valido smorzamento insieme a una buona rigidità, doti che in fase d'ascolto lasciano presagire una rapida risposta ai transienti.

Al posto della cupola parapolvere troviamo un rifasatore centrale, atto a migliorare risposta in frequenza e dispersione alle medie frequenze. I due mid-woofer montati sul modello in prova sono entrambi siglati AGF16-150W05 100425-15, schermati, di ottima fattura e con la sospensione esterna in gomma butilica. Il gruppo magnetico appare ben dimensionato, il cestello è in lamiera stampata e i collegamenti con i cavi provenienti dal filtro crossover sono agevolati da pratici connettori Fast-on di diversa larghezza e foggia per i due poli... impossibile sbagliare.

Come dicevo prima entrambi i mid-woofer lavorano nella medesima camera, la quale sbocca all'esterno tramite un condotto reflex lungo 13 e largo 7 cm, ben svasato per limitare le inevitabili turbolenze. Il reflex non mi e parso rumoroso, solo quando le Tesi hanno riprodotto una nota di pedale d'organo ad alto volume, occasione in cui credo di essere arrivato molto vicino alla Xmax del volenteroso mid-woofer, ho udito chiaramente il soffio dell'aria. Si tratta però del classico caso limite, che molto difficilmente si presenterà nel corso di una pur sostenuta seduta d'ascolto.

Il tweeter ha una graziosa flangia estetica, somigliante a una semiluna nella parte inferiore, punto in cui va ad accoppiarsi al mid-woofer superiore, il risultato è l'avvicinamento dei centri di emissione dei rispettivi driver. La cupola è fatta di una seta molto leggera, mossa da un piccolo ma potente magnete al neodimio accolto in una struttura di plastica che comprende anche un'esclusiva camera posteriore, conformata a ogiva, incaricata di smorzare l'emissione posteriore del dome. Si tratta di una soluzione che va a tutto vantaggio della pulizia di emissione e contribuisce all'abbattimento di quelle colorazioni causate da un eventuale ritorno acustico sulla membrana.

La vaschetta posteriore portacontatti ospita quattro "Binding Post" multifunzione di buona fattura, non rimovibili dopo la svitatura a causa di un sistema di blocco, accettano banane, forcelle e cavo spellato. Consentito quindi il bi-wiring/bi-amping, l'utente non interessato al doppio cablaggio o alla doppia amplificazione non dovrà fare altro che lasciare in sede i due ponticelli dorati di esiguo spessore. Si può provare a sostituirli con due corti spezzoni di cavo per verificare eventuali differenze soniche, non chiedete a me se ci siano perché non mi sono cimentato in questo esercizio ;-)

Una volta rimosse quattro viti a brugola si può mettere a nudo il filtro crossover, montato su una basetta di vetronite solidale alla vaschetta grazie a quattro viti con testa a croce accoppiate a quattro distanziatori. Nel filtro sono utilizzate tre resistenze ceramiche (da 10 Ohm/5 Watt nella cella del mid-woofer superiore e da 2,2 Ohm/5 Watt e 5,6 Ohm/5 Watt in quella del tweeter), tre induttanze, di cui due inguainate in materiale plastico (da 8 mH sul mid-woofer basso, da 0,9 mH sul superiore e da 0,3 mH nella cella passa alto del tweeter). Quattro infine i condensatori: tre elettrolitici bipolarizzati (dei CYC da 56, 33 e 10 μF/100 Volt) mentre in serie al tweeter c'è un più nobile poliestere CYC da 5,6 μF/250 Volt. Il layout circuitale ci mostra come il MW basso sia filtrato con una cella del secondo ordine elettrico (induttanza serie - condensatore parallelo). Il MW alto invece è dotato di una cella più complessa, sempre un secondo ordine elettrico (12 dB/ottava) ma con un secondo condensatore e resistenza posti in parallelo a valle. Infine l'altoparlante degli alti è affidato a una cella sempre del secondo ordine, ben smorzata a monte da una resistenza che vale 2,2 Ohm/5 Watt e una seconda di valore più basso (5,6 Ohm/5 Watt) posta in serie dopo il passa alto. Nella quasi totalità dei casi la sensibilità del diffusore è stabilita da quella del woofer mentre nei midrange e soprattutto nei tweeter è più elevata, alle resistenze è quindi affidato il compito di livellare le varie sensibilità individuali. Di adeguata sezione e qualità appare il cablaggio interno.

 

 

LE MISURE IN AMBIENTE

Setup di misura:

Microfono di misura Superlux ECM 999
Calibratore PCE-SC41 in classe 2
Multimetro TRMS PCE-UT 61E
Scheda audio E-Mu Creative Pre Tracker USB 2.0
Jig per il modulo e argomento d'impedenza autocostruito
Voltage probe con attenuazione di 20 dB per la rilevazione in Dual Channel
Cavo di potenza Supra Ply 3.4 S

Software di misura Arta - Steps - Limp.

La prova delle Tesi 560 mi ha dato l'occasione di ridefinire un set di misure in precedenza solo imbastito. Chi si cimenta in rilevazioni strumentali prima o poi si rende conto di essersi avventurato per un'impervia salita ma, contemporaneamente, foriera di avvincenti scenari. Fuor di poesia, sono persuaso che trovare un riscontro all'ascolto del dato misurato sia un esercizio molto utile non solo per l'eventuale autocostruttore, ma anche per il recensore che sarà chiamato a trovare delle corrispondenze tra l'uno e le altre.

La risposta in frequenza a un metro in asse altezza tweeter è stata ottenuta con la metodica del Free Field Response, una soluzione che consente di acquisire una curva molto simile a quella ottenibile in campo libero o in camera anecoica pur misurando in campo riverberante. Mediante la fusione secondo determinati criteri della risposta all'impulso con opportuno gating, atto a tenere fuori le riflessioni ambientali, e la ripresa in campo vicino, si riesce a ottenere un andamento simile a quello rilevato in camera anecoica. Le Tesi 560 hanno esibito un'ottima estensione in frequenza e un'altrettanto valida linearità.

Un impulso è costituito dalla combinazione di numerose componenti sovrapposte e la risposta in fase di un sistema ci indica la relazione temporale che lega queste varie frequenze. Il grafico, sempre ottenuto in ambiente, ci mostra qual è al variare della frequenza il valore dello sfasamento del segnale riprodotto dalle Tesi 560 rispetto al segnale in ingresso. Va da sé che la misura è stata possibile solo adoperando la modalità "Dual Channel". Il concetto di fase acustica non è proprio intuitivo, in altre parole può essere considerato come l'effetto del ritardo temporale. Un cattivo andamento della fase significa che le varie componenti sinusoidali che formano l'impulso non saranno riprodotte contemporaneamente ma con ritardi diversi a seconda della frequenza.

La rilevazione in posizione d'ascolto è stata eseguita da una distanza di 3 metri dalla linea congiungente i due diffusori, posti a due metri di distanza reciproca, con le pareti laterali a 75 cm e la posteriore a 110 cm, altezza tweeter (84 cm). Il segnale test adoperato è l'onnipresente Pink Noise con risposta in frequenza rilevata a terzi d'ottava. E' stato scelto il rumore rosa a canali indipendenti per evitare, grazie al segnale scorrelato fra i due canali, alterazioni della misura di risposta in frequenza causate dalla somma e differenza di un medesimo segnale nonché dalle relazioni di fase. La fotografia che emerge nel grafico a bande d'ottava si avvicina molto alla curva di Møller, ritenuta ideale in ambiente, che vede la gamma medio-bassa in leggera evidenza e la alta lievemente decrescente sino all'estremo dei 20.000 Hz.

Dal grafico in overlay della risposta in frequenza, rilevata in asse e a vari gradi di disassamento, si può apprezzare l'attitudine a una pregevole regolarità di comportamento nelle varie condizioni e una gamma media molto stabile. L'ascolto ha confermato questa dote con una finestra d'ascolto particolarmente ampia, poco influenzata nel discostamento dalla posizione ideale.

Con la risposta in campo vicino dei singoli driver filtrati otteniamo il polso della situazione, la "risposta vera" (termine usato nelle recensioni degli anni '80 dalla rivista Audiovisione") degli altoparlanti dove è possibile individuare con precisione i tagli operati dal filtro crossover, una "fotografia" che ci stimola ad alcune riflessioni. Dichiarato come sistema a tre vie, in realtà il 560 somiglia più a un due vie e mezzo, con il mid-woofer inferiore che lavora in una ristretta banda di frequenze coadiuvando il superiore sino alla frequenza di taglio (180 Hz). L'incrocio del tweeter con il MW superiore è posto a circa 2600 Hz, limite possibile grazie alla buona estensione in alto dimostrata dal componente.

La lettura della curva di riposta in Near Field della porta reflex ci indica una Fb (frequenza di risonanza del sistema) centrata sui 40 Hz, un valore confermato anche nella misura del modulo e argomento d'impedenza. I due driver dei medio-bassi lavorano nel medesimo volume, per questo motivo possiamo vedere una componente di livello non indifferente centrata a 1000 Hz che giunge al microfono dallo sbocco.

Il decadimento della risposta all'impulso nel tempo mostra le buone qualità del tweeter, che appare molto ben smorzato: la risposta all'impulso si ferma a circa 1,24 millisecondi se consideriamo la sua propaggine più estrema (9000 Hz).

Un quadro simile viene proposto dal "Burst Decay", il quale consiste in una serie d’impulsi sinusoidali inviati al sistema con successiva analisi del decadimento. Si tratta di una tecnica ben conosciuta, utilizzata per valutare il comportamento ai transienti.

Qui di seguito è possibile vedere il quadro completo delle distorsioni armoniche (2°, 3°, 4°, 5° e 6° ordine) senza trascurare il dato della THD. A parte il grafico complessivo che riguarda tutta la gamma riprodotta, rilevato a una SPL di 90 dB (in ambiente), in cui tutte le componenti rimangono al di sotto dei 50 dB, si aggiungono le misure dei singoli driver in campo vicino, al netto quindi delle influenze ambientali. La distanza di ripresa del near field è stata calibrata con attenzione affinché il microfono non andasse in saturazione, falsando la misura con l'aggiunta di una propria distorsione che nulla ha a che vedere con quella dei driver.

 

I valori appaiono confortanti, con la gamma bassa (THD) che si attesta al 2% tra i 65 e 100 Hz, dopo la naturale impennata sulle frequenze più basse, per poi scendere ulteriormente allo 0,2% dai circa 250 Hz al kilohertz. Le distorsioni di seconda e terza armonica ricalcano la THD mentre quelle di 4° e 5° ordine si abbassano sotto la soglia dello 0,1%. Simili le considerazioni riferite al mid-woofer superiore nella gamma di funzionamento affidatagli.

Il tweeter si rivela componente di pregio, dall'ottimo suono (come vedremo più dettagliatamente nella prova d'ascolto) con componente di terza armonica molto contenuta (inferiore allo 0,1%) con quarta e quinta che precipitano addirittura sotto il limite dello 0,01%.

Il grafico del modulo e argomento d'impedenza ci mostra una frequenza di risonanza del sistema collocata poco oltre i 40 Hz, con il primo picco (9,3 Ohm a 31 Hz) dei due tipici del sistema reflex, inferiore al secondo (13.3 Ohm a 76,4 Hz). Il minor valore del primo ci suggerisce che la Fb (risonanza del sistema) è inferiore alla Fs (risonanza dell'altoparlante in aria libera). I due picchi sono preceduti dalle rispettive rotazioni di fase, la prima del valore di -14,9° (a 35,5 Hz) mentre la seconda arriva a -43.8° ed è centrata a 96.2 Hz. Dopo la seconda si raggiunge il minimo di modulo: 3.659 Ohm a 134 Hz, un dato che rende pilotabili le Tesi 560 con facilità da qualsiasi amplificatore Hi Fi che sia degno di questo nome. La riprova è che il mio Trends Audio TA 10.2, integrato dalla potenza certamente non esuberante anche se timbricamente raffinato, non ha avuto nessuna difficoltà a controllare i due mid-woofer sviluppando anche una discreta SPL in ambiente, nonostante la sensibilità non elevatissima di queste "Slim tower".

La sensibilità in ambiente è stata rilevata su una media di 22 frequenze, dai 100 ai 12.500 Hz. mediante la somministrazione 2,83 Volt ai morsetti. Il valore da me riscontrato è 88,65 dB, un dato vicino agli 89 dB, inferiore al dichiarato. Nonostante la sensibilità non particolarmente elevata le 560 non sono affatto un osso duro da gestire, neanche per amplificatori mingherlini. In un comune ambiente domestico, anche di medie dimensioni, bastano pochi Watt per sviluppare delle discrete pressioni.

Gli ultimi due grafici sono dedicati alla risposta in frequenza rilevata a un metro in asse, altezza tweeter, senza e con copertura. La griglia parapolvere in tessuto altera la risposta non solo provocando un abbassamento generale del livello tra i 3 e i 18 kHz ma soprattutto compromettendo la linearità con la formazione di tre evidenti buchi di 2 - 3 dB: uno più lieve a 3500 Hz e due più decisi centrati alle frequenze di 4250 e 5800 Hz. Seguono una contenuta esaltazione tra i 6300 e 7600 Hz, un avvallamento tra 7600 e 10600 Hz. Infine trascurabile (ma visibile) il calo di livello oltre i 13000 Hz sino all'estremo alto della risposta. Morale della favola: quando si ascolta le griglie è molto meglio toglierle, cosa per la verità ampiamente risaputa tra gli appassionati.

 


ONE SIZE FITS ALL
PROVA D'ASCOLTO

Il setup

Preamplificatore Rotel RC 06
Finale di potenza Rotel RB 1070
Amplificatore integrato Trends Audio TA 10.2
Personal Computer HP G62 con player Foobar 2000
Scheda audio E-MU Creative Pre Tracker Pre USB 2.0
Giradischi Pro-ject Debut II SE con testina Denon DL 160
Cavi di segnale Fluxus 2*70 S
Cavi di potenza Fluxus LTZ 900
Cavi di alimentazione Fluxus "Alimentami"

Vorrei ribadire un concetto per me importante, viste le aspre diatribe che si consumano nei forum tra "ascoltoni" e "misuroni". Una prova corredata di misure fa da stimolo a trovare delle corrispondenze tra queste e l'ascolto. Se devo essere sincero sino in fondo rimpiango un po' i tempi delle prove "disimpegnate", quelle fatte esclusivamente con le orecchie infischiandosene altamente di risposte in frequenza in asse e fuori asse, distorsioni armoniche, fasi e coerenze acustiche ma... ho voluto la bicicletta? E adesso devo pedalare! :-)

Una volta ottenuti questi agognati grafici però non posso fare a meno, per esempio, di riguardare l'immagine della risposta in frequenza in "Quasi Free Field" e associarla al buon bilanciamento tonale delle 560. Idem, osservando quella gobbetta in gamma medio-bassa si presagisce una riproduzione generosa in quella regione dello spettro, ma senza esagerazioni. Impossibile non ammettere che la waterfall, le distorsioni armoniche e la risposta fuori asse del tweeter siano suggestive della bontà di questo componente, un biglietto da visita lusinghiero che ben dispone prima dell'ascolto ma che, ovviamente, non dovrebbe condizionarlo.

Le Tesi 560 hanno una bella voce, sempre molto naturale ed esente da fenomeni di aggressività sia che a pilotarle mettiamo un "freddo" classe D che un "caldo" A/B. Nel corso dell'ascolto ho alternato due amplificazioni: il mio fido Trends Audio TA 10.2 e l'accoppiata Rotel RC 06 (Pre) e RB 1070 (Finale), raffinato ma poco potente il primo (solo 6 + 6 Watt RMS su 8 Ohm) mentre il secondo è l'esatto opposto: potente (130 + 130 Watt RMS su 8 Ohm) ma non altrettanto trasparente e analitico del TA 10.2 anche se con una gran sostanza sul mediobasso, due mondi agli antipodi per testare la risposta delle Tesi alle diverse condizioni di utilizzo.

Francamente non ho sentito l'esigenza di rivolgermi ad altre elettroniche perché già con queste la fisionomia delle Tesi è venuta alla luce con chiarezza: non si tratta di diffusori schizzinosi, dove un "errore" nell'interfacciamento può costare una prestazione poco convincente o, al limite, sgraziata. Le ho torturate con le peggiori registrazioni che ho, ma la loro reazione non è stata mai insofferente o scomposta, hanno sopportato con un aplomb tutto piemontese :-)

Forse dirò un’eresia ma sono convinto che per le prove d'ascolto servano anche le cattive registrazioni, così come un'automobile non va testata solo su strade perfette, dal fondo regolare e intonso. Come dicevo in casa bastano pochi Watt per pilotarle, nonostante la sensibilità non elevatissima, tale caratteristica mi ha consentito di ottenere buoni risultati con il Trends Audio e l'esaltazione di uno dei suoi tratti caratteristici che più mi hanno convinto. Parlo di una gamma acuta che si è dimostrata davvero alata, sempre naturale, accurata nel dettaglio come nell'analisi senza mai incorrere in fenomeni poco gradevoli tipo un innaturale assottigliamento timbrico-armonico, escamotage talvolta adottato per dare l'impressione all'ascoltatore di avere a che fare con un’estrema precisione. L'omogeneità tonale è quindi conservata senza scompensi.

Le apprezzabili doti plasticità del tweeter favoriscono la creazione di una scena ben scolpita, esente da appiattimenti e molto, molto stabile. Magari la "colpa" sarà da addebitare alla spiccata qualità dell'acuto ma ho avuto l'impressione che la regione dello spettro affidata ai due midwoofer non fosse altrettanto efficace: pur se convincente la pienezza della cosiddetta zona del calore, in più ben smorzata e discretamente veloce, mi è apparsa leggermente appannata la riproposizione del particolare minuto, talvolta una lieve velatura del medio apprezzabile per esempio sulle voci maschili.

Il riscatto avviene sul terreno dell'estensione in basso, dove i due coni lavorano benissimo conferendo una profondità sorprendente per le dimensioni del diffusore, pur sempre una piccola "slim tower". Le grandi percussioni orchestrali come timpani e grancassa, se confortate da un'adeguata amplificazione, sono tutt'altro che addomesticate ma conservano la loro intensità anche nella riproduzione d’impegnativi transienti improvvisi. Nella musica organistica le note di pedale ci sono, presenti e maestose come dovrebbero, solo il soffio del reflex diventa sensibile ad alti volumi, ma questo per un bass reflex direi che è normale; a SPL normali o non esagerate il problema non si pone assolutamente.

Nell'avvicendamento del Trends Audio con i Rotel è il parametro dinamica a beneficiare della più cospicua iniezione di Watt, si tratta di un parametro sovente critico per i piccoli sistemi, nelle Tesi invece convince grazie alla qualità e tenuta in potenza dei driver. Sul mio personale cartellino quindi la capacità di assecondare gli ampi salti di livello c'è, diversamente avviene per la microdinamica, con il dovuto distinguo tra gamma alta e medio-bassa: promossa a pieni voti la prima, un po' meno la seconda; si tratta comunque di sfumature che vanno comprese nell'ambito di un quadro generale di sicuro livello.

Con il mio album "aguzzino" sollecito a fondo la tenuta del sistema, l'impatto insieme alla capacità di sviluppare SPL non proprio condominiali, l'album Rage Against The Machine dell'omonimo gruppo è perfetto per questo. I quattro energumeni statunitensi che costituiscono il noto gruppo alternative metal sono in grado di mettere alla frusta qualsiasi impianto e le due 560 reggono bene il colpo. La gamma mediobassa è in discreta evidenza ma non deborda mai diventando eccessiva o invadente, ha il tratto di una rotondità sapientemente dosata al fine di non privare la musica del suo naturale calore, nessuna ruffianeria ma un rinforzo molto ben dosato che non snatura il buon equilibrio raggiunto. Passatemi il paragone culinario ma lo trovo simile a un esaltatore di sapidità.

Gradevoli le voci, rotonde e un po' ambrate le maschili, vive le femminili, avvantaggiate della straordinaria pulizia in gamma acuta. Sono voci intense ma educate: non strillano né si lasciano trasportare da smanie di protagonismo, una considerazione che mi sento di estendere all'indole complessiva delle Tesi 560, le quali molto difficilmente stancheranno i loro possessori nell'ascolto quotidiano di musica.

Ascolto in un solo fiato il magnifico doppio album "Love Songs" di Anne Sofie Von Otter accompagnata al pianoforte da un ispirato Brad Mehldau, rimango rapito dalla compostezza e l'equilibrio della riproduzione, l'idoneità a cogliere lo spirito soffertamente intimistico che domina dalla prima all'ultima nota questo lavoro.

Buone notizie provengono dal fronte del palcoscenico tridimensionale che si distingue in primis per la stabilità e poi per l'armonico equilibrio tra le tre dimensioni. Altezza, larghezza e profondità risultano ben proporzionate anche se dimensionalmente non mastodontiche (si tratta pur sempre di una piccola torre...), il soundstage non soffre di evidenti scompensi anche al variare della posizione d'ascolto, sintomo di un'ottima integrazione tra i vari componenti. Con altri diffusori ho raggiunto un buon compromesso angolandoli a convergere verso la posizione d'ascolto mentre in posizione parallela alle pareti laterali qualcosa si perdeva nella focalizzazione. Con le 560 questo non è avvenuto e non ho sentito la necessità di alcun "toe in" e le ho tenute parallele senza che tale posizione compromettesse alcunché.

Nelle mie sessioni d'ascolto i più disparati generi musicali non c'è bisogno che facciano a spintoni per essere riprodotti ché c'è posto per tutti, di solito però amo riservare la parte più divertente, una specie di gran finale, alla musica Rock progressive, Fusion e Jazz. Nell’introduzione penso si sarà capito che sono un audiofilo nostalgico e non ho nessuna intenzione di sconfessare la mia indole: uno via l'altro ascolto vari brani dei Pink Floyd, Genesis (prima maniera), Jethro Tull, Led Zeppelin, Gentle Giant, Emerson Lake & Palmer e, perché no, anche i nostrani Banco del Mutuo Soccorso e Premiata Forneria Marconi.

Tutti i generi soggiacciono al denominatore comune di una riproduzione generosa ma corretta, equilibrata in tutti i criteri di valutazione, tipica dei sistemi seri che non fanno la voce grossa e poi si mettono la coda tra le gambe ai primi accenni di raucedine. Il suono è completo negli armonici, dalla timbrica elegantemente seducente, mai sopra le righe, il rullante di John Bonham ha la giusta metallicità conferita dalle vibrazioni della cordiera. I fiati sanno di legno o di metallo a seconda delle classi, le percussioni sono veloci, ben smorzate, non subiscono né addomesticamenti né pacchiani eccessi. Il Jazz acustico una vera goduria...

Vi consiglio per questi generi una relativamente sostanziosa dose di Watt, vi accorgerete che quando le 560 "entrano in coppia" sanno regalare una prestazione di grande realismo riempiendo molto bene la vostra sala di suoni dall’impeccabile musicalità.

What else?

 

 

CONCLUSIONI

Ben ritrovata Indiana line!

Quando il terreno di discussione è l'Hi Fi domestica un diffusore come il Tesi 560, punta di diamante della produzione Indiana Line, dice la sua con autorevolezza. Integrabilissimo in qualsiasi sala d'ascolto sa esprimersi senza apparenti limitazioni grazie al suo grande equilibrio, correttezza tonale, estensione di gamma e una scena molto stabile, anche se di dimensioni non enormi, molto poco sensibile ai discostamenti dalla posizione ideale d'ascolto. Negli intenti e nei risultati si rivela un compagno affidabile e sincero, dotato di un approccio realistico alla riproduzione, conseguito grazie a un'ammirevole armonia tra i più diversi parametri acustici.

La generosità della regione mediobassa non si trasforma mai in invadenza ma conferisce una piacevole corposità alla riproduzione, facile l'inserimento in ambiente anche dal punto di vista del posizionamento: nella mia sala d'ascolto ho raggiunto rapidamente un buon bilanciamento posizionando la coppia di Tesi a un metro abbondante dalla parete di fondo (110 - 120 cm) e circa 75 - 80 cm dalle laterali con una distanza reciproca un paio di metri.

Di tutto rispetto la gamma alta, vero fiore all'occhiello, che appare estesa, ben dettagliata, naturale e mai fastidiosamente penetrante. Le gamme inferiori (media e inferiore) convincono ma non riescono a raggiungere il medesimo livello di lucidità, talvolta leggermente velata la gamma media.

 

Non fatevi soverchie paranoie nella scelta dell'amplificazione, le 560 sono di "bocca buona", importante è sceglierne una di livello adeguato alla classe del diffusore e che sappia assecondarne la grande pulizia di emissione. Non sono richieste elettroniche particolarmente correntose, come da tradizione Indiana Line bastano pochi Watt per farle cantare a dovere ma vi accorgerete che con qualcuno in più sono in grado di sfoderare un'insospettabile grinta.

Alfredo Di Pietro


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