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 Andrea Bacchetti - Un ritratto Minimizar

ANDREA BACCHETTI
UN RITRATTO


INTRO

"La musica? Una grande passione. Per farla seriamente bisogna sentirla dentro e viverla intensamente, giorno dopo giorno, spesso anche di notte. È un qualcosa che non ha orario, fa parte di te stesso, che ti assorbe totalmente, che ti fa anche arrabbiare, qualche volta, perché non riesci a ottenere quello che vuoi, che senti nel cuore, nello spirito, nella cultura, nella storia, nella tradizione ma che per arrivarci spesso bisogna soffrire."
(Andrea Bacchetti)




Nello storico di Non solo audiofili ci sono alcuni progetti che per un motivo o per l'altro non sono riuscito a concretizzare in articoli. Per quelli fatti e finiti (cosa fatta pace ha), non trovano spazio ripensamenti e gli rileggo ogni tanto, con serenità. Gli incompiuti invece non vogliono saperne di sprofondare nell'oblio, ma si ripresentano ciclicamente alla memoria, come un cerchio incompleto che desidera fortemente ricongiungersi con il punto di partenza. Tra questi c'è ne uno che è rimasto sospeso a mezz'aria dal 2016, precisamente da quel sabato 20 febbraio di quattro anni fa, quando a Fiorenzuola D'Arda si tenne il concerto "Ruggiero & Bacchetti - Un pianoforte e una voce". Andrea Bacchetti, noto pianista ligure, in quel periodo mi aveva colpito per la sua personalità, tanto che a un certo punto avevo deciso di approfondirne la conoscenza. Dopo breve carteggio telematico, ebbi il piacere di constatare la sua disponibilità a un incontro, corredato da un'intervista, e quale miglior occasione se non quella del concerto tenutosi al Teatro Verdi? Un bellissimo evento in duo con Antonella Ruggiero, un'esibizione in realtà composita poiché sotto le vesti di un liederismo contemporaneo, almeno l'idea di partenza era questa, venivano passati in rassegna successi come Cavallo bianco, Vacanze romane, Ti sento e diversi altri, ma s'intrufolava anche un intermezzo squisitamente classico con la Suite Inglese N° 2 in la minore BWV 807 di J.S. Bach e l'Improvviso N. 2 Op. 142 in la bemolle maggiore di F. Schubert.



Una strana coppia, si potrebbe definire, ma nella realtà della dimensione musicale dimostratasi molto affiatata, soprattutto dotata di quella sensibilità e intelligenza artistica che hanno fatto da sicuro collante. L'abilità di Stefano Barzan, autore degli arrangiamenti, l'intensità vocale/interpretativa e il virtuosismo del duo si sono felicemente coalizzati per esaltare la bellezza melodica dei brani proposti, tutti ascrivibili al miglior Pop d'autore. La Ruggiero stessa ha poi dichiarato a proposito di questo progetto: "Nel corso del primo incontro con Andrea si è ragionato sull'ipotesi di trovare un nuovo repertorio da preparare in vista di una serie di concerti. Dopo un po' di ragionamenti e di girovagare all'interno del vasto mondo della musica, la soluzione più semplice si è rivelata essere anche la più interessante: affrontare il repertorio da me interpretato dal 1975 a oggi, con una rilettura per pianoforte classico, con un linguaggio il più vicino possibile al mondo musicale di Andrea. A questo mio repertorio si sono aggiunti altri quattro brani di altri autori che, per mantenere una maggior unità stilistica, non sono stati inseriti nel progetto discografico, ma rimarranno parte della scalette in concerto. La proposta di arrangiare questi brani è caduta su Stefano Barzan con cui, nel corso degli anni, ho avuto modo di collaborare in varie occasioni, sempre con risultati ottimi. In quest'occasione mi sembra che il risultato sia davvero centrato e, sia Andrea che io, ci siamo sentiti coinvolti da questa rilettura delle canzoni, che hanno dato una imprevedibile vita alle canzoni stesse."



Non so se quattro anni possono essere considerati pochi o tanti, ma a me sembrano un secolo e insieme un istante, come può esserlo un rewind che si riaggancia continuamente nei meandri della memoria senza mai fermarsi: sia l'intervista che la recensione di quel concerto non sono sino a oggi mai andati in porto. Un concerto così incantevole da essere rimasto nel mio cuore, così significativo da essere stato poi riversato a futura memoria nel CD Sony "La Vita Imprevedibile Delle Canzoni". Imponderabile come in fondo la musica e le emozioni che ci provoca. Un desiderio covato quattro anni sotto la cenere, una cenere sottile che basta una soffiatina per farla volar via e scoprire le ardenti braci che nasconde. Anche perché a me i cerchi incompleti non piacciono. Ecco che in questi ultimi giorni ho riagganciato il contatto con il maestro Bacchetti, nella speranza che in quella serata del 2016 lui non avesse voluto "glissare" sull'incontro, liberandosi di uno scocciatore. Ma così non era perché più recentemente si è dichiarato disponibile ad avere un incontro con me. Così una sera, in una rigida Milano, ci siamo incontrati conversando piacevolmente per un'oretta circa.


IL PIANISTA


Non v'è grandezza dove non vi sono semplicità, bontà e verità.
(Lev Tolstoj)




In Italia abbiamo un grande interprete di Johann Sebastian Bach e forse non lo sappiamo. Andrea Bacchetti, nato pianisticamente come "enfant prodige", dopo un percorso a tratti tormentato è riuscito a entrare d'autorità nell'essenza più profonda di questa musica meravigliosa. Molti lo conoscono come il pianista di Chiambretti, cosa che, a mio parere, non rende merito al suo valore. Un artista la cui grandezza è pari soltanto alla sua modestia. Inizia la sua carriera di persona votata alla musica da giovanissimo, dopo che all'età di cinque anni gli fu riconosciuto l'orecchio assoluto. Si fa subito notare e già negli anni '80 appare in televisione, ospite di Mike Bongiorno e di altre trasmissioni televisive (molto bella quella con Mino D'Amato) dove dà dimostrazione delle sue grandi doti musicali. Debutta come concertista all'età di soli undici anni nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano con i Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone. La sua formazione pianistica inizia presso il Conservatorio Niccolò Paganini di Genova, in seguito si perfeziona con Luciano Berio e Rudolf Baumgartner, conseguendo il Diploma Master con Franco Scala presso l'Accademia Pianistica "Incontri col Maestro" di Imola. Nel suo percorso artistico importante è stato il contributo di musicisti aventi rilievo internazionale come Herbert von Karajan e Nikita Magaloff. Nel 2001 la giuria del Concorso Micheli, presieduta da Luciano Berio, gli assegna all'unanimità il Premio Speciale della Fondazione Calouste Gulbenkian per la migliore esecuzione del brano di musica contemporanea inserito nel programma di concorso.



La strada a una brillante carriera concertistica è aperta; si esibisce nelle più grandi istituzioni e festival di tutto il mondo, come il Lucerne Festival Strings, il Festival dei Due Mondi di Spoleto, il Festival pianistico internazionale "Arturo Benedetti Michelangeli" di Brescia e Bergamo, il Festival internazionale di musica da camera di Cervo, il Piano aux Jacobins di Tolosa, il Pacific Music Festival di Sapporo e diversi altri. Prende parte a tournée nei paesi dell'America del Nord e del Sud, oltre che in Giappone. Sì è inoltre esibito con molte orchestre internazionali di rilievo: Camerata Salzburg e Salzburg Chamber Soloists, RTVE Madrid, Sinfónica de Asturia, Oviedo, OSCYL, Valladolid; MDR Lipsia, Kyoto Simphony Orchestra, Sinfonica di Tenerife, Filarmonica della Scala. Oltre all'attività concertistica, notevole è anche la sua produzione discografica, con progetti dedicati al suo maestro Luciano Berio e altri importanti compositori classici. Con la Sony Classical Italia (e in collaborazione con la Biblioteca Marciana), incide una raccolta dedicata ad alcuni compositori attivi a Venezia nel XVIII secolo le cui partiture sono conservate nella Biblioteca: La tastiera italiana. Il ciclo ha il suo incipit con la registrazione delle sei sonate per clavicembalo di Luigi Cherubini, incise per la prima volta su pianoforte moderno nel 2009. Il disco viene inserito nella Penguin Guide to Recorded Classical Music 2010. Altro rimarchevole tappa di questo ciclo è il disco The Scarlatti Restored Manuscripts (2014), dedicato a Domenico Scarlatti, grazie al quale Andrea Bacchetti ottiene il prestigioso premio ICMA (International Classical Music Award) per la categoria Musica strumentale barocca nello stesso anno.



Contemporaneamente alla Tastiera italiana, sempre con Sony Classical incide un ciclo dedicato a Johann Sebastian Bach. Più di recente ha portato avanti diverse collaborazioni con grandi musicisti italiani, sia classici che pop. Con Antonella Ruggiero incide nel 2016 il citato lavoro "La vita imprevedibile delle canzoni", un album in cui la cantante ripropone 15 suoi successi riarrangiati da Stefano Barzan per il pianoforte classico. Nel 2018 accompagna il maestro Uto Ughi nel suo ultimo lavoro discografico, Note d'Europa, pubblicato da Sony Classical.


IL LAVORO DEL MUSICISTA


Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua.
(Confucio)




Milano, 15 gennaio 2021, io e il maestro Bacchetti, non senza una certa emozione da parte mia, c'incontriamo presso lo studio dell'amico Gubert Finsterle. Troverete scorporato da questo articolo il frutto della nostra chiacchierata. Erano mesi e mesi che non mi concedevo una camminata nell'amata Milano e quella sera è avvenuto. È stato un po' come ubriacarsi con l'aria pungente invernale, ho realizzato come deve sentirsi una persona all'uscita di una casa di detenzione dove ha scontato una pena di un'annetto. Non è esattamente la stessa cosa, ma rende l'idea. Mi appare come un folletto, dalla corporatura esile, mobilissimo, agile e sfuggente. Mentre parla sembra attraversato da mille pensieri, muta continuamente espressione, mi aspetto che da un momento all'altro possa spiccare il volo, rendersi invisibile per poi all'improvviso riapparire. Il maestro Bacchetti, nel corso della conversazione non riesce a stare fermo sulla sedia. Una creatura lieve e profonda che qualcuno da lassù ha voluto mandarci per poter ascoltare un Bach ricco di affetti, dal suono morbido e avvolgente, dal fraseggio che sa d'infinito, avvoltolato in quel tenerissimo "manque" che è proprio di ogni essere umano su questa terra. La grandezza non sa di essere grande. Lui è una persona dalla disarmante sincerità, umile sino a imbarazzare il suo interlocutore, si schermisce quando gli si fanno dei complimenti, minimizza. Dev'essere questa la vera altezza, quella di una vetta che "è" senza la consapevolezza di esserlo. La felicità, diceva Carmelo Bene, non è felice né sa di esserlo.



Andrea cita nomi come Schiff, Pollini, Perahia, Gould... pianisti che lui ritiene sommi, irragiungibili. Eppure il "suo" Bach non è da meno, sempre personale, umano, forse più vicino a noi di quanto possa essere quello degli illustri nomi che cita. Bambino prodigio, a cinque anni si accorgono che ha l'orecchio assoluto. A scuola, senza aver ancora studiato pianoforte, corregge la maestra che sbagliava gli accordi su una pianola. Dopo l'intervista gli stringo la mano. Lui assume le sembianze di una visione fuggitiva che presto svanisce sullo sfondo di una Milano invernale. A casa in questi giorni mi sono immerso nell'ascolto dei suoi tanti dischi. È un libro aperto Andrea Bacchetti, mostra il suo volto di giovane schietto, libero da qualsiasi sovrastruttura intellettuale, che si fa guidare dalla sua straordinaria istintività. Si concede generosamente all'eventuale intervistatore, ma poi preferisce far "parlare" le sue mani sulla tastiera. Pianista "classicista" si dichiara, e noi potremmo a questo punto subodorare un'adesione a stilemi che possano renderlo "scolastico", ligio a una certe veste interpretativa, che indubbiamente c'è ma non intralcia assolutamente la manifestazione di un'ispirazione che è invece del tutto personale, inconfondibile direi. Dichiara di non amare le lezioni-concerto ma ne dà una, illuminante, nel 2013 all'Istituto Musicale Veneto. È un fiume in piena, si racconta senza risparmio di particolari, facendo scorrere la sua vita sotto i nostri occhi con una singolare inclinazione alla sincerità. Sono cose che molto difficilmente possiamo sentire da altri artisti, che nei loro discorsi, anche i più personali, non varcano una certa soglia.



Andrea Bacchetti è una sorta di archetipo di quel tipo umano che Carmelo Bene definiva "privato del privato"; tocca i temi della difficilissima arte del suonare mettendoli nel conto delle più comuni attività quotidiane, rivela cose che probabilmente ogni strumentista ha vissuto, ma che non ha mai osato raccontare in pubblico. Esiste una biografia più intima e personale di quella che ognuno di noi può leggere su un sito Internet, sulla tanto gettonata Wikipedia. Quando i genitori si accorgono delle sue doti e della sua voglia di studiare musica, si trasferiscono dal paesello natale dell'entroterra ligure a Genova, in cerca di maestri. Il suo contatto con il sommo Kantor risale ai primissimi anni di studio con gli insegnanti e si prolunga sino a oggi in una linea ideale ininterrotta. Da bambino, la prima cosa studiata fu il Quaderno di Anna Magdalena Bach, che il compositore diede in dono alla sua seconda moglie, una raccolta che contiene il celebre minuetto in sol, l'aria sulla quale furono poi edificate le Variazioni Goldberg BWV 988 e il primo preludio e fuga del Clavicembalo ben temperato. Tre gemme che brillano di luce propria, riprese in seguito da Bach, estrapolate da una collezione di brani avente scopo didattico e dedicata alla moglie e i figlioli. Da piccolo, Andrea Bacchetti aveva sempre manifestato un po' di avversione per quest'opera a causa della scrittura complessa, anche se fatta di poche note, tutte però importanti alla pari. Erano comunque pezzi molto più impegnativi da eseguire rispetto a una sonatina di Mozart o di Clementi, dove c'è una melodia e un accompagnamento a essa. Anche con l'ingresso al conservatorio, dove si studiano dei pezzi cospicui di Bach (due Suite Inglesi, uno dei due libri del Clavicembalo ben temperato), il suo modo di suonare era veloce, molto basato sull'istinto.

Con Herbert von Karajan

A quei tempi Andrea non riusciva a far entrare nelle sue esecuzioni delle nozioni fondamentali che poi dopo, negli anni, si sono rivelate imprescindibili per l'interpretazione di uno spartito bachiano. A otto anni iniziò a suonare quel capolavoro assoluto, le Variazioni Goldberg, che Glenn Gould incise per la prima volta nel 1955, ma non fu particolarmente affascinato da esse. Prima della quinta elementare, quel bambino che aveva imparato le note prima delle lettere, entrò in contatto con lo spartito delle Goldberg ritenendolo impossibile da suonare perchè troppo difficile. La sua conoscenza della musica proseguì con i concerti di Mozart e altri autori, poiché in conservatorio si doveva fare un po' di tutto, e per qualche tempo lo studio di Bach fu accantonato. Tuttavia più in là, verso i quindici-sedici anni sino ai diciannove-venti, quando l'istinto ha cominciato a non bastare più, lui accusò una forte crisi artistica. Negli anni precedenti era stato catalogato come bambino prodigio, una definizione che viene spesso attribuita a una persona in tenera età che si esibisce davanti al pubblico, e Andrea non nega il manifestarsi in lui di una precoce disposizione per la musica. Di natura, sentiva il fraseggio e ci metteva un attimo ad apprendere la musica; in una settimana imparò un'intera sonata di Mozart a memoria, dopo il secondo, terzo giorno di lettura già levava lo spartito, cosa che al tempo della lezione-concerto (2013) non avveniva più con tale rapidità. Fino a una certa età, sinché l'istinto lo sorreggeva, non ci sono stati grandi problemi. Il maestro conserva delle registrazioni di suoi concerti dal vivo, alcune cose di Mozart, altre di Schumann, in cui il bambino che suona sembra realmente un adulto, come se le avesse suonate adesso.

Tutto ciò avveniva in via del tutto naturale e non come presa di coscienza. Tuttavia, dal momento in cui la sua insegnante iniziò a insistere sulla tecnica, la posizione delle mani, delle braccia, dei piedi e tutto il resto, l'istinto venne meno e lui fu soggiogato da tutti questi pensieri. Furono tempi di crisi, prolungatisi sino al limite dei vent'anni. Ha conservato anche la registrazione del diploma di pianoforte, della quale non si dichiara certamente contento a causa della mancanza del senso generale della musica, che lui a quei tempi non aveva, forse perchè non gli era stato tramandato o non lo aveva capito. Quell'esecuzione non era sintomatica dell'importanza del fraseggio, di come si costruisce una frase, e una volta smarrito il cosiddetto bernoccolo non sapeva più come procedere in modo corretto. Esistevano lacune nella sonorità, anche se per sua natura Bacchetti è sempre riuscito a cavare un bel suono dallo strumento. Grandi maestri gli avevano detto che la qualità del suono si lavora tutta la vita, ma, se quando metti le mani sulla tastiera produci un suono duro e legnoso, si può senz'altro migliorarlo ma significa che non si è tagliati per quello strumento. Dati i disagi cui era andato incontro, la sua sonorità era purtroppo peggiorata, aveva perso la gradevolezza e rotondità iniziale; si avvertivano errori nel fraseggiare, come accenti, "botte", cose che sono contro la musica, sulle quali lui non era mai stato messo sull'avviso. Un'altra caratteristica importante del talento puro è il non avere problemi di memoria, anche quella una dote di nascita.

Con Nikita Magaloff

Dopo due mesi che suona un pezzo, lo spartito automaticamente se ne va, ma lui non sa in realtà perché questo sia possibile. Esistono dei metodi per memorizzare, è un elemento che indubbiamente si può rafforzare con lo studio, ma Andrea è convinto che nella maggior parte degli strumentisti la memoria sia all'80% una dote. Lui quindi, pur non avendo mai avuto problemi su questo punto, ricorda la prova del diploma come un qualcosa di negativo, pure per il fraseggio, il quale non era quasi mai giusto. Quando nel 1995 andò a studiare all'Accademia di Imola, gli venne in soccorso proprio quel compositore che per primo aveva conosciuto: Johann Sebastian Bach. Dopo l'audizione fu accolto nell'Accademia; gli insegnanti gli misero davanti tutte queste lacune e gli dissero che per colmarle, prima di suonare Rachmaninov o Chopin, era necessario studiare proprio Bach. Da lì è partito l'approccio con le Suite Inglesi, prima quelle che aveva suonato al quinto anno di conservatorio (seconda e terza), e poi, dal momento che la cosa lo appassionava sembrandogli anche di migliorare il suo pianismo dal punto di vista tecnico, dal 2000 si mise al lavoro pure sulle altre. Le prime opere completamente apprese di Bach furono quindi le sei Suite Inglesi, dalla prima alla sesta ma in un ordine diverso; un'esperienza fondamentale nella sua carriera. Tutto il resto che eseguiva comprendeva le sonate di Mozart, l'Op. 109 di Beethoven, qualcosa di Chopin e Liszt, due sonate di Prokofiev e un po' di Rachmaninov (il quarto concerto, un'esperienza che considera "dolorosa" e che non rifarebbe).

Il miglioramento conseguito con lo studio di J.S. Bach ebbe l'effetto di stabilizzare la sua arte pianistica, ma anche le materie umanistiche studiate al liceo furono sicuramente di grande aiuto. L'indipendenza mentale che danno tali materie serve poi nel momeno in cui si suona. I maestri dell'Accademia di Imola, oltre a indicargli i mezzi per leggere le Suite bachiane, gli avevano segnalato anche degli interpreti di riferimento, con l'avviso che i dischi altrui non vanno mai "copiati", mentre in lui riconoscevano delle manie legate al sentire troppi dischi. L'ascolto di grandi pianisti come Murray Perahia, András Schiff o quelli della vecchia guardia come Gieseking, Horszowski o Fischer, considerati i massimi interpreti della musica di Bach, lo ha illuminato. Per anni Andrea Bacchetti ha suonato la quinta Suite Inglese in mi minore e la quinta Suite Francese in sol maggiore come prima parte nei suoi recital bachiani. Ha sviscerato l'argomento del suonare in maniera "antica" o "moderna" quest'autore. Semplificando, il primo è un modo più orchestrale e maestoso, il secondo più scorrevole e intimistico, li ritiene entrambi validi, pur preferendo lui la modalità antica. Una tappa fondamentale della sua evoluzione, un capolavoro che lo ha seguito per tutta la vita, è rappresentata dalle Variazioni Goldberg BWV 988. Dopo le Suite era venuto il momento di affrontare le Invenzioni e Sinfonie BWV 772-801, brani ritenuti generalmente facili ma che il nostro pianista considera di una difficoltà mostruosa, poi registrate in disco. Non si dichiara completamente soddisfatto di quel CD poiché contiene troppe fioriture, tanto che desidererebbe rifarne la registrazione.

Con Luciano Berio

Sono seguite poi le Toccate. Ritiene quella delle fioriture una questione di controllo, bisogna stare attenti a non lasciarsi prendere la mano anche quando ti verrebbe la voglia di farne tante. Questa tensione verso l'essenzialità trova poi il suo massimo punto proprio nelle Goldberg, quando lui suona l'aria che conclude la composizione del tutto priva di abbellimenti, in una sorta di ritorno alle radici del pensiero bachiano, che poi sono radici universali, con quest'approccio minimalista deprivate da eccessi di barocchismo. La sua prima esecuzione pubblica delle BWV 988 è avvenuta proprio all'Istituto Musicale Veneto, nel 2004 (quando le aveva da poco imparate) con un risultato che lui stesso definisce "disastroso". Un vero e proprio campo minato. La prima difficoltà da affrontare per chi le suona sta nel fatto che sono state composte per due manuali e le due mani su un pianoforte (che di tastiera ne ha solo una) devono sovente incrociarsi, badando bene a non scontrarsi tra loro; da qui l'esigenza di escogitare una diteggiatura che consenta alle mani di darsi il minor fastidio reciproco. In quell'anno ogni giorno imparava a memoria una variazione. Le ha suonate in concerto per anni e anni sino ad arrivare alla decisione di suonarle senza ritornelli, per il semplice motivo che suonare ben trenta variazioni, ciascuna due volte, diventava troppo gravoso. È questa la composizione che ha segnato tanta parte della sua carriera, una scelta definitiva come cavallo di battaglia bachiano in ragione della frequentazione pressoché quotidiana. Nella sua visione vanno suonate non lentamente, come le Suite, ma scorrevolmente, pur senza toccare le velocità "marzianiche" raggiunte da Glenn Glould in alcune (vedi la variazione 5 o la 17 ) oppure, per converso, senza indugiare a lentezze estreme come nell'Aria iniziale.

La loro continua ripetizione ha portato Andrea Bacchetti a eseguirle nel tempo in maniera sempre più veloce, le considera nella sua attività di pianista come la palestra tecnica più importante, esigenti un virtuosismo non minore di quello necessario per Liszt o Chopin, anche se diverso. Un altro bel capitolo della sua esperienza è rappresentato dai Concerti per orchestra, anche questi molto difficili da eseguire. La pratica assidua, quotidiana, rimane un fattore ineludibile per un'esecuzione per quanto possibile sicura, fatta in scioltezza e con buona velocità. Abbastanza recente è il cimento con i due libri del Clavicembalo ben temperato, affrontati nella loro completezza. È prodigo d'informazioni Andrea anche sul suo metodo di studio, sul quale molti interpreti glissano oppure oppongono un deciso rifiuto alla sua rivelazione. "Suono tutto lentissimo, con il metronomo, che non mi serve perchè mi rende robotico ma poichè mi dice se sto accelerando, magari senza accorgermene, e sto andando fuori tempo. È utile per farmi assimilare il tactus, che è lo scandire il tempo. Suono allora adagio, il più possibile senza pedale e cercando di legare tutto con le mani. Da lì metto il pedale tonale, lo utilizzo in un modo da non dare fastidio, perché mi serve a creare in certi casi una metapolifonia che con le sole dita non riesco a ottenere. Nelle progressioni discendenti, con le quinte, se un pezzo è a due voci, tramite l'armonia si possono isolare delle note e farlo diventare a tre voci. Io sono dell'idea che il pedale in Bach può essere usato, a patto però che non ci si accorga di esso."


L'ASCOLTO


Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
(Antoine de Saint-Exupéry)


Con Andràs Schiff

Andrea Bacchetti ama suonare all'inizio di un recital bachiano la Toccata in mi minore BWV 914, la ragione sta nell'essere questa un piccolo assaggio del "menu" che il compositore poi offre, sviluppato, nella sua produzione tastieristica. All'inizio troviamo un breve preludio in forma di toccata, dal senso improvvisatorio, seguito da una fughetta: sono i due elementi presenti in ognuna delle quarantotto composizioni che costituiscono i due libri del Clavicembalo ben temperato. Poi c'è una specie d'intermezzo in stile recitativo che prepara la più ampia fuga finale. In sette minuti e mezzo di musica sono condensate le principali forme che poi Bach articola in lungo e in largo nella sua produzione. In una notte insonne approfitto del servizio musicale in streaming Spotify per ripercorrere la sua discografia, devo procedere per particole, impossibile (anche se mi piacerebbe) raccontarvi le emozione suscitate dai tanti CD che il maestro genovese ha rilasciato. Sin dalle prime registrazioni dal vivo, Un portrait Vol 1, 2 e 3, quelle forse più sincere, emerge una sana affezione per l'artigianato musicale, l'applicazione di una continua opera di cesello sulle partiture che alla fine rende ogni sua esecuzione di una limpidezza cristallina, come una narrazione che scorre dietro un vetro perfettamente pulito. Evidente è la ricerca di una lucida comprensibilità dell'ordito architetturale, sia che suoni Mozart o Berio, vale a dire due mondi molto distanti tra loro. È una preoccupazione che possiamo riconoscere in ogni sua esecuzione, la quale tuttavia non rende il suo un lavoro da "ragioniere" o sterilmente asettica la sua arte, cioè votata alla mera edificazione di scheletri musicali.

Al contrario, un caldo empito affettivo la sorregge costantemente. Non è esattamente nelle mie corde il genere praticato da Luciano Berio, il grande compositore che a lui volle affidare la sua produzione pianistica, ma eugualmente mi conquistano quelle doti di agilità, d'inquieta mobilità che rendono viva la Petite suite piuttosto che gli enigmatici Six encores. La rarefazione raggiunta in Brin diventa magnetica sostanza sonora per suggestive evocazioni. Ma chi ha compreso così in profondità J.S. Bach, ogni cosa è capace di affrontare, ogni struttura sonora in grado di comprendere in se per donarla poi agli altri. La sua estrema sensibilità al valore della "phoné" rende trasparente la malinconia di Wasserklavier, un minuto e mezzo scarso di profondi riflessi acquatici, e sibilline le atmosfere sospese di Leaf. L'inquieto mareggiare di Luftklavier, l'occhieggiare rapido di Rounds diventa materia viva e vitale sotto le sue dite e viene fuori quell'anima da folletto che indubitabilmente possiede. Nel secondo volume non è il Liszt più circense quello che ci propone, lo spettacolare virtuosismo fine a se stesso non credo sia da lui amato, ma quello più intimo e riflessivo della Consolation N. 3 S 172, dove è la pura bellezza del suono e la nobiltà espressiva del fraseggio a conquistarci completamente. Il Beethoven cameristico delle sonate per violino e pianoforte, in duo con Domenico Nordio, è offerto in una modalità ancora "live"; la registrazione è molto buona, dai colori vivi, dalla dinamica intonsa e favorisce la percezione dello sbalzo plastico di questa musica meravigliosa.

Con Maurizio Pollini

Il pianista quarantatreenne è andato via via imponendosi in ogni età per le sue peculiari caratteristiche; da bambino per il suo essere "enfant prodige", poi, superata una crisi di passaggio crescenziale, ha raffinato il suo modo d'interpretare senza però perdere quell'aura di freschezza, di eterno fanciullo, che si risolve in un'immediata comunicativa. Poco avvezzo ai canoni dello "star system", quanto mai lontani dalla sua indole, spicca come pianista "inattuale", ma proprio per questo così necessario in tempi dove impera la corsa al prestazionale. Nel CD The Scarlatti Restored Manuscript sembra dare nuova verginità a un autore troppo spesso sfruttato per mirabolanti esibizioni digitali, annebbiato dal vorticoso turbinare di note o troppo rallentato in sdilinquimenti neoromantici. Da pianista "dignitoso", come lui stesso ama definirsi, rende onore a un autore come Domenico Scarlatti, lo fa con una stoffa musicale equilibrata e scevro da ogni eccesso esibizionistico, dove la sola semantica degli affetti e della sorpresa deve emergere, dove il suo tocco profondo e insieme leggero rallegra o fa riflettere. È l'impronta del pianista classicista che si fa sentire, ammiratore dei modelli di Fischer, Gould, Horszowsky, Perahia, Schiff, riponente la sua poetica nella basilarità della costruzione musicale, la quale sostiene una grande umanità di sentire. Quel pianista che andò incontro all'apprezzamento di Karajan, di Horszowsky, genovese di adozione, il quale lo ascoltò da giovanissimo in un'interpretazione di W.A. Mozart, si esprime nelle Suite Francesi BWV 812-817 rimanendo costantemente in bilico tra una vecchia e nuova maniera, tra una concezione imponente e una più confidenziale fatta di intime confessioni.

Proseguo gli ascolti sul filo rosso bachiano con i Piano Concertos, in collaborazione con l'Orchestra Sinfonica nazionale della RAI, compagine con la quale lui si trova particolarmente a suo agio. L'esternazione di complesse e austere trame musicali ci parlano di un Bach più che studiato sino all'inverosimile, profondamente connaturato all'animo del nostro interprete. Lo studio serve ma non può tutto. Nel sublime Largo del BWV 1056 c'è quasi il ritegno a portare allo scoperto quella recondita tenerezza di cui è intriso sino al midollo, Andrea Bacchetti emana una luce interiore che circonda, avvolgendolo, l'ascoltatore, senza però mai indugiare in sottolineature patetiche. Una schiena dritta che rappresenta il nerbo drammatico del successivo - febbrile - Presto. Con Bach - Two Part Inventions & Sinfonias and Other Keyboard Works il pianista ligure licenzia un altro disco memorabile. Forte del suo arrivare dritto al cuore della musica, punta a un'essenzialità che non deve in alcun modo essere confusa con un eccesso di pacatezza o timida discrezione, quanto un liberarsi da quei legacci, da quelle concrezioni interpretativa accumulatesi nella storia che sono ostative del librarsi di emozioni purissime. Qui si apprezza il "voicing" perfettamente paritario, che trova nel valore dell'equilibrio la natura stessa della polifonia: quell'intrecciarsi di voci aventi pari dignità, ognuna con la sua linea ma tutte armonizzate insieme. Ogni cosa scorre con una pulizia esemplare, una nitidezza che permette a chi ascolta di distinguere le fattezze di magnifiche geometrie sonore.

Con Sviatoslav Richter

E Bacchetti è davvero la quintessenza del lindore in musica. Ascolto l'album per intero, anche se ce ne sono ancora diversi che scalpitano per farsi sentire. Molto bella la copertina di Mister Bach's European Journey, un elegantissimo Bacchetti siede ad un altrettanto elegante pianoforte in un paesaggio industriale, che contrasta fortemente con la sua forbita immagine. Nel CD troviamo una sorta di summa dell'arte tastieristica di J.S. Bach, dalle Suite Inglesi e Francesi, ai duetti BWV 802-803-804-805, passando per la magnifica Ouverture Francese in do minore e la Fantasia Cromatica e Fuga in re minore BWV 903. Ritorno a bomba sull'album "Un portrait Vol. 2" per mettere a fuoco il "suo" Chopin, lo trovo, come avverrà a breve anche per Mendelssohn, di un rigore e di una reattività acuite da una splendida tecnica di dito. Viene trattato in modo piuttosto analitico, è carezzevole e amabile quando deve esserlo, brillante e vigoroso in altri frangenti ma, ciò che più mi piace, del tutto privo di quelle screziature dolciastre che è dato talvolta riconoscere nella lettura di altri pianisti. Non so che farci ma m'infastidiscono, facendomi desistere dall'ascolto dopo qualche minuto. Per fortuna qui non ne trovo l'ombra. Stesso discorso mi sento di fare per il Preludio N. 12 Op. 32 di S. Rachmaninov, il fraseggiare è flessuoso, men che meno rigido, bellissimo il suono, come in ogni occasione. Il lungo percorso artistico compiuto da Bacchetti in direzione della conquista di una naturalezza sovrana, già presente "in nuce" in ogni sua fibra, porta alla fusione del ritratto giovanile con il maturo, chiudendo un cerchio.

Cristallino è il "suo" Mendelssohn nel Capriccio Brillante in si minore Op. 22, mondato da romantici surplus saccarinici; scopriamo così un autore essenziale, mobilissimo nella sua irrequietezza, non caricato da sovrastrutture estranee alla sua superba musicalità. Approfondisco con l'ascolto del virtuosistico Rondò Brillante Op. 29, elfico nella sua leggerezza e molto convincente nella risoluzione di quei problemi tecnici che impone all'esecutore. Vista la sicurezza con cui l'affronta, avrei desiderato sentire Andrea nel repertorio romantico più virtuosistico. Anche l'interpretazione dei concerti K 414 e K 413 di W.A. Mozart mi sembra molto convincente per quell'ineffabile misto di freschezza sorgiva e profondità, due elementi che convivono senza che nessun iato si manifesti. Il "miracolo" Bacchetti è anche questo, quel mix di disarmante candore che si lega a una grande profondità di sentire e una preclara perizia strumentale. Andrea Bacchetti possiede in somma misura ciò che altri pianisti avrebbero fatto carte false per avere. Quell'infallibile istinto a lui congenito che dice di aver perso con il tempo e gli studi, io sono convinto che lo possegga ancora, sebbene trasmutato in altre forme. Per Johann Adolf Hasse, "il caro sassone", il discorso è sin troppo semplice: Andrea Bacchetti mi ha dato la possibilità di conoscerlo e apprezzarne le qualità compositive mentre lui, inutile a questo punto dirlo, si rivela ancora una volta particolarmente a proprio agio con il '700 e quello stile galante di cui Hasse fu indiscusso campione. C'è molta vivacità e allegria nella Sonata del Signor Sassone, come c'è seriosità nella Fuga per organo.

Con Murray Perahia

Le sonorità del pianoforte organistiche non sono, ma il nostro, con il suo suono corposo e avvolgente non le fa troppo rimpiangere. La variegata tavolozza di colori, la grazia e l'equilibrio con cui Bacchetti valorizza la musica di Hasse è davvero commovente e mi rende felice della scoperta. Deliziose pure le sue letture, ricche di spirito e adorne di arguzia o, se volete, d'intelligenza musicale delle Sonate di Benedetto Marcello. In quella iniziale in sol maggiore sento un ribattuto particolarmente luminoso e incisivo. Il pianismo di questo fuoriclasse fa pensare a una grazia, a un'eleganza d'altri tempi che credevamo smarrita, condita con un'umiltà rara a trovarsi in questo tempo, dove sembra contare solo la visibilità o un furbesco marketing mirato a ingigantire la statura di un interprete (e anche gli incassi per lui e per l'etichetta discografica che lo sostiene). Che Andrea Bacchetti sia un interprete per orecchie raffinate, che vogliono tenersi lontane da clangori e clamori vari, lo dimostra proprio questo bellissimo disco, che sento per intero prima di terminare la mia lunga notte d'ascolti. Riguarda due illustri Carneadi, almeno per me, Guido Alberto Fano e Silvio Omizzolo. Il primo, compositore, direttore d'orchestra e pianista italiano di origine ebraica, superstite dell'Olocausto, scomparso nel 1961 e il secondo pianista e compositore che vinse il terzo premio al Concorso Internazionale "Regina Elisabetta" di Bruxelles nel 1969 con il suo concerto per pianoforte e orchestra. Memorabile anche perchè è stata l'unica opera italiana prescelta tra duecento concorrenti.

Si affaccia già l'aurora, apro la finestra e il chiarore m'investe. È stata una notte insonne ma sicuramente ben spesa...

Con Andràs Schiff


Alfredo Di Pietro

Gennaio 2021


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