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 Incontro con la musica - Lesmo 02/02/2018 Minimalizovat


 

 

INCONTRO CON LA MUSICA
LUCA CIAMMARUGHI E FRANCESCO LIBETTA

 



Per come lo intendo io, un resoconto dovrebbe essere gestito con un atteggiamento di "creatività castigata", quel tanto che basta per evitare il pedestre, evitando quindi di uniformarsi al concetto informatico del "prospetto riepilogativo di una raccolta di dati disposti in colonna". Da bandire anche i fantasiosi voli pindarici, che rischiano di risultare scollati dalla realtà che si vuole raccontare. Non sarebbe male insomma abbracciare una buona via di mezzo. È con questo principio d'equilibrio che mi accingo a stendere l'ennesimo report. Lesmo, venerdì 2 febbraio 2018, piuttosto inconsueto è stato il teatro dell'evento "Incontro con la musica": la sala consiliare del Palazzo di Città del piccolo comune brianzolo. Un luogo primariamente deputato alle riunioni dei consiglieri nelle amministrazioni comunali, privo di strumenti musicali, per l'occasione c'erano soltanto un Notebook e un videoproiettore con i quali vedere qualche clip da YouTube. Tanto basta, anzi meglio perché così nulla ha potuto sottrarre attenzione ai due relatori convenuti per l'occasione: Luca Ciammarughi e Francesco Libetta. Il primo pianista, critico musicale e conduttore radiofonico, il secondo pianista, compositore e direttore d'orchestra; due figure di rilievo nel panorama musicale del nostro paese. In un'atmosfera piuttosto informale, quasi una "reunion" tra amici, è stato presentato il libro di Luca Ciammarughi "Da Benedetti Michelangeli alla Argerich - Trent'anni con i Grandi Pianisti" e il concerto di Francesco Libetta a Milano del 5 febbraio, non un recital propriamente inteso ma uno spettacolo particolare, dove le formidabili dita del pianista pugliese hanno intessuto (ma non solo) la colonna sonora dei film muti "Cenere" e "Rapsodia satanica".

 

Franca Pellizzari, assessore alla cultura di Lesmo

Ma bisogna innanzitutto ringraziare le realtà "Passione Musica" e "Banca del tempo Cronoteca" se questo evento ha potuto aver luogo. La seconda nasce nel 2014 come club di promozione sociale, dove i membri mettono a disposizione, condividendole, le proprie capacità per chi le richiede. I tre piccoli comuni contigui che hanno patrocinato quest'iniziativa sono Lesmo, Correzzana e Camparada, ognuno rappresentato da tre persone. In pratica, si tratta di un progetto formalizzato con bando della Regione Lombardia dove, per esempio, se una persona deve fare una visita in ospedale ma ha difficoltà a raggiungerlo, può chiedere a un socio di accompagnarla. Il tempo speso per quella persona viene "accreditato" all'accompagnatore. Tutti gli iscritti hanno così un conto corrente, esattamente come quello bancario, in cui al posto del denaro ci sono le ore. In realtà, all'interno dell'associazione nessuno è interessato al saldo, se anche un socio va in "rosso" non ci fa caso nessuno. Ciò che è importante è tenere il conto degli scambi che si fanno nelle varie attività, nell'ottica dello scopo finale, che è quello di stabilire dei rapporti di buon vicinato. Due sole persone possono già rappresentare una banca del tempo nel loro mutuo aiutarsi. Una collaborazione che si manifesta financo nel buon buffet preparato per la serata, a cura di quei soci che hanno dato la propria disponibilità culinaria. Il monte ore accumulato ha un valore simbolico, vuole essere indicatore del tempo che si scambia, si guadagna e si spende in questa comunità.

 

Lorena Ferrario, vice presidente di Banca del Tempo Cronoteca

Luigi Nicolardi, rappresentante di "Passione Musica"

La vera difficoltà non è il dare, poiché, confondendosi un pochino con il volontariato, tutti sono portati a farlo, quanto il ricevere. È arduo quindi focalizzare le esigenze personali che potremmo affidare ad altri e questo perché si è molto più propensi a dare che a ricevere. Alla fine della fiera quest'iniziativa serve a far socializzare i membri fra loro. In teoria le attività, anche quelle culturali come in questa serata, dovrebbero essere rivolte solo ai soci, ma in casi particolari vengono aperte al pubblico. Ogni argomento può essere affrontato, l'importante è che ci sia un socio disposto a mettere in campo le proprie competenze, che non devono essere necessariamente di livello professionale, anzi in generale dev'essere il contrario. Molto più giovane è la comunità "Passione Musica", che esordisce in questa serata con la sua prima iniziativa ufficiale, nata con l'intento di diffondere la cultura della musica classica, sensibilizzare i ragazzi e soprattutto condividere eventi come quello di stasera.


DA BENEDETTI MICHELANGELI ALLA ARGERICH - TRENT'ANNI CON I GRANDI PIANISTI

Serio ma non serioso è il carattere che Luca Ciammarughi desidera dichiaratamente imprimere alla serata perché così è la musica classica. Spesso ciò che in questa manca è un approccio verso il pubblico, e tutto quanto ruota intorno a essa, che sia più rilassato di quanto lo fosse in passato. Parla anche per se quando afferma che la figura del critico musicale è stata vista in precedenza come qualcosa da temere, alla stregua di un giudicante, di una sorta di pontefice che determina i destini dei pianisti e che, in base al suo gusto e arbitrio, può distruggere una carriera o, al contrario, esaltarla. Lo scopo del libro, tiene immediatamente a chiarire l'autore, non è assolutamente questo poiché egli desidera parlare di ciò che gli piace, piuttosto che distruggere ciò che non gli aggrada. "Musica" per le orecchie degli appassionati che vogliono capire e non assistere a un cruento "film". Il messaggio è confortante, soprattutto in un'epoca come la nostra, incline al riversamento dell'odio nei Social Network o in tante altre manifestazioni. Importante è, in buona sostanza, comunicare le proprie passioni più che le idiosincrasie. Questo libro nasce come atto d'amore verso il pianoforte e i pianisti, in maniera quasi rocambolesca. L'infaticabile Luca Ciammarughi ha scritto nell'anno appena trascorso ben tre libri (l'ultimo è ancora incompleto), seguenti un periodo d'inattività letteraria durato ben otto anni, "quello che presento oggi mi ha aiutato a sbloccarmi", dice convinto. In verità, già da un po' di anni a questa parte coltivava l'ambizione di scrivere un libro sui grandi pianisti del passato, avendo maturato negli anni (fin da quando, bambino, ascoltava la filodiffusione) una certa conoscenza degli interpreti, dagli albori della discografia (1905) sino a oggi.

 



Le buone idee, si sa, possono covare come brace sotto la cenere, ma non estinguersi, ecco perché il progetto non è passato nel dimenticatoio, visto che Ciammarughi ne prevede la stesura in futuro. Venendo ai nostri giorni, quando la scorsa estate Zecchini Editore gli ha chiesto di scrivere un libro nel giro di due soli mesi, Luca ha ritenuto che il lavoro necessario per mettere insieme tutte le conoscenze di un secolo di pianoforte dovesse essere veramente sovrumano per un'estate. La soluzione è venuta pensando a un lavoro non "scientifico", qualcosa dall'impostazione non compunta che volesse tirare le fila del pianismo del passato. Così ha parlato degli artisti del presente, o meglio di quelli che lui veramente ha ascoltato dal vivo e conosciuto, tranne qualche eccezione, e che hanno accompagnato il suo percorso di musicista a 360°. Noto è, infatti, il suo eclettismo, come prima dicevamo pianista, critico musicale, giornalista e conduttore radiofonico. In queste vesti ha così potuto avvicinare dei pianisti, per esempio Maurizio Pollini girandogli le pagine dello spartito, con cui diversamente sarebbe stato molto più difficile approcciarsi. Con Pollini ha passato un'intera giornata, apprezzando anche alcune sue particolarità caratteriali (ben descritte nel capitolo a lui dedicato), cose che possono sembrare di secondo piano ma, in effetti, non lo sono del tutto. Ha suonato con Francesco Libetta, dopo averlo prima ospitato nella sua bellissima trasmissione radiofonica "Il pianista", e altri interpreti.

 



Tante sono state le situazioni in cui è venuto a diretto contatto con molti di loro, rammenta i francesi Eric Heidsieck ed Henri Barda. Ha desiderato scrivere un libro non oggettivo ma dichiaratamente soggettivo, frutto di esperienze vissute in prima persona, una sorta di romanzo del pianoforte dove ritroviamo un misto tra racconto e critica musicale, condotto affrontando un periodo che va da Arturo Benedetti Michelangeli sino ai giorni nostri. Ed è proprio nella figura di questo grande pianista che viene identificato il punto di partenza, poiché è il primo che ha folgorato Luca Ciammarughi sulla via di Damasco, tra l'altro nel giorno della sua morte, appresa dal telegiornale. In una ripresa fatta negli studi RAI di Torino nel 1962, unico documento televisivo italiano (che abbiamo rivisto su YouTube), Luca rimase affascinato dalla sua interpretazione della Sonata in do maggiore di Baldassarre Galuppi. "Mi sembrò quasi una figura angelica, così perfetto, così assoluto", dice. "Da Benedetti Michelangeli alla Argerich" è fedele a una tesi di fondo, riconoscibile nella rappresentazione del passaggio da una concezione interpretativa a un'altra. Un senso di perfezione un po' strutturalista caratterizza Michelangeli e altri pianisti di quell'epoca, anni '70 - '80, legata anche al testo, alla resa puntuale di ciò che è scritto nella partitura. L'imperativo era annullare il proprio istinto, la propria soggettività per inseguire un'interpretazione che fosse il più possibile alla lettera. I pianisti degli anni '60 - '70 - '80 spesso si conformavano alla cosiddetta era del disco, in cui la ricerca di una sempre maggiore perfezione era di primaria importanza, oppure anche il tempo dei concorsi.

 

Francesco Libetta

In questi venivano (vengono?) valutati una serie di parametri come la pulizia del suono, la potenza, la capacità di sviluppare una certa dinamica, tutti elementi che, tuttavia, a volte hanno fatto soccombere la personalità di chi suonava. Ci sono esecutori che non di rado sbagliano ma che comunicano molto più di altri assolutamente precisi. Si delinea allora un percorso che, partendo dalla ricerca della perfezione esecutiva, oggi approda a una filosofia sostanzialmente agli antipodi, quella del ritrovato gusto per un'imperfezione creativa. In base a questa tendenza, se anche il pianista mostra qualche falla digitale, può comunicarci molto di più attraverso il fraseggio, la ricerca di un'emozione istantanea. Il ragionamento naturalmente vale anche per le altre arti, ma nella musica più di tutte poiché è "cinetica", dinamica per eccellenza, in fondo anche il cinema lo è, pur rimanendo un qualcosa di fissato, vale a dire un prodotto estetico che non può essere modificato nel suo svolgersi. La proverbiale perfezione di Michelangeli non è algida, tutt'altro. Risulta estremamente evocativa pur nella calma, nella compostezza del corpo, non esclude il sentimento della nostalgia né la più ampia visione di un ideale bellezza classica. È anche vero che questo pianista rappresenta il punto d'arrivo, riconosciuto da tanti altri artisti per certi versi insuperabile, di un processo che conduce alla bellezza assoluta ma che rischia di sfociare in un'imitazione da parte degli altri, purtroppo non altrettanto interessante dell'originale, quasi una "brutta" copia.

 

Luca Ciammarughi

Con lui si è venuta a creare una situazione simile a quella di Maria Callas. Il suo mito è diventato quasi castrante per molte cantanti e il mondo dell'opera in generale, tanto da configurare un pre Callas e un dopo Callas, in una strada disseminata di "vedovi". Molto simili quindi le figure di questi due grandi artisti che, tuttavia, dal punto di vista del virtuosismo non sono poi così perfette come altre. Michelangeli non suonava gli studi di Chopin e il repertorio super virtuosistico, non eseguiva i concerti di Brahms e non perché non ne fosse capace. Josef Lhevinne era più dotato di lui tecnicamente, come pure alcuni pianisti dei nostri giorni, superiori dal punto di vista della forza e della velocità. Michelangeli, come la Callas, ha però davvero portato alla perfezione uno stile interpretativo, cercando con i propri mezzi di pervenire a una bellezza assoluta. "Ma bisogna andare oltre", afferma Luca Ciammarughi, "nell'arte ci sono corsi e ricorsi, epoche di classicismo e Michelangeli è classicissimo negli anni successivi al '50 - '60. Bisogna però superare questa concezione. Come nella storia dell'arte abbiamo il rinascimento, che possiamo considerare come una sorta di ritorno alla classicità antica, e poi il barocco, il manierismo che vanno oltre. Altrettanto avviene nella storia dell'interpretazione musicale, in cui la tendenza di questa corrente di pensiero viene oltrepassata per riconquistare una vita se vogliamo un po' più grezza, meno patinata". Non che Michelangeli fosse lezioso, ma quando lo vediamo suonare rimaniamo quasi intimoriti dal suo estremo contegno alla tastiera, quasi "mortifero".

 



In un articolo giornalistico, dove si parlava delle ipotetiche posizioni politiche dei musicisti attraverso la loro arte, si diceva che Michelangeli rappresentasse un modo di suonare lontano dalla creatività rivoluzionaria della sinistra. In un certo senso questo è vero; se pensiamo al periodo della rivoluzione russa del 1917, ci troviamo di fronte a un tipo di espressività dirompente, sperimentale e anche un po' rude, praticamente contrapposta alla sua. Per Francesco Libetta l'arte è uno specchio, un aggregante, un condensatore di comunità, funzione sociale che viene svolta anche dal calcio. La società non si unisce solo orizzontalmente, vale a dire per individui che vivono nello stesso momento, ma anche verticalmente. Pensiamo ai monumenti che sono stati creati nel tempo, questi danno il senso della continuità della comunità sia verso in nostri posteri sia verso i predecessori. Un musicista come Michelangeli, che pure era molto attento alla musica contemporanea, soprattutto nei primi anni, si pone come un "medium" che non si muove e non esiste. Attraverso lui noi arriviamo al 1700 e, grazie al video di YouTube, al 2018. Secondo Luca Ciammarughi, quando ascoltiamo un pianista non siamo al cospetto soltanto dell'arte del pianoforte ma anche a una visione del mondo, quella che i tedeschi chiamano "weltanschauung", anche di questa si parla nel suo libro. Un aspetto importante di oggi è riportare la musica classica verso il pubblico, senza doverla banalizzare a tutti i costi attraverso teatralizzazioni, gesti enfatici o minigonne.

 



È necessario far capire che la musica non sta in un Olimpo astratto ma parla veramente della nostra vita, del modo con cui ci rapportiamo al mondo, con la società e i nostri simili; attraverso di essa e l'interpretazione emerge l'umanità. Un altro pianista di cui si parla nella presentazione è Dino Ciani, sicuramente molto diverso da Michelangeli ma altrettanto grande, prematuramente scomparso in un incidente stradale a Roma, sulla Via Flaminia. Si tratta di un interprete quasi opposto, lontano dalla ieraticità, dall'atteggiamento sacerdotale di Michelangeli perché comunicante in maniera più diretta con il pubblico. Nel video proposto, il pianista di Fiume si rapporta in modo molto simpatico e diretto con il pubblico, suonando quasi come se improvvisasse, in maniera forse meno perfetta di Michelangeli, ma più umana, anche in un brano così metafisico come "La terrasse des audiences du clair de lune" di Claude Debussy. A Ciani piaceva andare all'avventura, un po' come oggi Francesco Libetta, era capace di macinare grandi quantità di musica, non esclusa la liederistica e operistica. Amava mettersi in gioco, anche al di là della sua figura di solista, e questo lo portava talvolta a seguire un percorso per "prove ed errori". Molte sue incisioni sono state criticate; registrò in un'esecuzione casalinga le 32 sonate di Beethoven e i 24 studi di Chopin dove non mancano note sbagliate o imprecisioni. Nonostante ciò il messaggio emotivo e culturale del suo pianismo è molto più forte di ciò che gli può essere rimproverato in quelle piccole defaillance.

 



Venendo ai nostri giorni, potremmo chiederci perché un pianista fenomenale come Libetta si dedichi anche alla composizione e direzione d'orchestra, sottraendo tempo allo studio del suo strumento. Allo stesso Ciammarughi è stato domandato il perché delle sue molteplici attività nell'ambito della musica, le quali precludono una specializzazione in un campo specifico. Una bellissima risposta alla "querelle" viene da Libetta stesso, che chiarisce come l'approfondimento, inteso come lo scavare intorno a un'opera per poterla vedere da tutte le parti, non può fare a meno di una vasta cultura, che è poi il miglior viatico per la sua contestualizzazione. In realtà l'approccio multidisciplinare non dev'essere considerato come una distrazione da altre attività, ma la preziosa possibilità di vedere una cosa da ogni lato. Anneddoti di vita vissuta. Qualche giorno prima dell'evento di Lesmo, Luca Ciammarughi aveva incontrato il grande documentarista Bruno Monsaingeon, uno dei geni nel filmare musica che si è dedicato a giganti della tastiera come Glenn Gould e Sviatoslav Richter. Luca, inutile dirlo, ha approfittato della "ghiotta" occasione per discorrere con lui sulla situazione attuale della musica, non solo riferita alla pianistica ma nel suo complesso. Durante il regime sovietico la musica veniva in qualche modo regolamentata da leggi i cui dettami erano riassunti nell'espressione "realismo socialista". Bisognava scrivere musica non troppo dissonante ma piuttosto consonante, non troppo cupa ma festosa per dare l'impressione di trionfo, del benessere di cui godeva la sana gioventù russa.

 



Oggi tuttavia, nonostante siano state quasi del tutto superate le ideologie e i regimi del '900, siamo entrati in una fase storica che ci dà l'impressione della libertà ma in realtà, diceva Monsaingeon, non siamo per niente liberi ma sottoposti a un continuo bombardamento di musica dalla realtà esterna. Succede quando ci rechiamo al ristorante, al bar, siamo assillati pure nelle ricerche su Internet poiché i primi link che vediamo sono quelli che riscuotono più visualizzazioni. Nel campo del pianismo siamo letteralmente invasi da quei quattro o cinque nomi della cosiddetta musica classica contemporanea, tipo Allevi o Einaudi, o nel campo dell'interpretazione Lang Lang, i quali tendono a monopolizzare il mercato con la logica dei grandi numeri. Nel suo libro Ciammarughi cerca di uscire da questa "impasse" per far capire come il mondo della musica per pianoforte, ma anche cameristica, sia estremamente ricco e diversificato. Nel libro vengono citati tanti pianisti italiani attuali, molto differenti tra loro, in ossequio proprio a quella libertà di sguardo che non deve piegarsi a un "mainstream" imperante, fatto delle realtà più "gettonate". Libetta avalla questo aspetto: uno dei principi sottesi ai profili artistici contenuti nel libro, sconfessa l'idea del grande pianista cui chi voglia intraprendere questo mestiere si deve ispirare. Esistono invece tante individualità, con un carattere ben definito, e se suonano bene possono diventare anche dei grandi pianisti. In questa panoramica trovano posto dei personaggi, delle maniere di vivere la musica, anche abbastanza eccentrici, che possono essere condivisi ma fatti non solo per essere "venduti".

 



Tornando a bomba alla conversazione tra Luca Ciammarughi e Bruno Monsaingeon, il regista diceva che oggi l'artista vive un vero e proprio dramma. Se ha delle notevoli doti deve affidarsi a un agente, cosa non sempre favorevole per lo sviluppo della sua carriera. Se si tratta di un'agenzia importante, questa si dedicherà quasi esclusivamente al grande nome, privilegiandolo nella pianificazione dell'attività concertistica e dedicandosi meno a chi è in fondo alla lista. Un'altra possibilità è l'autopromozione. Tutti per diffondere la propria attività fanno naturalmente della "autoreclame", propagandando un evento come una conferenza o un concerto e oggi il mezzo più immediato è darne annuncio sui Social Network, Facebook per esempio. Una pratica senz'altro utile ma che può essere anche imbarazzante da un certo punto di vista. Sono problemi che possono sembrare superficiali per chi non li vive, ma che in realtà costituiscono la chiave della difficoltà in cui l'artista si trova oggi. Se è troppo nascosto nessuno si accorgerà di lui, se è troppo in evidenza andrà contro quello che è un sano approccio con l'arte, non mostrarsi cioè come egocentrico ma voler "semplicemente" rendere un servizio. Che poi sotto questa semplicità si nascondano delle difficoltà terribili è un'altra storia. Si sente spesso dire la fatidica, nostalgica frase di un bel tempo andato: "non ci sono più i pianisti di una volta"; se questo è vero, lo è dal punto di vista puramente storico. Nel passato come oggi sono esistiti i giganti della tastiera, i bravi pianisti e quelli di secondo piano, ma valutare la propria epoca è sempre difficile. Bisogna sforzarsi di viverla cercando di capire cosa è giusto o non è giusto valorizzare.


IL CONCERTO DI FRANCESCO LIBETTA A MILANO
(05/02/2018)

"È interessante parlare di cinema come arte esatta. Un tecnico delle luci molto esperto (aveva lavorato con Luchino Visconti e Federico Fellini) che aveva prestato la sua opera anche nel teatro, disse che in questo si fa quel che si può. Ogni volta può accadere qualcosa d'imprevisto, un cantante che fa un passo un minimo più largo uscendo dalla zona di luce prestabilita. In campo musicale può succedere che la seconda tromba suoni un po' più forte, costringendo tutti gli altri a bilanciare il volume. Il cinema invece è più preciso, quello che si fa rimane lì, i tempi di proiezione sono stabiliti con esattezza, come le luci, i suoni e tutto". Sono parole di Francesco Libetta, un artista che a distanza di tre giorni da questa presentazione ha dato uno splendido concerto a Milano, nella sala Verdi del Conservatorio, come parte attiva, anzi commento suonante a due celebri film dell'era del muto: "Cenere" di Febo Mari del 1916, con la grande Eleonora Duse, e "Rapsodia satanica", del 1917, di Nino Oxilia, con Lyda Borelli. La tecnologia, nel cinema come nella musica, ha consentito di fissare l'evento sonoro e visivo, una ritualità che dev'essere considerata come una cosa seria perché non v'è nulla di più serio che dire la verità. Dirla a volte può essere anche ridicolo, in certi casi umiliante, ma sempre difficile. È però la cosa più artistica che si possa fare. L'autenticità imperfetta di un'esecuzione fatta al momento, con sincerità, è molto più vera di una considerata perfetta perché rispetta soltanto certi canoni.

 



Ecco che si verifica l'incontro tra un'arte esatta e un'altra in cui si è scoperto che un certo tipo di precisione non è la cosa più interessante. L'esperimento di conciliare l'estetica visiva del cinema e l'esecuzione al pianoforte di musica, appositamente composta da Pietro Mascagni in "Rapsodia satanica", a posteriori posso dire essere riuscito molto bene. La struttura della serata musicale è stata indubbiamente curiosa, gli articoli giornalistici che ne hanno parlato dimostrano che chi gli ha stilati ha capito ognuno una cosa diversa. Non sempre si è preparati o abbastanza sensibili per cogliere al volo un qualcosa che si presenta diverso dai consolidati canoni concertistici. Nel film "musicato" da Mascagni recitava l'allora famosissima Lyda Borelli, impegnata a esprimere una performance per forza di cose prevalentemente gestuale, lei allargava spesso le braccia, nei momenti più drammatici si attaccava alle tende. Il commento sonoro a firma del grande compositore livornese, una colonna sonora che accompagna per intero il film, è piuttosto difficile da realizzare poiché, essendo stato lui un grande artista, volle rappresentare con scrupolosità ogni momento del film, scena per scena. L'entrata di Mefisto, per esempio, corrisponde a un tema che si ripresenta ogni volta che lui riappare, un leitmotiv. Ogni volta che compare un panorama interviene un motivo più ampio, un tema agitato esordisce se si verifica una scena tempestosa. L'esecutore deve stare quindi attentissimo alla corrispondenza tra scena e musica, in una sincronia che dev'essere la più precisa possibile (continuamente durante l'esecuzione Libetta distoglieva per un attimo lo sguardo dal pianoforte per rivolgerlo allo schermo).

 



Si tratta di una cosa che comunque è molto complessa da realizzare, anche per un concertista navigato come lui. Alla fine il brano diventa come un grande poema sinfonico spiegato dall'immagine, non è più questa a essere meramente decorata da un sottofondo, ma accompagnata da un'opera musicale di cui si capisce la grandezza in quanto abbiamo davanti l'immagine da cui scaturisce. Nella prima e terza parte ci sono stati i due film, "Cenere" nel primo e "Rapsodia satanica" nel terzo, mentre il secondo è stato interamente occupato da un mini-recital composto da brani che non sto qui a dettagliarvi, visto che ho intenzione di redigere un reportage anche del concerto. Si tratta di pezzi molto famosi, quasi tutti ben riconoscibili sin dalle prime note. È stato un concerto un po' "sui generis", meno impegnativo di un recital dove l'appassionato deve avere l'energia per mantenere la concentrazione mentale lungo tutto il suo corso, ben sapendo che una sinfonia o una sonata può durare (e in certi casi superare) l'ora di tempo. Un film può anche fare da intrattenimento per una persona che non vuole stancarsi troppo. Quando un film coincide con l'esecuzione di musica classica ci si ritrova a scherzare col fuoco: una cosa è risultare avvincenti con un inseguimento, un omicidio o un dramma, un'altra è farlo con esperimenti di questo tipo. A proposito di film, quando in nove minuti di film Ignacy Paderewski, noto pianista e anche primo ministro polacco, suona la polonaise "Eroique" si compie un'opera che è a metà strada fra la divulgazione e la documentazione d'arte.

 



Un famoso critico americano (il "Ciammarughi" di New York lo chiama Francesco Libetta) era negli anni '60 Harold Schonberg del New York Times, egli scrisse un famoso libro sui pianisti "The Great Pianists" (Victor Gollancz, London 1964) e la biografia di Vladimir Horowitz: "Horowitz - His life and music". Dichiarò, facendosene un vanto, che teneva personalmente le distanze dal grande pianista di origine russo-ucraina perché il suo giudizio doveva mantenersi quanto più possibile oggettivo. Un libro come questo di Luca Ciammarughi assume un atteggiamento, preziosissimo, che consiste nel trattare dei pianisti operanti in questi anni per l'80% in modo interlocutorio. Diversamente da Schonberg e Horowitz, che non avrebbero mai potuto sedersi vicino a parlare di musica, Ciammarughi invece lo fa con Francesco Libetta, per esempio, al quale non a caso ha dedicato un bel capitolo del libro. In questo modo si pone in una condizione/filosofia diametralmente opposta, potremmo dire, rispetto a certi critici degli anni '70, basata appunto sul dialogo. Spiega ma non giudica. Uno splendido esempio dell'utilizzo filmico di un brano, un capolavoro in questo caso come la Polonaise "Eroique" Op. 53 di Chopin, risale al 1937, quando Ignacy Paderewski appare in una famosa scena del film Ardente fiamma (Moonlight Sonata). Qui c'è la manifestazione di un'idea diversa del grande pianista che esegue Chopin, ma anche un libro sui grandi pianisti a quel tempo sarebbe stato differente, come lo era la concezione del pianismo.

Nel corso del film, il pianista indossa sempre una cravatta bianca, che diventa parte del personaggio, assume un ruolo ufficiale che lo fa parlare con nobilissima lentezza. Nei concerti che dava, si parla degli anni '20 - '30, entrava in scena con mantello e cilindro. È un brano che Francesco Libetta suonerà nel suo concerto milanese. Il commento sonoro pianistico nel film "Cenere" di Febo Mari è un Potpurri di brani legati al periodo dannunziano mentre in "Rapsodia satanica" la musica è di Pietro Mascagni, appositamente composta per "sonorizzare" il film. Quello che è interessante notare è come i gesti drammatici degli attori, privati della parola, siano accompagnati da una musica che deve passo passo sincronizzarsi con l'azione filmica. Quando un film muto viene riversato su DVD, molte volte le colonne sonore sono scelte un po' a caso, slegate dal contesto delle situazioni, una musichetta di sottofondo giusto per evitare il silenzio. Libetta pensa che ciò si riveli un'occasione sprecata, sia per il film che per la musica. Nella serata del 5 febbraio potremo apprezzare come si sia cercata la massima aderenza tra immagine azione, che sono state altamente sinergiche, a favore delle emozioni comunicate al pubblico.
 
Brani da YouTube

Baldassarre Galuppi: Sonata in do maggiore - I° movimento - Arturo Benedetti Michelangeli
Claude Debussy: La terrasse des audiences du clair de lune: Lent - Dino Ciani
Charles Valentin Alkan: "I. Vingt Ans" da la Grande Sonata Op. 33 - Francesco Libetta
Fryderyk Chopin - Polonaise in la bemolle maggiore "Eroique" Op. 53 - Ignacy Paderewski (dal film Moonlight Sonata)
Frammento dal film "Cenere" di Febo Mari, con Eleonora Duse (1916)

Alfredo Di Pietro

Febbraio 2018


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