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 Giacomo Baldelli - Electric Creatures Riduci

 

 

GIACOMO BALDELLI - "ELECTRIC CREATURES"

Giacomo Baldelli – Chitarra elettrica

 
1) G. Baldelli – And Watch – 2018 - Kate Soper (Voce) / (Prima Registrazione Mondiale)

2) Eve Beglarian – Until it Blazes – 2001

3) Andrea Agostini - Three Electric Creatures - 1 - 2014 (Prima Registrazione Mondiale)

4) Andrea Agostini - Three Electric Creatures - 2 - 2014 (Prima Registrazione Mondiale)

5) Andrea Agostini - Three Electric Creatures - 3 - 2014 (Prima Registrazione Mondiale)

6) Ryan Pratt – Two – 2018 (Prima Registrazione Mondiale)

7) Jacob TV – Grab It! – 1999 (Prima Registrazione Italiana)

8) Nick Norton – Slow Earth – 2018 (Prima Registrazione Mondiale)



Rimango perplesso, io appassionato da tempo immemore di musica classica, progressive, jazz e di tutti quei generi che si muovono entro i confini di una sostanziale gravitazione tonale, quasi sgomento di fronte a ogni forma di sperimentazione avanguardistica, nel prendere contatto con questo "Electric Creatures". Mi arriva a fine ottobre, tra capo e collo, questo lavoro recentemente lanciato dall'etichetta reggiana "Sussidiaria", seconda pubblicazione del musicista emiliano Giacomo Baldelli dopo "Chitarra Italiana del XXI° Secolo". Mi chiedo subito se sia il caso che io parli di un'opera così distante dalle mie frequentazioni, ma alla fine prevale in me una lusinga: la proposta fattami dal gentile Daniele Carretti, chitarrista degli Offlaga Disco Pax, di recensire questa novità discografica. Dopo un esame di coscienza, consapevole del fatto di non poter produrre altro che una disamina strettamente legata a una visitazione fatta con orecchio non specialistico, mi sono barcamenato nei mezzi concessi dal Web: testi, critica specializzata, interviste e gli onnipresenti filmati di YouTube. Quasi aizzato dalla tensione verso una conoscenza del nuovo che non fosse epidermica, mi sono immerso in tutto quel materiale che sono riuscito a reperire. Il risultato è stata la scoperta di un artista che non conoscevo, proiettato verso il futuro ma in grado di padroneggiare perfettamente il repertorio classico e del '900. Mi ha molto colpito, per esempio, la sua interpretazione insieme al flautista Gianni Biocotino (con il quale forma l'Avantgarde Duo) del brano Bordel 1900 di Astor Piazzolla, da "Histoire du Tango", oppure "Un dìa de noviembre" di Leo Brouwer.

Compito facilitato allora? Non direi. Per entrare nelle pieghe di un genere musicale, per di più ad alta complessità, non basta informarsi perché, alla fine, lo strumento principe nelle nostre mani per lo scavo in una materia sonora tanto anticonformistica è la nostra sensibilità, l'unica che garantisca l'assorbimento sensoriale e il conseguente filtraggio critico attraverso di essa. Si poneva quindi il problema di scattare l'istantanea di un'immagine mai vista prima, se non di sfuggita, dalle mani di un "fotografo" il cui interesse era sinora rivolto a un tipo di musica ben diversa. Ma non deve aver battuto una strada spianata nemmeno lui, l'autore. Per sua esplicita ammissione, Electric Creatures è il frutto di un lungo periodo di riflessione, dov'è stato messo in discussione il rapporto con la musica contemporanea, sperimentale o d'avanguardia. Un viaggio che conduce in posti inesplorati, percorso dall'ascoltatore in compagnia dell'autore lungo una strada che si snoda entro gl'impervi confini di una contemporaneità "in fieri". Ecco che emerge l'impressione di un itinerario condiviso; riceviamo l'invito a perlustrarlo da un compositore/esecutore forse anche lui ignaro della stazione finale, dell'approdo. Facile sentirsi coinvolti dalla sua voglia di scandagliare una materia che sembra prendere forma nel qui e nell'ora. Ma, in realtà, non è possibile agire senza una matrice, un canovaccio dove l'ago riesca a imbastire i suoi ricami.

Un disegno, quello di Electric Creatures, che si rivela ambizioso, complesso, tratteggiato sulla falsariga dell'ascendente comunicativo insito nella musica popular – rock, elettronica, ambient. Il consapevole esperimento acquista tanto più valore in quanto condotto da un artista di spessore, definito dalla critica "uno dei chitarristi più completi della sua generazione". E complessa, articolata si presenta la biografia del musicista italiano attualmente residente a New York, fortemente impegnato a concepire un nuovo repertorio per il suo strumento che sia proiettato verso il futuro, partendo dalla base della letteratura musicale del XX° Secolo. Artista dalle innumerevoli esperienze, quasi febbrile nella sua attività, in qualità di solista e camerista di vaglia si è esibito in numerosi paesi europei e negli USA. Dal 2006 al 2013 è stato tra i componenti dell'Icarus Ensemble, di cui è stato frequentemente solista. Baldelli è attualmente membro del (h)artDrive electric guitar duo (con il chitarrista israeliano Nadav Lev), nonché del Key-String Duo (con la pianista Laura Barger) e del Kyrinx Duo (con la flautista Kaoru Hinata). Citiamo il suo progetto, "Nidra", che ha debuttato al The Secret Theatre di New York City nel maggio 2015 e vinto il concorso per nuove produzioni al Queens New Music Festival nello stesso anno. Baldelli è stato inoltre "artist in residence" presso la Boston University Center for New Music per l'anno accademico 2016/2017, mentre in questo momento è direttore del programma musicale della St. Brigid School di New York e docente di chitarra alla Third Street Music School, sempre a New York.

 



Nelle otto tracce di Electric Creatures la sua creatività s'interseca con quella di altri importanti musicisti del panorama odierno, parliamo di personalità del calibro di Eve Beglarian, Andrea Agostini, Ryan Pratt, Jacob Ter Veldhuis, Nick Norton e Kate Soper. Tutti stimati artisti che ricoprono un ruolo importante nella musica contemporanea per l'originalità e la spiccata propensione alla sperimentazione, usate come viatico verso un nuovo modo di concepire la musica. Tra loro, Andrea Agostini si è impegnato nello studio e composizione della musica elettronica e anche, tra il 2008 e il 2010, in un fruttuoso biennio di composizione e informatica musicale presso l'IRCAM di Parigi. L'olandese Jacob Ter Veldhuis è personaggio per certi versi estremo, definito compositore "avant-pop", pure lui ha intrattenuto stretti rapporti con la musica elettronica, esplosi poi con virulenta stravaganza in una musica che mira a scuotere l'ascoltatore con soluzioni di grande effetto. Lo testimonia parte della sua produzione, denominata "boombox repertoire" e nata da un intrigante, visionaria mescolanza tra strumenti live e basi parlate pre-registrate. Addirittura accusato di "terrorismo musicale". Rimarchevole è invece il contributo della compositrice, scrittrice e performer Kate Soper nel lavoro d'integrazione tra la forma letteraria del dramma e della retorica, sintetizzate in strutture musicali. Artista potente, il Boston Globe l'ha definita compositrice "dalla forza incisiva e che talvolta incute soggezione". Alla sua voce è affidato l'incipit dell'album con "And Watch", brano del 2018 e qui presentato in prima registrazione mondiale, come tutti quelli contenuti nel lavoro ad eccezione di "Until it Blazes".

Ecco quindi profilarsi in questi Soundscapes (paesaggi sonori) un universo costellato di suggestivi richiami, contaminazioni e sovrapposizioni che urgono dal substrato di molteplici istanze, si fanno avanti in un'apparente caoticità, incalzate da un'impellenza espressiva cui è difficile mettere la mordacchia. Nel fantasmagorico mosaico sonoro si fondono echi del minimalismo sacro di Arvo Pärt, della musica d'ambiente di Brian Eno, l'indietronica, il rock sperimentale e neoprogressive dei Radiohead, non mancano i Pink Floyd, colti nel loro lato più squisitamente psichedelico e "space rock" dipendente. Ci sono pure le atmosfere stranianti post-rock, post-metal e art rock dei Sigur Rós. Il caos sembra farla da padrone, ma è in errore chi lo pensa, come inizialmente è capitato anche a me. C'è un "fil rouge" in tutta quest'operazione, che è culturale ancor prima che musicale, e sta proprio nel significato del prefisso "post". Viviamo in un'era che è post "ante litteram", noi figli del post-modernismo, termine che fa riferimento alla crisi della modernità nella nostra società capitalistica e globale, dove pubblicità e televisione hanno nella nostra vita una presenza asfissiante. Con le sue creature, non fatte di carne ma di elettricità, quel "dopo" fa seguito all'espressione delle più multiformi istanze, destinate a creare il silenzio più assordante se non si provvede a colmarlo con delle voci che sbalzano plasticamente. Sono echi costituiti della stessa sostanza dei fantasmi, inquietanti ectoplasmi in via di definizione dove il sapore corrosivo della chitarra di Giacomo Baldelli s'impone come lo strumento più autentico, quello maggiormente titolato a raccontare storie dilanianti che si stagliano epicamente nella loro fredda luce.

È una produzione musicale che si fonde indissolubilmente con l'immagine, con il multimediale. Lo stesso autore chiarisce il nesso che esiste tra queste due arti, musicale e grafica, nel corso di un'intervista sul progetto Nidra. In un video riservato lo vedo consumare la performance sul palco, con delle immagini in movimento che vengono proiettate alle sue spalle, la fascinazione che ne ricevo è tutta nel richiamo alla relazione tra esterno e interno, tra conscio e inconscio, dentro e fuori. È ancora una volta il concetto dei mondi paralleli a emergere, un'idea talmente potente da aver portato alla collaborazione tra lui e l'OOOPStudio, nella finalità di realizzare un intero spettacolo basato su queste idee, narrato nello spazio di cinque cortometraggi tutti collegati uno all'altro. Se, da un lato, l'acidità della sua chitarra fa pensare al dissacratore Frank Zappa (nelle sue corde non manca la veemenza iconoclasta), Baldelli sembra piuttosto interessato a olografare immaginifici mondi in cui icona e suono diventano protagonisti di un'incantevole narrazione, vivente di luce propria. È il multimediale che avanza, in un connubio tra suono e grafica, il suo fascino ha contagiato anche artisti classici, come per esempio il pianista Maurizio Baglini. Immagine e suono, due entità spesso non considerate sullo stesso livello d'importanza dallo spettatore ma che invece lo sono, dichiara convinto il musicista di Reggio Emilia. Ma cosa rimane nell'uomo della strada dopo l'ascolto di Electric Creatures?

 



Cosa suscitano, in buona sostanza, queste otto tracce, queste otto apparizioni sonore che sembrano eruttare da una coscienza tormentata, mossa da ragioni culturali e di ricerca che possono essere ignote a chi ascolta? And Watch, consegnatoci dalla voce di Kate Soper, prende il volo come un proclama minimalista nella sua iterazione vocale. Prende in realtà spunto dal pezzo seguente, prodromo dei brani successivi. La voce cambia tono, da suadente diventa via via più agitata sino raggiungere il suo apice espressivo. Va avanti in un palleggio tra i due canali, si cheta e chiude seccamente in una coda senza riverbero. Diciassette anni sono passati da quando Eve Beglarian ha scritto "Until it Blazes", brano che trova la sua dimensione in un modello post-minimalista, fatto di ossessive ripetizioni che però variano sottilmente nel loro incessante, quasi impercettibile snodarsi. Nelle intenzioni dell'autrice può essere eseguito dal pianoforte, chitarra (o altro strumento a pizzico), arpa, marimba o vibrafono. I brevi e continui pattern melodici sono stati trattati in sala di registrazione da due delay diversamente regolati e atti a creare un ininterrotto rimbalzo tra i due canali. Una crescente "fiamma" distorsiva materializza in suono il verso "I cast the fire upon the world and watch, I am guarding it until it blazes" (Ho appiccato fuoco al mondo, e guardate, lo curo finché attecchisce). Eve Beglarian scrive espressamente in una nota che Until it Blazes può essere preceduto da questo verso, Baldelli invece vuole dargli particolare spicco e lo fa diventare idea indipendente con il pezzo di apertura "And Watch".

In tutt'altro clima veniamo trasportati con il trittico "Three Electric Creatures" (1-2-3) di Andrea Agostini, lo scenario è eminentemente chitarristico, dominato dal sapore più familiare dei mitici anni '70 in un ossequio ai Led Zepelin, cui l'autore si rifà nello stravolgimento conseguente a un'avanzata ricerca sullo spettro armonico del suono. Gli assolo hanno un carattere che ondeggia tra la cruda violenza e una più raffinata ricerca. Di carattere quasi astrale è "Two" di Ryan Pratt, un'altra creatura elettrica dov'è l'essenza timbrica dello strumento a essere elettronicamente rivisitata. Lame di luce dardeggiante dal colore siderale si sprigionano dallo strumento di Giacomo Baldelli, l'impressione di essere traslati all'improvviso in un mondo inesplorato è qui davvero forte. Inequivocabile il richiamo alle atmosfere tipicamente ambient di Brian Eno o dei Pink Floyd prima maniera, governati dalla visionarietà allucinata di Syd Barret. Proprio da lui sembra trarre alimento lo spirito di "Two", nella sua inclinazione all'esplorazione di tecniche sperimentali, come dissonanze, distorsione e feedback, tutti elementi che questo brano mostra di avere ben assimilato. Un piccolo shock si rivela l'ascolto di Grab It!, scritto dall'estroso Jacob Ter Veldhuis in epoca ancor più lontana (1999) di Until it Blazes. Si potrebbe scrivere un piccolo trattato su questo fantasmagorico pezzo post-moderno, violento hip-hop di stampo psichedelico innaffiato con sprazzi di synclavier zappiano. Uno stranito collage dove i vari ritagli sono messi insieme a ritmo serrato.

Affiorano come dall'interno di un pozzo le voci di condannati a morte, le loro parole vengono tagliate, rimontate e filtrate attraverso vecchi "Boombox", secondo una tecnica di deformazioni che richiama la pellicola calpestata e bruciacchiata di "Nostra signora dei Turchi" di Carmelo Bene. Originariamente composto per sax e traccia pre-registrata, Grab It! è proposto da Giacomo Baldelli nella versione per chitarra elettrica. La traccia assiemata con questa tecnica è stata poi passata sotto il filtro sonoro dei diffusori di vecchi impianti stereo anni '80. Nell'alveo di cellule ritmiche tribali, negli agglomerati di suoni iterativi che coinvolgono anche spezzoni di parlato, al minuto 6:18 spunta un qualcosa di più familiare, ma è solo un'apparenza perché il turbine iniziale riprende rapidamente quota. Stessa cosa avviene al minuto 7:34. Electric Creatures termina con Slow Earth di Nick Norton, ennesimo paesaggio sonoro che si consuma in una sorta d'immobilismo temporale di conio mistico. Spirituale, ma di un'ascesi che non rinuncia al marchio di fabbrica baldelliano: un ambient inquietante, sporco e distorto, qui costruito su un pacchetto di sovraincisioni suonate da undici chitarre e otto bassi elettrici, tutti eseguiti dal chitarrista emiliano e appositamente registrati per questo album. Una sorta di fantasmatico corale bachiano dei tempi moderni, che cala chi ascolta in un indistinto limbo di suono. In Slow Earth prende forma un'immagine sonora pulviscolare, fatta dalla luce abbacinante della chitarra.

l vari ed eventuali paesaggi dove si agitano le creature elettriche preludono a una nuova poetica, quella dell'oltre, del guardare sempre avanti. Le otto tracce di Electric Creatures si giocano sulla suggestività di vedute sonore olografate con perizia, sulla spinta di un'urgenza che talvolta esonda nel marasma espressivo. Sembra disorientare più che rasserenare ma è un mondo che ha un suo perché: la bruciante testimonianza di un passaggio terreno dove si vuole lasciare un'impronta. Nell'ascoltare questo lavoro l'impressione dominante è di apprestarsi ad affrontare un viaggio tra conscio e inconscio, esteriorità e interiorità, operazione che solo in apparenza pare risolversi nella ricerca di un effetto superficiale. Dei brani che possono risultare sulle prime incomprensibili, tanto da indurre ad abbandonare l'ascolto dopo pochissimi minuti, alla fine sedimentano nel nostro conscio, ma soprattutto nel nostro subconscio, rivelando una ferrea logica interiore. Almeno questo è quello che mi è successo. Il "corpus" di atmosfere ipnotiche, post-minimalistiche e spesso viranti verso una temperie angosciosa mi ha colto all'inizio impreparato, abituato com'ero alla musica "beneducata". Inizialmente sopraffatto, sconcertato da un linguaggio primitivo (e insieme estremamente complesso) che vive dietro un radicalismo di sapore arcaico, sono finalmente riuscito a trovare il lasciapassare per l'accesso a quest'universo.

 




Alfredo Di Pietro

Dicembre 2018


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