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 Concerto 12/11/2020 - Auditorium Toscanini Torino minimieren


 

 

Francesco Filidei (1973)

Tre quadri.
Concerto per pianoforte e orchestra
Prima esecuzione assoluta
- I: November
- II: Berceuse
- III Quasi una Bagatella


Franco Donatoni (1927 - 2000)

In cauda III per orchestra
Prima esecuzione in Italia


Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Le chant du rossignol

Tito Ceccherini: direzione
Maurizio Baglini: pianoforte
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

 



Guardo quelle immagini catturate da un video, lontane dalla definizione consentita da una buona fotocamera, e penso a come mi sarebbe piaciuto essere lì, da anonimo e con il volto semicoperto da una mascherina chirurgica, per lasciarmi attraversare dalle abbaglianti emozioni che solo una diretta può dare. Sono istantanee un po' "blurry" ma non mancano, pur nella loro imperfezione, di trasportare forti sensazioni, probabilmente fortificate piuttosto che indebolite nella loro facoltà di ricreare l'epos. Immagini che recano l'idea a monte, del tutto creativa, dell'originarsi di una beniana scrittura di scena, dove gli artefici non si lasciano arginare da un testo a monte (che nei fatti non può mancare: la partitura che li tallona), che trasfigurano con il loro estro d'interpreti e, soprattutto, lo materializzano nel suo più spontaneo manifestarsi. Ecco che quei pochi kilobyte in formato Jpg, carpiti con il tastino "Stamp" del mio PC, si caricano di uno spessore senza paragoni. A causa della terribile pandemia da COVID-19 stiamo vivendo tempi difficili, ostativi di ogni nostra attività quotidiana, sociale e anche in parte spirituale. Mortificato è chi trovava ossigeno vitale nella frequentazione dei concerti e ancor più desolato colui che deve assoggettarsi alla condotta delle istituzioni nella regolamentazione delle manifestazioni artistiche, da qualcuno declassate a mero "intrattenimento", senza voler troppo indagare sul significato che a quel termine viene attribuito. No perché ce n'è uno nobile e uno meno, potendo essere considerato il secondo un motivo di gradevole passatempo e nulla più.

 



Ma la funzione dell'arte, in realtà, è quel qualcosa che il grande Eugène Ionesco contemplò in un famoso aforisma: "Se è assolutamente necessario che l'arte o il teatro servano a qualche cosa, dirò che dovrebbero servire a insegnare alla gente che ci sono attività che non servono a niente, e che è indispensabile che ce ne siano." E ci si accorge della sua mancanza quando un silenzio assordante invade i nostri gloriosi teatri, auditorium e sale da concerto, nel momento in cui orbati della musica dal vivo avvertiamo questo "minus" che si risolve in un desolante senso di vuoto. Ma non fasciamoci la testa né attacchiamo il solito pianto greco, la situazione è parzialmente recuperabile grazie alla potente tecnologia digitale, la quale permette la diffusione di progetti che altrimenti non sarebbero consentiti. Allora, quello che è stato possibile ascoltare in diretta su RAI Radio3 e vedere in live streaming sul portale di RAI Cultura, è al momento ancora disponibile sul sito di RaiPlay. Con il nostro PC, tablet o smartphone che sia possiamo quindi godere della prima esecuzione assoluta di "Tre quadri", il nuovo Concerto per pianoforte e orchestra del compositore pisano Francesco Filidei, eseguito da Maurizio Baglini con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Tito Ceccherini per il Festival Milano Musica. L'esecuzione risale ormai a giovedì 12 novembre 2020, ore 20.30, luogo il prestigioso Auditorium Toscanini di Torino, senza la presenza del pubblico in sala come da DPCM del 24 ottobre. Serata che è stata anche trasmessa dea RAI 5 domenica 22 novembre alle 21,15.

 



Il nuovo lavoro è stato commissionato al compositore dal Festival Milano Musica, dalla Casa da Musica di Porto e dal Festival Internazionale di Musica Contemporanea "Autunno di Varsavia". Per chi non lo sapesse, Filidei è tra i compositori italiani più stimati nel mondo, con esecuzioni di sue opere a Berlino, Monaco, Vienna, Tokyo, New York, Los Angeles e nei più prestigiosi festival di musica contemporanea. Le sue composizioni hanno riscosso premi come il Salzburg Music Forderpreistrager, il Prix Takefu, il Forderpreistrager Siemens, la Medaglia Unesco Picasso/Mirò del Rostrum of Composers e il Premio Abbiati. Recentemente l'Opéra Comique di Parigi, città dove Filidei risiede ormai da anni, gli ha commissionato l'opera "L'inondation", rappresentata nel settembre dell'anno scorso. Siamo noi a decidere quando iniziare la visione del concerto, con un semplice clic, e quando interromperlo, ma nel frattempo non siamo più padroni delle nostre azioni, rimanendo intrappolati nel sortilegio di una musica dal fascino strano, che possiamo inizialmente far fatica a comprendere, salvo poi esserne completamente conquistati una volta riusciti a entrare nella sua circolarità. C'è letteralmente da perdersi nella complicata galassia della musica contemporanea, intendendo con questo termine tutta quella scritta dalla fine della Seconda Guerra mondiale ai nostri giorni. Una musica che ha cercato e trovato nuove strade al di fuori del sistema tonale, poi sparpagliatasi in diverse correnti e sottogeneri che hanno visto la loro partenza proprio dal termine del conflitto mondiale. Un'arte colta, elitaria, per quanto mi riguarda di difficile comprensione, spesso votata al cervellotico.

 



Per questo Atonalità, Dodecafonia, Seconda scuola di Vienna, Musica aleatoria, Musica concreta, Micropolifonia, Minimalismo, Musica spettrale e chi più ne ha più ne metta, appaiono come generi da addetti ai lavori o comunque frequentabili da persone sicuramente colte, che sono riuscite a penetrare la corteccia di un linguaggio molto evoluto. Si può approdare a concetti estremi, come l'instradamento verso la musica di elementi matematico/fisici o sorprendenti quanto stranianti ricerche timbriche agevolate dall'elettronica; due nomi su tutti quelli di Iannis Xenakis e Karlheinz Stockhausen. Quest'ultimo, liberatosi da un eccessivo razionalismo intellettuale, in virtù del raggiungimento di una grande fascinazione timbrica, ha voluto recuperare una visione mistico/religiosa della musica. Ascoltare il suo Oktophonie, per esempio, è come imbarcarsi su un'astronave in perlustrazione ai confini dell'universo. Sulla via del ritrovamento di una musicalità perduta, dissoltasi nelle nebbie delle sperimentazioni più astruse e bizantine, eccoci pervenire agli anni '90, in cui si manifestò la volontà di superare la profonda crisi degli '80 con la sete di un rassicurante ritorno al passato. Testimoni ne sono il Neoromanticismo, la cosiddetta Nuova Semplicità (Neue Einfacheit) di stampo germanico, e l'arte di Salvatore Sciarrino (non a caso maestro di Francesco Filidei), prolifico compositore di genio con a carico una discografia particolarmente ampia, ricca di oltre ottanta titoli. Sono diversi a mio avviso i punti in comune tra maestro e discepolo, dal riconoscere l'importanza della "fisicità" in musica, al suo essere palpabile corpo sonoro e non pura teorizzazione cerebrale, alla formulazione di scenari sottili.

 



Gli unisce anche la propensione per le atmosfere rarefatte, sovente edificate sulla base di tensivi silenzi, proprio come avviene in questo anguillesco Concerto per pianoforte e orchestra. Gli orchestrali muniti di mascherina (chi poteva), come anche Tito Ceccherini, Maurizio Baglini e la "misteriosa" persona che gli era accanto (presto scopriremo chi è), dotata anche di ampia visiera, la sala completamente priva di spettatori, hanno introdotto a un'atmosfera lunare; i mezzi di ripresa sono diventati testimoni privilegiati, valenti droni in alta risoluzione decisi a non farci perdere nulla di suoni e immagini. Nel primo quadro, Novembre, esordisce il pianoforte, con il sottofondo di un tremolo in sovracuto dei violini, flauto e fisarmonica, strumento inconsueto in un organico orchestrale "classico", impegnato nella riproduzione di note all'estremo acuto, rade, pungenti, suoni di ghiaccio cavati da una regione della tastiera normalmente non molto frequentata. Si crea così una forte tensione, le scattanti dita di Baglini sembrano instaurare un contatto diretto con le corde, esaltando l'anima percussiva dello strumento. Non mediato è il passaggio all'estremo opposto, con la parte grave che poco oltre si fa sentire e in unione con l'acuta riesuma una stranita " Bärentanz"
mendelssohniana. Dopo il sornione inizio il discorso si anima, compaiono sprazzi di tonalità affidati al corno. Le citazioni, le rimembranze tonali compaiono più volte nel corso della composizione, assumono le sembianze di parentesi transitorie con effetto destabilizzante, come in questo primo tempo, ma si tratta solo di un illusorio tentativo di ristabilire la normalità, poiché ben presto si ripiomba in un montante caos primordiale. Un perentorio accordo del pianoforte a un certo punto chiude la bocca al battibeccare orchestrale, fattosi nel frattempo sempre più vivace, e tutto ritorna nel climax minimale dell'incipit.

 



È una calma apparente che ha vita breve. Il babelico chiacchiericcio degli orchestrali riprende sinchè dall'oboe emerge una rincuorante linea melodica, suadente e nobile. Compositore affilato, Francesco Filidei fa precedere e accompagnare il canto da un conturbante ricamo sonoro nella parte più grave della tastiera, una specie di borbottio ingenerante l'impressione che le brume invernali non possono essere dissolte dal solo apparire di un raggio di sole, dall'armonia, ma persistono in background. Musicista sapiente e pure saggio, visto che il suo rapporto con la tonalità sembra essere non conflittuale, per nulla manicheo, ma piuttosto funzionale all'espressione di un determinato frangente espressivo. All'oboe fa eco il clarinetto, che riprende la melodia liberatrice. Una linea che, passando alla tonalità minore, assume quasi il sapore di un arabeggiante impressionismo. Questo primo movimento, il più complesso e variegato dei tre, dedicato a Maurizio Baglini e Tito Ceccherini, si snoda così in un continuo dialogo tra solista e orchestra, dove il pianoforte espone una materia nuda che va debitamente rifinita e rimpolpata dall'orchestra in un processo di costante supporto. L'ascoltatore viene condotto in una narrazione scandita con geometrica lucidità nei suoi vari episodi, quasi dei sottoquadri: momenti di presaga staticità tuttavia intrisi di una tensione che sfocia in imprevisti e imprevedibili fondali. Repentini cambi d'umore perturbano l'apparente calma portando all'emersione di importanti mutazioni caratteriali. Tutto questo accade attraverso un processo di aumentazione, di crescente complicazione, per cui si passa gradualmente dal semplice, da una lapidaria essenzialità, al complesso, per poi ritornare al telegrafico secondo un andamento inverso. Di minor ampiezza è l'episodio centrale, "Berceuse", in musica un breve componimento ispirato alle nenie infantili.

 



Anche questo non si discosta dal "modus operandi" di un progressivo arricchimento dialettico, si presenta come un movimento in tempo moderato di sette ottavi, misteriosamente dolce, pare invitare a una nostalgica riflessione ma vira presto verso tinte ambigue. Se nel primo quadro è lecito parlare di innevati panorami invernali, qui sono le brume autunnali che salgono. È un brano dedicato a Jiji des Corsicarlins, dove viene realizzata una tecnica compositiva che prevede l'addizione delle dodici scale maggiori. Sono le stesse parole del compositore a chiarirne la scaturigine: "Ho voluto dare con questo procedimento una luce diversa a quello che suona come un pezzo tonale (essendo al contempo seriale, "dodecafonico" e modale). In questo senso, il brano è per me una variazione di intenti e di visione della tradizione." Risalta ancora una volta la sua grande perizia compositiva, la caratura di straordinario alchimista sonoro in grado di padroneggiare, piegare ogni tecnica compositiva al suo ampio vocabolario espressivo. Ci riesce, e ne siamo tutti contenti, ma ancora più interessante è vedere come lo fa, cioè con un particolare tocco di mozartiana felicità di scrittura, levità di sentire, screziata da improvvisi approfondimenti drammatici. Tutto alla fine viene ricondotto alla germinale quiete iniziale, un'evanescenza che non invita a sedersi, ma diventa potenziale propellente per i più vari e inattesi sviluppi. I Tre quadri hanno il pregio di stimolare un viaggio avventuroso della mente, irto d'imponderabili accidenti, seguito dal riapprodo ai familiari lidi di partenza. E l'elemento sorpresa non manca nello scoppiettante quadro finale della "Quasi una Bagatella", un formidabile intreccio di brillantezza, comicità e incontenibile estro.

 



Una sorta di stralunata burlesca che fa leva sulle doti ironiche e istrioniche degli interpreti, irriverente nonchè paradossale nell'intitolazione, visto che al termine di Bagatella, vale a dire piccola composizione dalla struttura formale molto semplice e dal carattere leggero, si contrappone invece un brano dalla partenza magniloquente e pomposa che prestissimo rivolta in farsa questa sua presunzione; segue un'infilata di soluzioni comiche che talvolta straripano in una goliardia circense. Il brano si apre con l'accordo iniziale del Concerto per pianoforte e orchestra "Imperatore" di Beethoven, cui però non seguono le veloci figurazioni di semicrome del pianoforte ma una singola, goffa nota, della serie "Parturient montes, nascetur ridiculus mus" che suscita un effetto esilarante. Più che di un omaggio, si tratta di un'ironica decostruzione di un mito assoluto della musica, certamente bonaria vista la deferenza che si deve al gigante Ludwig van Beethoven. Un'intenzione non frutto d'ipotesi, se dobbiamo dar credito alle parole dello stesso Filidei: "Provare a distruggere un distruttore? Lavorando intorno al problema e riducendolo all’osso, non c’è stato molto da scavare, i materiali impiegati da Beethoven sono in pratica scale e arpeggi. Da questi materiali sono quindi partito, immaginando di rimetterli in discussione in modo diverso dall’originale, ma cercando un afflato analogo." Stesso processo utilizzato nel suo "Killing Bach", foriero di una per nulla sottintesa intenzione "omicida". In quest'ultimo quadro, per'altro molto divertente, emerge la grande ecletticità del compositore toscano nel maneggiare la tecnica della citazione, usata qui non come evocatrice di antichi spettri ma in qualità di spunto per la costruzione di quelle che possiamo considerare delle vere e proprie "gag" musicali.

 



Il concerto è proseguito con il secondo e terzo brano in programma, "In cauda III" per orchestra di Franco Donatoni e "Le chant du rossignol" di Igor Stravinskij, due impegnative opere che hanno dimostrato ancora una volta il valore dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del direttore Tito Ceccherini. Oltre agli splendidi professori d'orchestra, tutti e tre i musicisti coinvolti in questo progetto si sono dimostrati in possesso di una preclara professionalità, doverosamente richiesta in eventi di questo rilievo, ciò è evidente se diamo uno sguardo alle rispettive carriere. Ma è ancora poco. È sicuramente riduttivo parlare di mera professionalità dei tre artisti coinvolti, un termine tutto sommato freddo, che non considera l'eccezionale generosità con cui ciascuno di loro si è prodigato per la buona riuscita del concerto. Cuore, nervi saldi, cervello e abilità tecnica, questi i quattro ingredienti necessari per far brillare partiture complesse come queste, con il valore aggiunto di personalità talmente forti da trasformare questa serata in un qualcosa di realmente eccezionale. Ho detto tre e non per sbaglio: accanto a Maurizio Baglini c'era Silvia Chiesa, grande violoncellista per l'occasione chiamata a collaborare con lui, la sola legittimata a farlo in tempi di pandemia in quanto sua congiunta. Spesso solista proprio con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, è stata dedicataria d'importanti composizioni e ha eseguito in "prima" italiana lavori di Gil Shohat, Nicola Campogrande, Aldo Clementi, Michele Dall'Ongaro, Peter Maxwell Davies, Giovanni Sollima, Gianluca Cascioli e Ivan Fedele. Dal 2005 è legata professionalmente, oltre che sentimentalmente, con Maurizio Baglini in un duo stabile.

 



Come solista ha suonato con l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, l'Orchestra di Padova e del Veneto, l'Orchestra della Toscana, la Royal Philharmonic Orchestra, i Solisti di San Pietroburgo, l'Orchestra di Rouen, la Staatsorchester Kassel e la Sinfonica di Cracovia, collaborando con importanti direttori. È inoltre artista residente dell'Amiata Piano Festival e docente all'Istituto superiore di studi musicali "Monteverdi" di Cremona. La sua presenza in questo concerto è risaltata come evento eccezionale, concessa in via di favore al pianista pisano e alla produzione. Lo stesso Baglini ha considerato questo come il concerto per pianoforte e orchestra più difficile che ci sia. Annoto, infine, con estremo piacere che la musica riesce sempre e comunque a farsi strada e, in questo caso, non si è fatta scoraggiare dalla sospensione dell'appuntamento previsto per il 16 novembre al Teatro alla Scala. Come acqua impetuosa riesce in ogni occasione a trovare spazio per scorrere, abbattendo con la sua forza naturale ogni ostacolo. E tutto ciò è molto confortante. Cos'altro aggiungere se non il suggerimento di mettersi comodi e lasciarsi emozionare da queste grandi opere, suonate da altrettanto grandi artisti. Facile, basta cliccare sul link che riporta allo streaming su RaiPlay.


Alfredo Di Pietro

Dicembre 2020


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