Search English (United States)  Italiano (Italia) Deutsch (Deutschland)  Español (España) Čeština (Česká Republika)
Tuesday, March 19, 2024 ..:: From Dowland to Dylan ::..   Login
Site Navigation

 29/09/2019 - Musica a Villa Durio - From Dowland to Dylan Minimize


 

 

John Dowland
Flow my tears

Charlie Haden
Our spanish love song

Paolo Damiani
Solo Bass

Massimo Giuseppe Bianchi
Free Ride

The Beatles
Eleanor Rigby/Across the universe/Come together

Paolo Damiani
Music etnic
Pour le voyage

Massimo Giuseppe Bianchi
Solo

Bob Dylan
Blowin' in the wind
Romance in Durango

Carla Bley
Ida Lupino

The Doors
The end

Bis: Francisco "Chico" Buarque de Hollanda - O que será

 



Detentore di una splendida attività a favore della grande arte dei suoni, ritorna il Festival "Musica a Villa Durio" con la sua trentottesima edizione e per l'occasione affida l'apertura a due musicisti di primo livello. Una strana coppia la si potrebbe definire, visto che Massimo Giuseppe Bianchi, direttore artistico del Festival, è un pianista classico (in verità con una dichiarata simpatia per il genere jazzistico), mentre Paolo Damiani è un importante violoncellista e contrabbassista jazz. Entrambi sono artisti che hanno eletto la curiosità a prima ragione della loro arte, per'altro dotati di una spiccata simpatia che dipende anche dalla loro grande umiltà. Non sono persone cui piace essere portate in giro sul Fercolo di Sant'Agata, tanto per capirci. Una collaborazione in qualche modo "trasversale" che ha un preciso significato, una sorta di dichiarazione d'intenti "free-form", forse la più idonea a dimostrare una volta per tutte come in musica non ci siano e non ci debbano essere compartimenti stagni. Si tratta di una forma libera e anche magmatica che attinge a man bassa a melodie intramontabili, brani jazzistici, cantautorato di classe e pezzi composti dai due stessi appassionati musicisti, si di diversa estrazione ma dalla singolare complicità espressiva. L'ubicazione del concerto "From Dowland to Dylan" non è stato il tradizionale Salone XXV Aprile dell'Istituto alberghiero G. Pastore ma Villa Durio, sede del Municipio di Varallo, in una sala molto più piccola ma gremita di posti a sedere, tutti occupati per l'occasione.

 



La "kermesse" musicale può oggi vantare un corpo ben irrorato da una proposta crescente: risale al mese scorso la bellissima iniziativa che vede protagonisti "Musica a Villa Durio" e "Musica con le ali", due realtà che hanno fattivamente collaborato alla realizzazione del 1° Festival Beethoven, quattro appuntamenti dedicati al sommo compositore consumatisi dall'uno al quattro agosto presso la Biblioteca Civica "Farinone Centa". Apre le danze "Flow my tears" del compositore rinascimentale John Dowland. Dopo l'esposizione del tema da parte del pianoforte, la musica trascolora con ammirevole naturalezza in una serie d'improvvisazioni, quasi non si percepisce il salto tra il tema e queste, dove l'atmosfera rimane sostanzialmente immutata. Più sensibile (e sofferta) la metamorfosi proposta dal contrabbasso di Paolo Damiani. Sono arcate piene di suggestione e dolore che si spengono, come in una dissolvenza incrociata, riconsegnando la parola al pianoforte, che riprende fugacemente il tema per poi lasciare spazio a un'improvvisazione ancor più sofferta, dalla bachiana severità. I due strumenti si ricollegano su questa falsa riga per poi estinguere il canto in rasserenanti accordi. Una rivisitazione molto libera che vuole essere un omaggio al passato, secondo le parole del maestro Bianchi. Complice il grande eclettismo del duo, stasera è possibile mettere insieme passato, presente e la coesistenza di tanti stili in un unico crogiolo creativo, dove emerge uno scambio dialettico continuo, un vero e proprio discorso in musica dove entrambi i musicisti si fanno "artifex" di un'intima confessione che scaturisce dal loro contingente stato d'animo.

 



"Our spanish love song" è la composizione di un grande contrabbassista statunitense scomparso nel 2014, Charlie Haden, conosciuto anche per la lunga collaborazione avuta con il sassofonista Ornette Coleman. L'introduzione questa volta tocca al contrabbasso di Paolo Damiani, il suo pizzicato è vigoroso, dall'intensa sapidità, porta la forza di tutta una vita spesa per il jazz tra collaborazioni, composizione, insegnamento, il tutto concentrato in una personalità dalle singolari simpatia e "understatement". Con amabilità entra nel discorso il pianoforte, il suo fraseggio è arricchito da ornamentazioni che esaltano il senso nostalgico del suo intervento. Come in un "amarcord", una chiacchierata tra due vecchi amici, si snodano le improvvisazioni, nell'amalgama trovano posto anche i vocalizzi di Paolo Damiani, quasi se lo strumento da solo non fosse sufficiente a esprimere delle emozioni così cocenti. Una "stranita" coda fatta di suoni acuti pone fine al brano. "Una composizione molto speciale, un pezzo mio che si chiama Free Ride, una libera cavalcata un po' folk", cosi Massimo annuncia, non senza un pizzico di commozione, una composizione fatta di momenti rigorosamente scritti alternati ad altri improvvisati; "due approcci diversi al medesimo oggetto, che è la musica", rimarca. La composizione si apre con una melodia dalla tenerezza quasi infantile, un piccolo girotondo che tuttavia nasconde tra le sue pieghe dei riferimenti classici e jazz insieme.

 



Ho personalmente ravvisato nel tema delle suggestioni debussyane, un echeggiare del brano "Cortège" dalla Petite Suite e nello stesso tempo l'inconfondibile sapore di una ballata jazz "Instant Cool". Fantasie mie, passatemele... Il clima però muta repentinamente e, dopo le prime battute, una sospensione annuncia quel deciso cambio di rotta che spezza l'atmosfera semplice, quasi bambinesca, per immergersi in inquietanti riflessioni. Monta la tensione, molto ben accesa da conturbanti fantasie improvvisative. Il fraseggio si fa da tumultuoso a rarefatto, nell'ambito di un incedere irregolare, tra tinte violacee e abbacinanti lampi di luce. Sul sostegno armonico del contrabbasso, il pianoforte gioca con accordi dissonanti sull'estremo acuto, per poi dipanare delle variazioni dove il discorso si fa più fluente, sempre comunque teso al coinvolgimento in una ricerca d'idee trasversali. Tutto lentamente si acquieta, segue una serie ipnotica di accordi, quasi una particola sonora iterativa di stampo minimalistico che porta alla conclusione di Free Ride, brano geniale e di alto magnetismo che si conclude ben diversamente da com'era iniziato. Nuove inquietudini riaffiorano nell'incipit del trittico beatlesiano di Eleanor Rigby, Across the universe e Come together, trasfigurato dall'estro dei nostri. Si riaffacciano i vocalizzi di Damiani in accompagnamento alle strappate sulle corde del contrabbasso. Dà sfogo alla sua voglia di trasformismo timbrico; mentre Bianchi si produce in interessanti variazioni sul tema. Il contrabbassista prende in mano due mazzuoli da timpano e percuote le corde con il legno dell'impugnatura, l'effetto è quello di una percezione dilaniante.

 



Si assiste al susseguirsi di episodi tensivi e distensivi, in un'andatura quasi ad elastico. All'improvviso il pianoforte apre al sereno con una melodia che è poesia pura, si fa largo e prende la parola tra lampi e marosi. In ogni momento c'è la gioia, ma anche il dolore, del fabbro forgiatore nell'atto dell'invenzione musicale, fra trionfi e ripiegamenti in una commedia tutta umana. Fanno seguito, in "Come together", un'improvvisazione in stile prettamente jazzistico, scattante e ricca di stimoli ritmici che accendono i sensi e fanno venir voglia di battere il tempo con il piede. All'unisono i due scandiscono le parole "Come together, right now over me", il maestro Damiani divertito esclama: "Solo io potevo riuscire a far cantare il maestro Massimo Giuseppe Bianchi!" Il gusto per la ricerca sonora, anche etnica, e della poliritmia emerge nei due brani a firma di Paolo Damiani "Music etnic" e "Pour le voyage", una sorta di "prêt-à-porter" da viaggio, un corredo indispensabile per la navigazione verso terre e lidi lontani. È un momento di fuga in cui ci si sente trasportati in un altrove lontano da noi, suonato sull'onda di una genuina determinazione, con circospezione e un infallibile senso del timbro, assecondato dal carisma dei nostri due musicisti. Il pianoforte qui diventa fucina sperimentale, con sonorità che strizzano l'occhio al Be Bop, la musica si fa nervosa, scattante, spezzettato il fraseggio, spiazzanti le dissonanze. Ancora una volta, ciò che nasce dalle loro mani e dalle loro menti gli dà il destro per dimostrare una straordinaria abilità nel padroneggiare stili e linguaggi fra i più disparati.

 



Pure suggestioni monkiane trovano posto in questo fantastico pot-pourri. Si rivela un formidabile antidoto contro il sopore, contro il torpore questo turbinare continuo di stati d'animo, con la sua irrequietudine foriera di viaggi oceanici, traversate a volo d'uccello su dune desertiche e boschi di fustaia, con la massima libertà e senza alcun vincolo. Verso il termine del brano si affaccia una melodia dolcissima, un porto sicuro dove approdare dopo un viaggio che si ci ha liberato dai confini, ma allo stesso tempo ci ha quasi ubriacati. La meditazione a ruota libera prosegue con lo stupendo "Solo" di Massimo Giuseppe Bianchi, soave nella sua delicatezza estrema ma che non rinuncia a qualche punta di agrodolce, come all'ipnosi indotta da cellule sonore minimaliste, iterate sino a che non ti senti sollevare e trasportare in un'altra dimensione. Questo e non un altro è il grande sortilegio operato dalla musica, cioè farci sentire non più dove fisicamente siamo. Come dalle nebbie sbuca fuori una melodia ancor più dolce, se possibile, si tratta della nota Berceuse Op. 57 di Fryderyk Chopin. Alchimie sonore amministrate con singolare equilibrio, dove gli ingredienti hanno un'importanza relativa perché sottoposti al magistero dello stregone del momento, l'interprete appunto, che deve saperli lavorare sino a creare l'immagine caleidoscopica atta a penetrare nella sensibilità dell'ascoltatore. E il modo in cui filtra è tutto dovuto alla bussola emotiva che l'esecutore, in qualità di "artigiano", deve fornirci. Da Dowland si giunge quindi a Dylan con le due magnifiche song di Blowin' in the wind e Romance in Durango, setacciate dalla sensibilità di Bianchi e Damiani e dal loro alto magistero tecnico.

 



Romance in Durango esordisce con un fibrillante tremolo al pianoforte e dei rapidi colpetti sulle corde del contrabbasso, nasce da un indistinto pulviscolo che si concretizza poi nel tema principale. Canta ancora Paolo, lo fa con un'affettuosità tutta particolare. A questo punto come non ricordare la memorabile versione del grande "Faber", Fabrizio De Andrè, che nell'album Rimini ha fatto diventare questa romanza un'avventura? Una rivisitazione di classe ci offrono con la canzone "Ida Lupino" di Carla Bley e la mitica "The End" dei The Doors. Anche questa volta il tema diventa qualcosa d'altro, metamorfizzato sull'impulso di un'insopprimibile spinta verso l'irrequietezza creativa, la quale non conosce soste e trova in esso pretesto per esternare quella che potremmo considerare una vera e propria confessione in musica. Massimo si alza e suona le corde del pianoforte facendo scivolare su di esse le unghie della mano, lo strumento diventa quasi metafisica arpa, cambia timbro e aspetto sonoro; una tecnica ben conosciuta e praticata oggi anche da un artista come David Helbock, insieme con altre che mirano a ottenere sonorità molto particolari. Ma è un gesto fugace... l'impostazione artistica del maestro Bianchi, sebbene lui sia anche un provetto jazzman, è sostanzialmente classica, votata quindi all'equilibrio delle forme, a un certo tipo di compostezza dalla quale non si deve derogare in nessuna occasione. Non insiste quindi ma accenna appena la tecnica. Alla fine del concerto ci si sente come sollevati due metri da terra, il pubblico ringrazia con applausi scroscianti e la nostra "strana coppia" ci regala un ultimo, struggente brano: O que será di Francisco "Chico" Buarque de Hollanda, sulla quale si compie l'innesto della sublime canzone di De Andrè "Il pescatore", geniale, sul quale viene costruita una vera e propria apoteosi che conclude questo indimenticabile concerto.

 



Credetemi, non c'era miglior modo d'iniziare questa trentottesima edizione del Festival Musica a Villa Durio...

 




Alfredo Di Pietro

Ottobre 2019


 Print   
Copyright (c) 2000-2006   Terms Of Use  Privacy Statement
DotNetNuke® is copyright 2002-2024 by DotNetNuke Corporation