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 Da Benedetti Michelangeli alla Argerich - Trent'anni con i grandi pianisti Riduci


 

 

Il 2017 è stato un anno importante per Luca Ciammarughi, pianista, critico musicale, conduttore radiofonico e infaticabile operatore culturale. Due libri e due CD sono entrati nel suo carnet di pubblicazioni, tra cui questo "Da Benedetti Michelangeli alla Argerich - Trent'anni con i grandi pianisti". Un libro ad alta tensione emozionale, quanto mai lontano da atteggiamenti accademici, anche se l'autore potrebbe tranquillamente permetterseli. Ne volete la dimostrazione? Senza andare troppo lontano, il secondo pubblicato nell'anno appena trascorso appare, se possibile, agli antipodi. "Le ultime sonate di Schubert. Contesto, testo, interpretazione" è un trattato rigoroso, per certi versi da addetti ai lavori, scritto con la medesima esemplare chiarezza, dove però a parlare è il meticoloso analista più che l'ardente appassionato. Nonostante ciò, anche il lettore non tecnico e non pianista potrà trovare, nella stratificazione dei diversi piani di lettura, ciò che può agevolmente rientrare nella sua comprensione. Nei due libri (e in tutto quello che Luca Ciammarughi fa) esiste tuttavia un comune substrato, un riconoscibile conio. Pur nella loro diversità, in entrambi mai si smarrisce il senso di quel fuoco interiore, di quella passione illimitata che l'ha portato oggi a essere uno dei più autorevoli esperti del pianeta pianoforte. "Da Benedetti Michelangeli alla Argerich" tradisce l'intenzione di non accogliere un ristretto numero di artisti, una mirata élite di pianisti arcinoti da mettere nell'Olimpo, ma anche personalità di minor risonanza mediatica, nomi che pochi o pochissimi conoscono.

Attenzione, meno noti non significa meno valorosi perché l'autore ha compreso molto bene, e lo fa capire inequivocabilmente anche a chi legge, che non di rado nel campo dell'arte il successo non coincide con l'autentico valore di un interprete. In questo senso ammirevole è il "filtro" che Ciammarughi si è imposto, quello della convinzione interiore, come se il pianista di cui parla dovesse prima passare attraverso la porta d'ingresso della sua squisita sensibilità. Nel libro convivono capacità di sottile percezione, cultura, vissuto personale e la persuasione che "L'arte non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del gusto". È una frase del grande Gillo Dorfles, scomparso alla veneranda età di centosette anni proprio in questi giorni. L'autore ne fa tesoro non emettendo mai giudizi "tranchant", che comunque credo non rientrino nella sua indole. Si mantiene leggero e mobile come una farfalla che vola di fiore in fiore, contribuendo all'estrema piacevolezza di questo libro. Una gradevolezza che invoglia a leggere tutte d'un fiato le duecentotrentadue pagine di cui è composto. Dei trentotto capitoli in cui è suddiviso, quattro sono frazionati in sottocapitoli, scelta giustificata dalla complessità dell'argomento trattato in quel momento. Il primo è dedicato al "divino" Arturo Benedetti Michelangeli. L'autore era quattordicenne quando rimase folgorato sulla via di Damasco dalla sua arte. Nella rassegna dei grandissimi seguono Lazar Berman, i russi agli antipodi Ashkenazy e Cherkassy. Brendel il mitteleuropeo.

Tanti aneddoti impreziosiscono il libro, direi che lo rendono unico facendo capire la differenza tra ciò che si può sapere dalle fonti e l'esclusività di un qualcosa vissuto in prima persona. Ciammarughi scava tra i meandri della sua memoria, partecipa non da asettico spettatore alla sua trattazione, in un coinvolgimento personale che rende quanto mai vive queste pagine. Rievoca la sua giornata trascorsa con Maurizio Pollini, lui doveva fargli da voltapagine a un concerto milanese. Era il 2004, nel racconto traspare tutta la sua soggezione nel trovarsi di fronte a questo grande pianista, l'aspro rimprovero che ricevette per un suo piccolo errore. Luca Ciammarughi riporta nel libro anche alcune recensioni scritte in precedenza, come "Notte dopo un concerto di Maurizio Pollini" o "Schubert nel sacrario di Schiff", non certamente come furbesco riempitivo del volume in una sorta di "copia-incolla" da se stesso, ma in qualità d'impressioni fissate a caldo. Momenti di tale intensità che non potrebbero con maggior freschezza essere raccontati se non attingendo a un ricchissimo archivio di vivide immagini accumulatosi nel tempo. L'immenso lascito della Russia viene più volte richiamato con figure artistiche di grande potenza interpretativa, pianisti come il citato Lazar Berman, la meteora Jurij Egorov, che ha in comune con Alexei Sultanov, Corrado Rollero e Christopher Falzone la brevità del passaggio terreno. A questi tre grandi Ciammarughi dedica il sentito capitolo "Gli anni spezzati", in cui si respira l'aria tragica di vite interrotte nel fiore della gioventù. Troppo presto si potrebbe pensare, salvo ricredersi perché in un lasso di tempo così breve avevano invece espresso moltissimo.

Non voglio però rischiare di cadere nell'effetto elenco, sono solo degli esempi dell'attitudine "enciclopedica" di questo saggio, intesa non come fredda enumerazione di carriere e dati biografici, ma di tutto un universo di sensazioni che artisti di enorme spessore hanno suscitato nell'autore, e, di riflesso, risvegliano anche in noi che leggiamo. Non vengono ovviamente trascurati i pianisti italiani (Maurizio Pollini, Sergio Fiorentino, Aldo Ciccolini), le grandi dame francesi (Catherine Collard, France Clidat, Brigitte Engerer e Cécile Ousset), personalità molto differenti che danno il destro all'autore per parlare dell'universo pianistico al femminile. La "vexata quaestio" se esista o meno un modo di suonare da donna piuttosto che da uomo, si rivela in fondo come controversia di lana caprina. S'invita a una prova d'ascolto "in cieco", tipo quelle che si fanno in alta fedeltà per non lasciarsi condizionare dall'oggetto. Ciammarughi dubita che gli ascoltatori riconoscerebbero chi è l'uomo e chi la donna in due esecuzioni dello stesso brano. A Paolo Bordoni dedica non solo un bellissimo capitolo ma l'intero libro. È qui che traspare con maggior evidenza l'impronta dichiaratamente soggettiva che ha voluto dare all'opera. Se oggi Luca Ciammarughi brilla come uno degli interpreti più sensibili e profondi di Franz Schubert, una parte del merito va al suo maestro, anche lui grande interprete schubertiano. Le illuminanti lezioni con lui, l'infinità di uno sguardo che non tralasciava alcun aspetto della cultura, il suo particolare magnetismo e l'estrema serietà con cui adempieva alla sua professione d'insegnante, sono tasselli che concorrono alla formazione di uno dei più toccanti ritratti racchiusi in "Da Benedetti Michelangeli alla Argerich".

Il capitolo "Panoramica: l'Italia", argomento complesso, si articola in ben otto sezioni, tra cui l'ultima "Nuovi astri", impone un andamento didascalico visto il non indifferente numero di pianisti citati. Curiosamente, nell'ultimo capitolo "Giro del mondo in bianco e nero" la punteggiatura è bandita: non un segno d'interpunzione che sia uno! Non è che all'improvviso l'autore abbia dimenticato l'arte del corretto scrivere, quanto un escamotage mirato a non spezzare in alcun modo il turbinio di parole che ricrea quel vorticoso giro del mondo. È lo stesso Luca Ciammarughi a giustificare con le sue parole una tale "eccentricità": "Siete riusciti ad arrivare in fondo a questo capitolo: ora posso svelarvi che l'assenza di punteggiatura vuole rappresentare quel labirinto dai percorsi potenzialmente infiniti che è il mondo pianistico".

Semplicemente geniale...


Alfredo Di Pietro

Marzo 2018


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